Durante i giorni successivi, approfittando dell’assenza di mia madre, i miei giochi solitari continuarono, affinandosi sempre di più. Pescando nel cesto della biancheria utilizzavo reggiseni, mutandine, sottovesti e altro intimo di mia madre per trasformarmi il più possibile in una femmina, prima di dilatarmi lo sfintere con carote, zucchine e altri oggetti dalla forma fallica.
Ma, nonostante ne godessi intensamente ogni volta, rimanevo sempre col rimpianto di non poter rivivere le sensazioni provate con i cazzi in carne e sangue dei tre bulli… la loro consistenza, gli odori, il sapore dello sperma sulla mia lingua…
Decisi quindi di passare all’azione. Chiamai Lele, e con una scusa lo feci venire a casa mia.
Gli lasciai il tempo di trovarsi a suo agio, e poi buttai lì la domanda, così di botto.
“Ma tu sei gay o no?”
Lele rimase a bocca aperta, così argomentai la mia domanda raccontandogli di quanto successo nel magazzino della palestra.
“Mi dispiace… “ fu tutto quello che riuscì a dirmi, trattenendo a stento le lacrime.
“Non ti preoccupare… però ora penso che me lo devi. Sei gay?”
Messo con le spalle al muro, provò a rispondere a quella domanda: “Non lo so… so solo che le ragazze mi piacciono, ma mi sento così… strano. Non dico di essere più attratto dai ragazzi, ma al momento è come se avessi una gran confusione in testa…”
“Bene” dissi solo, mentre Lele mi guardava con un’espressione perplessa. “Come, bene?”
“Bene perché non sei il solo ad essere confuso”, dissi io, sfilandomi la maglietta e rivelando il reggiseno che portavo sotto di quella.
“Essere stato trattato come una ragazza ha risvegliato in me qualcosa” continuai mentre i pantaloni cadevano a terra, scoprendo un perizoma e un paio di autoreggenti nere “e visto che la colpa è anche tua, mi devi dare una mano a risolvere il problema”
Mi sedetti accanto a lui, e la mia mano sulla sua coscia risalì in fretta verso il suo basso ventre.
“Quello che mi hanno fatto doveva umiliarmi, ma in realtà mi ha eccitato molto. E mi piacerebbe rifarlo, ma non posso sicuramente andare da loro tre. Ecco perché ti ho chiamato…”
Abbassai la zip dei pantaloni, mentre Lele non sembrava volersi opporre a quanto stava succedendo, e il suo membro sottile ma lungo schizzò fuori, finalmente libero.
Lo impugnai, passandomelo sul viso come i bulli avevano fatto coi loro cazzi qualche giorno prima. Ma stavolta non dovevo reprimere i miei desideri, per cui baciai quel bastone dalla pelle di seta, per poi farmelo scivolare in bocca.
Era bellissimo sentirlo in gola, mentre salivo e scendevo in quello che era il mio primo pompino, e sicuramente quell’omaggio orale doveva provocare piacere anche a lui, che non smetteva di gemere, fino a che lo sentii dire: “Oddio… attento Luca…” e poi sussultare riempiendomi la bocca di sperma.
Non provai nessun disgusto, ma al contrario mandai giù quel fluido dal sapore amarognolo eccitandomi ancora di più per quel primo ingoio; continuai a succhiare quel membro che, alla fine, non perse quasi l’erezione dopo aver eiaculato.
Leccare quel bastone di carne mi permetteva di mantenere il viso voltato in modo da non guardare Lele negli occhi mentre, tra una leccata e l’altra, gli chiedevo se gli fosse piaciuto il mio pompino.
“Oddio, Luca… sicuramente non me l’aspettavo…”
“Ecco, questa è l’altra cosa… Ti ho detto che mi hanno fatto sentire FEMMINA, e quindi non posso essere Luca. Posso chiederti di chiamarmi al femminile? …magari… Lucy! E se davvero ti è piaciuto può essere il nostro segreto…”
Mi alzai, decisa a fare la follia definitiva.
Scavalcai le gambe di Lele, guardandolo negli occhi… “Ok’”
Lele non rispondeva, si limitava a fare di sì col capo, mentre io mi sedevo in braccio a lui. Le mie labbra cercarono le sue e iniziarono a danzare in un bacio appassionato, mentre con una mano impugnavo il suo sesso per dirigerlo tra le mie natiche.
La sua cappella si appoggiò all’ingresso del mio ano, da cui avevo scostato il sottile perizoma. Ero sicura di quello che stavo facendo? La risposta non poteva che essere sì. Volevo essere scopata, volevo essere DONNA.
Staccandomi dal bacio guardai Lele negli occhi, e poi spinsi.
Il dolore fu lancinante; sicuramente una cosa era la carota con cui giocavo, un’altra un bel cazzo che ti risale nel retto, allargandosi la strada a fatica, avanzando, dilatando, sfondando centimetro dopo centimetro.
Ripresi a baciare Lele con le lacrime agli occhi mentre quel randello risaliva in me fino a quando sentii sotto le mie natiche le sue cosce muscolose.
“L’ho preso… lo preso tutto…” sussurai, mentre facevo abituare il mio sfintere a quella penetrazione.
Iniziai a sollevarmi piano per poi ridiscendere su quel pistone di carne; Lele, intelligentemente, rimaneva fermo dandomi così modo di adeguare i ritmi di quella prima penetrazione alle esigenze del mio povero culo appena sverginato. I suoi centimetri di carne maschia nelle mie budella mi davano una sensazione mai provata prima, simile a ciò che provavo con la carota ma mille e mille volte più bella.
Senza nemmeno accorgermene, avevo preso ormai a danzare sul suo cazzo, mi impalavo a fondo e sussurravo frasi senza senso, persa nel mio delirio.
“Nel culo… sì… nel culo… scopami nel culo… mi fai godere… oddio… sono sfondata… sono tutta sfondata…”
Lele ormai aveva iniziato anche lui a muoversi, e il mio culo non offriva più alcuna resistenza alla penetrazione, scivolando liberamente su quel cazzo che, a causa del pompino precedente, ora aveva una resistenza molto maggiore.
Chi invece non avrebbe resistito oltre ero io… sentivo avvicinarsi l’orgasmo, il mio primo orgasmo anale, e così baciai nuovamente il mio amico e amante ululando nella sua bocca il mio piacere.
Il mio sperma schizzò sulla sua maglietta, mentre anche lui se ne venne nelle profondità del mio intestino.
Restammo abbracciati, mentre il suo pene, perdendo l’erezione, scivolava naturalmente fuori dal mio ano devastato…