“Capii subito di non essermela rotta, perché un infortunio del genere mi era già capitato, ma capii anche che non avrei più potuto continuare a giocare…”
Le presentazioni, come sempre, prima di tutto. Sono Andrea e la mia
lei è Cinzia. Per tutti i dettagli del nostro rapporto, vi invito a leggere gli altri racconti di vita sempre vissuta, reale, mai inventata o fantasiosa. Siamo una coppia cuck-sweet classica, direi. Ma con questo racconto non voglio parlare di noi, di me e Cinzia, bensì del modo in cui ho scoperto e sviluppato questa sfrenata passione per le corna, per il tradimento. E’ una storia particolare, che ho raccontato a Cinzia soltanto ultimamente, forse perché è molto intima e appartiene a quel complesso di emozioni e ricordi che non si svelano se non alle persone che si considerano assolutamente in sintonia. La racconto a voi perché oggi, in un percorso di vita ed esperienze che ho elaborato al meglio, la considero una bella storia.
E’ una storia che riguarda mia mamma e si svolge un bel po’ di anni fa. Avevo appena compiuto i 18 anni anni e una vita normalissima. Gli amici, le fidanzatine, le intemperanze ormonali tipiche dell’adolescenza. Con lei, mia mamma, Isabella, un rapporto molto bello. L’ho sempre considerata e la considero tutt’ora una mamma perfetta. Gli scontri tra genitori e figli, specie a quell’età, sono normalissimi ma al netto del normale senso di ribellioni di qualsiasi ragazzino ho sempre avuto un bel rapporto con i miei genitori. Con mia mamma e anche con mio papà, un uomo con le palle, una persona determinata ma sensibile, responsabile ma sempre divertente. Insomma, mamma e papà non mi hanno mai fatto mancare nulla, né materialmente né sentimentalmente. Mia mamma è sempre stata una bella donna, elegante senza essere troppo appariscente, ben tenuta senza risultare mai esageratamente provocante. Una donna abbastanza alta, circa 1.70, capelli castano chiari, forme abbondanti. Una di quelle che se si agghindano come si deve la si nota, per intenderci. Ma, ripeto, senza mai oltrepassare quella linea che divide il buon gusto e la bellezza dalla volgarità fine a se stessa. Un bel viso, soprattutto, con due occhioni castani profondi. E una terza di seno che, se messa in risalto, si nota eccome. Mio papà, da parte sua, non è da meno ed è un bell’uomo. All’epoca avevo 18 anni anni ed ero con mia mamma al mare, nella nostra casa in Liguria. Mio papà era in città, lavorava anche in estate e veniva a trovarci nel week end durante il mese in cui noi stavamo con le chiappe al sole. La nostra è una casetta piccola ma carina: è una villetta a due piani, due stanze a piano, con un giardinetto sul retro cui si accede con un breve vialetto dal cancelletto d’ingresso. Dal giardino si accede alla sala tramite una grande porta-finestra ed è proprio su quella porta-finestra che la mia vita è cambiata all’improvviso.
Quel giorno ero in spiaggia con alcuni amici, perché al mare dopo diverse estati mi ero fatto una nutrita compagnia. Ricordo che c’era un torneo di beach volley combattutissimo, con tante squadre e io quel pomeriggio ero impegnatissimo. Ad un certo punto, mia mamma è passata vicino al campo dicendomi che sarebbe tornata a casa. Mi chiese a che ora sarei tornato e io le risposi distrattamente, quasi mi stesse disturbando, che il torneo sarebbe stato lunghissimo e sarebbe andato ben oltre le otto di sera con il campo illuminato. Non ci feci nemmeno caso e la salutai velocemente, lei mi disse che tornava a casa perché era stanca e aggiunse anche “chiamami o mandami un messaggio quando stai per venire a casa così cucino qualcosa”. Tutto normale, nulla di che. Erano le quattro e mezza del pomeriggio ed ecco l’imprevisto. Su un’alzata da manuale, andai dritto per schiacciare, segnai un punto da urlo ma ricadendo la caviglia si girò male. La sabbia è ingannevole e il dolore fu atroce. Capii subito di non essermela rotta, perché un infortunio del genere mi era già capitato, ma capii anche che non avrei più potuto continuare a giocare. Dal bar della spiaggia mi portarono il ghiaccio e provai ad applicarlo per una mezz’ora sperando che passasse il dolore, ma nulla. Riuscivo a camminare ma mai e poi mai a giocare. I due in squadra con me, fortunatamente, riuscirono a trovare al volo un altro per sostituirmi e io assistetti ad un altro paio di partite, incazzato e deluso per lo stop forzato. Il ghiaccio mi faceva bene, ma avevo voglia di prendere un antidolorifico e lì in spiaggia non c’era. Decisi quindi che sarei tornato a casa, poi magari sarei tornato nuovamente al campo in spiaggia a seguire il torneo. Non pensai ad avvisare mia mamma del mio ritorno, perché erano ancora le sei e mezza e per cucinare c’era tutto il tempo. Lasciai la spiaggia e percorsi un po’ zoppicante la strada verso casa mia, in tutto un tragitto di una decina di minuti a piedi.
Entrai nella via di casa, arrivai al cancelletto e con le mie chiavi lo aprii. Dal cancelletto, ci sono due possibilità: si può entrare direttamente in casa oppure si può percorrere il vialetto e arrivare nel giardino sul retro. In giardino abbiamo una canna dell’acqua e dopo la camminata volevo un po’ d’acqua fredda sulla caviglia, per cui imboccai il vialetto. Arrivai in giardino e mi sedetti su una delle sedie in vimini sotto il piccolo portico, proprio di fianco alla porta-finestra che dà sulla sala. Girai la testa, quasi distrattamente, ed ecco il sangue gelarsi nelle mie vene. Il dolore alla caviglia improvvisamente sparì, sostituito da un cerchio alla testa improvviso e da un freddo-caldo mai provato sul viso. Al centro del salotto c’è un divano e su quel divano mia mamma stava andando su e giù su un uomo che era seduto sotto di lei. Sono cose che si possono raccontare con toni da film porno, io preferisco riportarle con le normalissime emozioni che provai, contrastanti. Mia mamma era nuda, con un evidente segno del costume dovuto all’abbronzatura. A 47 anni, da dietro era ancora un gran bel vedere. Era avvinghiata a quell’uomo, le braccia intorno al suo collo, limonavano come ragazzini. Lei muoveva il culo su e giù e vedevo quell’asta notevole che le entrava e le usciva con grande facilità. Lui scostò la testa e lo riconobbi: era un ragazzo che lavorava in una agenzia immobiliare del luogo, avrà avuto circa 30 anni. Lui le leccava avidamente le tette che ad ogni movimento di lei sobbalzavano. Era un bel ragazzo, abbronzatissimo e abbastanza fisicato. Io, immobilizzato, non sapevo cosa fare. Mia mamma, la mia mamma che sta facendo una cosa del genere. In principio fu gelosia estrema. Non riuscivo a capire come mia mamma potesse essere in quel momento in balia di un altro, di uno sconosciuto. Avrei voluto sfondare la finestra, entrare e fare un casino incredibile. Ma ero immobile. Loro non mi vedevano, lei era girata di schiena rispetto a me e copriva il ragazzo. Ero talmente in trance che non ricordo per quanto tempo stettero così. Potrebbero essere 10 minuti come un’ora. Nella mia mente non c’era spazio per ragionamenti lucidi. E in quel momento folle di confusione mentale fu uno shock accorgermi che la scena aveva destato in me anche eccitazione. Mi toccai il costume per verificare ed era proprio così: una follia, appunto, ma guardare mia mamma che scopava come una furia con un altro mi provocava eccitazione. Ricordo che dopo un po’ lui le strinse i fianchi, si irrigidì ed emise una specie di urlo. Lei si fermò, lui continuò ancora per qualche istante. Capii che le era venuto dentro. Rimasero fermi a baciarsi per un paio di minuti, io sempre immobile. Si alzarono lentamente e in quel momento ebbi la prontezza di spostarmi per osservare di nascosto senza farmi vedere. Tenendosi per mano, andarono insieme in bagno. Io non sapevo davvero cosa fare, ma incredibilmente una cosa la feci, la più assurda. Mi tirai fuori il pisello dal costume, me lo menai lentamente due o tre volte e venni anche io con diversi potenti schizzi sul muro.
Mi sentivo svuotato e stranissimo. In quel momento trovai la forza di scappare e di uscire dal cancelletto. Vagai per una bella ora, in preda ai pensieri e alle domande più disparate. Mi salì una gran rabbia pensando a mio padre, in città a lavorare mentre sua moglie, mia mamma, se la spassava a sua insaputa. Da ragazzino qual ero, sentivo dentro di me tanta rabbia, tanta quanta il bene che volevo a mio padre. Decisi senza se e senza ma che gli avrei detto tutto. Se lei lo tradiva, io non potevo tradirlo: lui era il mio eroe, glielo dovevo. Già pensavo alle parole con cui raccontargli quella cosa, quel casino incredibile. In quei momenti archiviai l’eccitazione che avevo provato vedendo la scena come follia, di quelle che possono capitare ma non hanno senso. Tornai a casa imbambolato alle 20, dopo aver mandato un messaggio a mia mamma. Avevo paura, non sapevo come comportarmi. Entrai e lei come sempre venne a darmi un bacio. Mi dava un bacio e un’ora prima stava scopando come una troia. Trovai incredibile quella mutazione. Usai la scusa della caviglia dolorante per isolarmi un po’, per non essere costretto a stare con lei e a chiacchierare con lei. Non so se avrei retto. Me ne andai in camera al piano di sopra e dissi a mia mamma che non avevo fame, che al massimo avrei mangiato qualcosa dopo. Lei alle 23 passò da camera mia dicendomi che andava a dormire. Io, con quel tormento di emozioni, di dormire proprio non ne avevo voglia. Scesi in sala per bere un po’ d’acqua verso l’una. Guardai quel divano, in quel momento il nostro normalissimo divano, che nel pomeriggio era stato teatro di quel groviglio di corpi. Da una parte ero inorridito, dall’altra sempre quell’impulso di eccitazione che non riuscivo a reprimere. Ma volevo parlare a mio padre, l’avrei fatto senza dubbio.
In quell’istante, notai che sul tavolino vicino al muro c’era il cellulare di mia mamma in carica attaccato alla presa e mi ricordai che in quei giorni la presa in camera sua non funzionava. Non so cosa mi prese, mi avvicinai al cellulare. Era acceso. Illuminai il display e schiacciai sulla cartella messaggi. Ero impaurito, avevo paura di scoprire altre sorprese e per quel giorno pensavo che fossero già sufficienti. Pensavo di trovare messaggi di lei con altri, magari con quel ragazzo. Invece c’erano soltanto messaggi con mio padre. C’erano un sacco di messaggi prima delle cinque del pomeriggio, poi silenzio e i messaggi riprendevano dalle sette e mezza. Ne lessi un paio e mi si schiuse un mondo nuovo e inaspettato. “Amore, finito, è andato. E’ stato bellissimo, duro come il muro e enorme, non vedo l’ora di raccontarti di persona” scriveva lei a lui. “Ti amo” rispondeva lui a lei. “ps: venuto dentro, realizzato il tuo sogno!” scriveva lei, “sei tremenda! Lo rivedi?” rispondeva lui. “spero, se riesco assolutamente sì!”. “Queste sono le corna numero…?” chiedeva lui. “siamo sulla decina, corna più corna meno. Queste però davvero toste!”. “Ti amo, sempre di più” chiudeva lui. E da quel momento fu tutta un’altra storia.
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