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Linda la nerd – Capitolo 7

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Nelle puntate precedenti:
Linda, studentessa dell’ultimo anno delle superiori, un venerdì pomeriggio, mentre cerca di trovare il coraggio per entrare in un sexyshop dove comprare un dildo e provare a impraitichirsi nella fellazio, in vista di una folle gara di pompini a cui si è trovata iscritta, in seguito ad un tiro mancino di Francesca, la bulla della scuola, viene letteralmente adescata da Tania, una ragazza di qualche anno più vecchia di lei, che la porta a casa del suo trombamico, Tommaso. Qui il ragazzo scopre, oltre al fatto che Tania si è intestardita di rendere Linda la sua allieva nell’arte del pompino, di essere innamorato della studentessa. Dopo un week end di soddisfacente sesso a tre, la stessa Linda confessa a Tommaso di non poter più fare a meno di lui, e i due decidono di mettersi insieme una volta finito l’anno scolastico, sebbene il ragazzo non sappia come dirlo a Tania, dopo un anno trascorso insieme.

Capitolo 7

La lezione proseguiva ormai da più di mezz’ora, ma Linda non avrebbe saputo dire quale fosse l’argomento. La professoressa era quella di storia, ma per quanto le importava in quel momento avrebbe potuto esserci anche un gorilla, oltre la cattedra, che insegnasse come sbucciare correttamente le banane.

Quella notte si era addormentata molto tardi, eccitata per quanto era successo nel weekend e soprattutto per Tommaso. Diavolo, non erano passate nemmeno un paio di ore da quando l’aveva lasciato e già si sentiva invasa da un senso di solitudine che non aveva mai provato prima in vita sua. Si era trovata costretta a massaggiarsi il seno e poi a mettersi un paio di dita nel suo sesso per darsi pace. Aveva provato a rifare quanto aveva praticato a Tania, come le aveva consigliato lui, ed era stato il miglior ditalino che si fosse mai data, ma non era nulla rispetto agli orgasmi che gli aveva donato lui.

E non era solo una questione di lingua sul suo clitoride, o la bravura del ragazzo. Si era sorpresa, mentre il suo corpo veniva scosso dal piacere che si era causata, nello scoprire che il sesso non era semplicemente un cazzo nella figa che pompasse fino a farla godere, ma quel senso di intimità, desiderio e amore che lui aveva dimostrato nei suoi confronti a darle davvero piacere.

Sospirò rumorosamente, dispiaciuta di non essere tra le sue braccia, a godere anche solo della sua presenza, invece di essere in mezzo a tutte quelle persone che non erano in grado di apprezzarla, o anche solo di accettarne la sua presenza.

– Oh, che cazzo hai, idiota? – sussurrò Marianna, dandole un colpo alla gamba con un piede. – È tutta la mattina che sospiri come un mantice. Ne hai ancora per tanto?

Linda le lanciò un’occhiata, per poi fare finta di tornare a seguire la lezione, ma sentì su di sé l’attenzione, ben poco benevola, di Marianna.

Rimasero qualche istante in silenzio, poi Linda non riuscì a trattenersi dal pensare di nuovo alle mani di Tommaso che l’accarezzavano prima di farla gemere di piacere. Si morse le labbra, eccitata, sentendo le mutandine che si inumidivano, un fastidio all’altezza dell’inguine che iniziò a tormentarla. Non le sarebbe passato da solo, sapeva. Diavolo, avrebbe voluto infilarsi una mano nei pantaloni e immaginare che fossero le dita di Tommaso che la toccavano e la penetravano.

Le sfuggì un gemito. Avrebbe dovuto chiedere il permesso per andare a fare pipì, chiudersi in un gabinetto e masturbarsi perché non avrebbe potuto resistere ancora a…

– Ma che cazzo… – sbottò sottovoce Marianna, dandole una gomitata, stupita. – Ma sei eccitata, nerda?

Linda si spaventò nel comprendere che il suo stato era così palese a tutti. Si voltò involontariamente verso la compagna di classe, quasi volesse negare l’evidenza, ma non ebbe nemmeno il tempo di aprire bocca.

– Sì, sì, sei proprio arrapata! – continuò Marianna, guardandole il volto. Il rossore sulle gote, le labbra più voluminose e gli occhi che brillavano erano segni evidenti, almeno per una come lei. – Cos’hai fatto, hai chiavato nel fine settimana? – domandò, tra l’incredulo e il faceto. – Incredibile, chi è messo così male da volerti scopare?

Linda fu colta da un senso di vergogna per l’idea che capissero cosa avesse fatto nei due giorni precedenti e di rabbia per la mancanza di rispetto per Tommaso. Fu soprattutto la rabbia a uscire dalla sua bocca. – Taci, stronza! – sibilò, lo sguardo che avrebbe potuto incenerire la compagna di classe. – Ti puoi vantare di aver scopato finchè vuoi tutti quelli che ti vedono, ma un amante capace e dolce come il mio non l’hai mai avuto!

E Marianna, invece di intimorirsi, si divertì ancora di più davanti all’alzata di testa di Linda. – Ma almeno il cazzo ce l’ha? No, perché ti ricordo che hai una gara di pompini a cui presentarti, e per fare un pompino serve anche un cazzo, e se il tuo incredibile amante non ce l’ha è difficile che tu capisca come funziona. – esclamò, un sorriso malevole da un orecchio all’altro.

Solo l’intervento dell’insegnante salvò la ragazza dallo uno schiaffo sonoro che Linda stava per assestarle. Tutti si girarono verso di loro, mentre la professoressa tuonava imponendo loro di smetterla di parlare e minacciandole di mandarle dal preside se non avessero smesso.

Linda, ancora più rossa per l’imbarazzo di essere stata richiamata da un insegnate, abbassò lo sguardo sul banco, mormorando delle scuse. Marianna, invece, sembrò non accusare particolarmente il fatto, e lei non nuovo.

Riprese la lezione, la professoressa che spiegava le conseguenze politiche della spedizione delle truppe del Regno di Sardegna in Crimea su ordine del Conte Cavour. Qualcuno lanciò ancora un’occhiata a Linda, ridacchiando sottovoce, ma lei li ignorò.

E continuò a seguire la lezione finchè Marianna non si sporse verso di lei, sussurrando: – Tanto è inutile: sono io la migliore a fare pompini, in tutta la scuola. È inutile che anche solo ci provi, soprattutto tu, nerda. Faresti meglio ad abbandonare la gara.

Linda sussultò. Marianna aveva ragione su una cosa: doveva abbandonare la gara, l’aveva promesso a Tommaso. Più tardi, avrebbe cercato uno degli organizzatori e gli avrebbe chiesto faccia a faccia di annullare la sua iscrizione. E consegnare quel dannato modulo per il corso di fotografia, disperso nella cartella.

***

Grazie all’esperienza guadagnata con anni di pratica, le dita flessuose di Francesca riuscivano a preparare una sigaretta senza perdere più di un paio di frammenti di tabacco, prima di leccare la cartina e rollarla. Quest’ultima fase, poi, la ragazza l’aveva studiata e perfezionata per lungo tempo, e non tanto per migliorare la sigaretta in sé, quanto a catturare l’attenzione, e soprattutto l’immaginazione, dei ragazzi che la circondavano, i quali non potevano smettere di fissare la sua lingua che si muoveva lungo il pezzetto di carta bianca, e gli occhi scuri di lei che li guardavano, con lo sguardo che sembrava dire: “potrei farlo anche a voi, se mi fate contenta.”

E nel caso nessuno la invitasse a cena o ad un fine settimana da qualche parte, era comunque uno sgomitare per poter porle il proprio accendino ed avere l’onore di far brillare, se non i suoi occhi, almeno la punta della sigaretta. Lei tirava un paio di volte, lo ringraziava e lui era tutto felice e soddisfatto, nemmeno l’avesse messa a novanta e passato una notte di passione.

Lanciando un soffio bianco come la nebbia verso il cielo, Francesca si appoggiò alla ringhiera formata da pali di ferro squadrati che cingevano i terreni della scuola. Un altro, inutile giorno era passato dentro quelle quattro mura, e non vedeva l’ora che finisse anche quell’anno. Non aveva di certo intenzione di farsi bocciare anche quella volta, ma prendere il suo inutile diploma di segretaria e sparire da quel sanatorio. Suo padre le aveva promesso un posto di lavoro nell’azienda di famiglia se avesse conseguito la maturità, e per quanto le facesse ribrezzo passare otto ore davanti ad un computer ed un telefono a sentire le balle di clienti che si lamentavano che i camion erano in ritardo o la merce rovinata, era comunque sempre meglio che dover lavare gabinetti in giro per le fabbriche, ovvero ciò che le sue reali capacità le avrebbero permesso di sperare di trovare come impiego.

Ammetteva con la morte nel cuore di essere una capra, e di non poter sperare di migliorare la sua situazione nei pochi mesi che mancavano per la fine della sua carriera scolastica. Si stava impegnando, sebbene non volesse che si sapesse in giro, ma non si illudeva di uscire con molto di più del voto minimo agli esami per potersene andare dalla N. Sandrini senza troppa infamia.

In realtà, la gara di pompini le era sembrata una manna dal cielo, una sorpresa che non si sarebbe mai aspettata. Per quanto Francesca amasse il sesso, e succhiare il cazzo di un ragazzo lo legasse a lei in modo che le fosse possibile sfruttarlo finchè non gli veniva a noia, mai si sarebbe sognata di farlo in pubblico. Assolutamente no. Tutti i ragazzi con cui aveva fatto sesso sostenevano fosse bravissima con la bocca, che fosse la migliore, e lei non aveva dubbi che fosse vero, ma non voleva affatto che le altre imparassero i suoi trucchi, o non sarebbe più stata al culmine della catena alimentare delle scopate della scuola. Ma, cazzo… Se avesse dimostrato di essere brava a spompinare in quella stupida gara, qualcuno l’avesse ripresa mentre faceva venire con maestria il giudice, e poi pubblicato il filmato… Se un qualche talent scout dell’industria del porno l’avesse visto, o magari qualche ricco vizioso… altroché fare le radici alla Tadini Transport, a dire a suo fratello dove consegnare o a spiegare a suo padre perché aveva mandato a cagare il cliente rompicoglioni…

Abbandonò le sue fantasie e tornò a guardare i ragazzi attorno a lei. Un paio parlavano tra di loro di moto, senza mai toglierle lo sguardo di dosso se non per pochi secondi, fingendo di non essere intenti a immaginarla nuda, mentre il vincitore della gara dell’accendino era accanto a lei, anche lui intento a fumare una sigaretta vera: l’equivalente del presentarsi con l’auto sportiva quando tutti avevano vecchie Panda o Ka accidentate.

Lui ricambiò lo sguardo con un sorriso. Lei rispose con un accenno. Non che fosse il suo tipo, ma se poteva permettersi le Marlboro allora poteva pagarle qualcosa da mangiare dopo che avessero fatto sesso. Il sorriso della ragazza si allargò: sì, il suo cazzo sarebbe stata la sua palestra di allenamento alla gara per i prossimi giorni.

Fu sul punto di attaccare bottone, quando vide Linda uscire dal gruppo di studenti che stazionava nei pressi del cancello. L’istinto fu quello di urlarle qualcosa, ma non lo fece: era meglio parlare con il ragazzo accanto a…

La sua attenzione si concentrò ugualmente sulla stupida bionda: era la prima volta in tanti anni che non la vedeva seguire spaventata come una pecora il gregge di studenti che si recava alla vicina stazione dei pullman ma salire su una macchina, e il tutto con la schiena dritta, un sorriso sulle labbra, felice. I suoi genitori, che Francesca sapesse, non l’avevano mai presa al lavoro: avevano un bar o un ristorante e non potevano certo abbandonarlo mentre era pieno di gente per andare a prendere quella sfigata della loro figlia.

Si abbassò sulle ginocchia, ponendosi all’altezza dei finestrini dell’auto. C’erano almeno una ventina di metri di distanza tra di loro, ma la ragazza fu sicura che alla guida ci fosse una donna mora. Linda, dopo aver messo lo zaino sul sedile posteriore e chiuso la porta, salì sul sedile del passeggero accanto al pilota, abbracciò la donna e la baciò.

Le sopracciglia di Francesca si sollevarono quando si rese conto che si stavano baciando sulla bocca. – Che cazzo…

– Ehi, che c’è, Francy? – domandò divertito quello che fino ad un attimo prima doveva essere il fortunato vincitore della lotteria sessuale.

– Non rompere. – tagliò corto lei, il rapporto sessuale passato in secondo piano nella sua mente, sostituito da quanto aveva appena visto e dal mistero che nascondeva. Rimase in quella posizione mentre l’auto si avviava e si allontanava lungo la strada. – Ma che cazzo… – mormorò di nuovo, confusa, alzandosi in piedi.

Proprio in quel momento, nella folla, vide passarle davanti l’amica bionda di Linda, Martina. O Marina. O… quello che era. Superò un gruppo di studenti, e la prese per una spalla.

La ragazza bionda si scosse, allontanando la mano. – Che cazzo vuoi, anche te? – disse. – Non rompere, che devo andare.

– Ehi, datti una calmata. – ribatté Francesca, rendendosi conto di non essere quella con il carattere peggiore della scuola. – Volevo solo chiederti una cosa.

– Beh, allora parla.

Francesca fu sul punto di mollarle un paio di ceffoni, ma non sarebbe stato produttivo, soprattutto considerando che era già una specie di sorvegliata speciale per il suo comportamento negli anni passati a scuola. – Che cosa è successo a Linda? È strana.

La bionda esibì un sorriso malvagio. – Perché, può esserlo più del solito? – sogghigno. – Comunque, credo sia innamorata, non so di quale povero disperato. Chi cazzo si metterebbe con una stramboide come lei?

Francesca non rispose. La sua mente, per quanto non fosse la sede dell’intelligenza più sfolgorante nei paraggi, era al lavoro nella ricerca di qualche possibile conseguenza con quanto aveva in programma, oltre a nuovi modi per prendere in giro Linda. – Grazie, Marina. – disse, sovrappensiero.

– Marianna! – sbottò l’altra, arrabbiata, voltandosi mentre si rimetteva in marcia. – Ma ricorderai il mio nome quando avrò vinto la gara di pompini.

L’altra si limitò a sollevare una mano come a salutarla, sebbene non sentisse una sola parola detta dalla bionda, se non l’accenno alla gara. “Che idiota, Linda, a mettersi con una donna quando dovrebbe allenarsi anche a lei ai pompini.”, pensò con divertimento. “Farà davvero una pessima figura. Ma non che la cosa sarebbe potuta andare diversamente, in ogni caso.”

***

Linda si adagiò con il capo sul petto di Tommaso con un sospiro di soddisfazione.

Lui la strinse a sé, baciandola sui capelli. – Sei stata bravissima. – le disse, stringendola a sé. E non poteva negare che quello era stato uno dei migliori pompini che una donna gli avesse mai dato. Quanto avrebbe voluto sdraiarla sul letto, aprirle le gambe e affondare il suo viso tra le sue cosce, assaporare il suo giovane sesso, leccare le sue labbra, suggere il suo clitoride, sentirla ansimare di piacere fino a farla contorcere con il miglior orgasmo della sua vita.

Ma, se alla sinistra c’era la ragazza di cui era follemente innamorato, come a ricordargli che non gli era possibile, sull’altro pettorale si appoggiò Tania.

– Sta davvero migliorando, la puttanella. – commentò. – Farà faville alla gara. – aggiunse, con una nota di orgoglio che solo i maestri di arti marziali dei film sembravano esprimere nel vedere il proprio allievo prediletto essere accettato nell’annuale torneo di karate.

Tommaso non disse nulla, ma la mano che accarezzava silenziosamente una chiappa di Linda bastava alla bionda per capire quanto lui fosse orgoglioso di lei, facendola sorridere. Il ragazzo chiuse gli occhi, rilassandosi un momento, lasciando che le due ragazze si perdessero nelle loro chiacchiere: com’è andata la scuola per Linda, il lavoro per Tania, dove prevedevano di andare in vacanza quell’estate. Gli sembrò impossibile che le due potessero andare tanto d’accordo, considerando che stavano competendo per lo stesso uomo, e Tania stava, senza saperlo, perdendo, battuta da una ragazza che fino a una settimana prima non sapeva quasi fare sesso e che lei stessa aveva e stava istruendo, insegnandole i suoi trucchi e segreti migliori.

Non per la prima volta, Tommaso si domandò come l’avrebbe presa la sua trombamica quando l’avrebbe scaricata per fidanzarsi con Linda. Sarebbe stato meglio non farglielo sapere mentre quest’ultima era presente: non si prospettava uno spettacolo particolarmente piacevole.

Aprì gli occhi e si sporse oltre la testa di Tania, leggendo l’orario sulla sveglia accanto al diffusore di aromi a ultrasuoni che da un paio di ore o tre riempiva la camera di profumo di pesca. – Mi sa che devo andare alla lezione di krav maga.

Tania sbuffò. – Oh, devi andare anche questa sera?

Il ragazzo chiese a Linda di spostarsi un po’ e si mise a sedere. – Cara mia, devo proteggermi dalle ragazze che cercando di trascinarmi nei vicoli per farsela leccare. – rispose, scendendo dal letto e avvicinandosi all’armadio. Aprì un cassetto e cominciò a estrarre un paio di magliette blu scuro, pantaloncini e calzini, ponendoli in una sacca da palestra verde.

– Non dimenticare il sospensorio. – gli ricordò Tania. – Non voglio che facciano del male al tuo uccello. – spiegò con un occhiolino.

– Dovrei iscrivermi anch’io. – disse Linda. Tommaso non ebbe difficoltà a leggere tra le righe e capire che la sua idea era essenzialmente un modo per restargli vicino.

Tania non aveva mai visto particolarmente di buon occhio l’abitudine di Tommaso di fare sport. Per lei l’unica attività fisica era quella che si compiva in camera da letto, e le sue maratone si svolgevano dentro e fuori dai negozi di abiti. Nonostante questo, fu d’accordo con la studentessa. – Beh, dopo che avrai stracciato le tue avversarie, sarà meglio se sai allontanare le invidiose e gli spasimanti. – concordò, sebbene non fosse difficile ritrovare una sfumatura di ironia nelle sue parole. Poi si avvicinò alla ragazza e iniziò ad abbracciarla e baciarla.

Linda ricambiò volentieri le attenzioni della sua insegnate.

– Quando avete finito di limonare, posso portare io a casa Linda. – disse Tommaso, chiudendo la sacca e prendendo il necessario per farsi il bagno. – Ma sembrerebbe che siate troppo impegnate per ascoltare…

***

Tommaso, in realtà, seppe solo quella sera, con precisione, dove abitasse davvero la ragazza di cui era innamorato.

Dopo essersi lavato e aver lasciato che anche Linda si desse una rinfrescata in bagno, avevano salutato Tania che si era messa ai fornelli a prepararsi qualcosa di non più complicato di un paio di toast con un pomodoro ed erano saliti sulla macchina del ragazzo, una Punto blu di seconda mano. Non si erano scambiati molte parole durante il viaggio, che non era durato comunque molto: la ragazza viveva dall’altra parte di Caregan, ma il traffico era scarso e la cittadina non era poi tanto grande, e in meno di dieci minuti erano sotto il condominio dove abitava la famiglia Zanetti.

La Punto rallentò uscendo dalla strada ed immettendosi in un piazzale dal fondo composto da cubetti grigi circondata da condomini formati da una dozzina di piani ciascuno, illuminata dalle ultime luci della sera. Tommaso lanciò un’occhiata fuori dal finestrino mentre si fermava in un posto auto libero, osservando gli edifici. Non erano particolarmente alti, e non sembravano neppure troppo impressionanti esteticamente, ma il ragazzo suppose fosse comunque meglio che vivere in una casa popolare. Erano circondate da un giardinetto composto da un semplice prato tagliato di fresco con un paio di vialetti scortati da quelle che dovevano essere luci esterne per renderli visibili di notte. Il muro del piano inferiore era pitturato di un marrone che ricordava quello delle confezioni della Coppa del Nonno, in cui si apriva un portone con le imposte di vetro; sopra lo stesso, per ogni piano, di un marrone più chiaro, si ripeteva una terrazza con la ringhiera bianca fino a raggiungere il tetto, affiancata a sinistra da una finestra mentre a destra erano una coppia. Attorno alla piazzetta sorgevano cinque condomini identici, che incombevano su di loro come se stessero scrutando delle formiche capitate per caso in mezzo a loro.

Per qualche motivo, Tommaso si sentiva osservato, ma cercò di non pensarci. Si rivolse a Linda, ma non fece in tempo ad aprire bocca che si ritrovò le labbra della ragazza contro le sue. Lei sembrò mettersi in piedi nella macchina, mettendo le mani sulle guance del ragazzo, come se temesse che fuggisse, e iniziò a baciarlo.

Lui non oppose resistenza, ma anzi le dimostrò il suo apprezzamento appoggiando una mano sulla sua nuca e facendo scivolare la punta della lingua tra le sue labbra. Lei aumentò l’impeto della sua passione, e per un paio di minuti rimasero in quella posizione, ignorando chi passasse e li guardava, invidiosi o meno che potessero essere. Non pensarono nemmeno al rischio che i genitori di lei o qualche suo conoscente potessero scoprirli.

Si staccarono con il fiatone ma soddisfatti, continuando a baciarsi con lo sguardo, persi ognuno negli occhi dell’amante.

– Mi mancherai, Linda. – confessò lui.

– Anche tu mi mancherai. – disse lei. – Diavolo, quanto mi sento sola quando non ci sei tu…

Tommaso le prese una mano tra le sue. – Abbi pazienza, amore.

Un sorriso le illuminò il viso e l’anima a quella parola. – Venerdì pomeriggio i miei non ci sono. – disse Linda. – L’appartamento è libero e… – lei si interruppe, arrossendo, ma fu semplice per lui capire cosa volesse aggiungere.

Tommaso la baciò sulla fronte. – Troverò una scusa con Tania per non essere a casa mia ma nella tua.

– Sì! – trillò la ragazza, abbracciandolo. – Faremo l’amore tutto il pomeriggio.

Lui l’abbracciò a sua volta, e se si chiese se Linda fosse diventata anche lei una malata del sesso come Tania o se, dopo un periodo in cui non avesse voluto far altro che l’amore, avrebbe accettato anche attività in cui era consigliabile l’uso di abiti e magari all’aperto. Beh, avrebbe visto in futuro, e doveva ammettere che al momento anche lui non riusciva a pensare ad altro che dare piacere alla ragazza che sedeva accanto a lui.

– Comunque, mi sa che qui ci sono già stato. – confessò lui, dopo che lei l’aveva liberato da suo abbraccio. Si guardò attorno, osservando i condomini. Per qualche motivo sembravano affliggerlo. – Forse…

Linda lo guardò, senza dire nulla per qualche secondo, confusa.

– Ah, – disse infine lui, ricordando, – qui abita… come si chiama… – Fece schioccare un paio di volte le dita di una mano, come se questo potesse richiamare alla memoria un nome. – Tipo…

La ragazza lo guardò incuriosita. – Qui è pieno di gente che va e viene. Penso di conoscere un decimo delle famiglie che vivono nella zona. Ma era un tuo amico?

Lui ricambiò lo sguardo. – Chi? Oh, per nulla. Era un coglione fatto e finito. Veniva a scuola con me, gli ultimi anni delle superiori. Credo l’abbiano bocciato a raffica.

Lei fece una smorfia come se stesse guardando un ragno peloso intento a succhiare il sangue ad un pipistrello. – Ah, stai parlando di Mauro? Alto, magro, sorriso da idiota perennemente sul suo brutto muso? – Ad un accenno del ragazzo, che sembrò imitare l’espressione di Linda, lei confessò: – Mi mette i brividi, quello stronzo. – indicò uno dei condomini fuori dal finestrino. – Abita lì, non so in quale piano, ma è proprio davanti alla finestra della mia camera.

Tommaso non disse nulla, ma nella sua mente compativa la ragazza: lui aveva dovuto passare due anni in classe con quell’idiota, e lo avevano segnato. Era violento, di una stupidità intellettiva e sociale che sembrava quasi ci si mettesse d’impegno per raggiungere livelli tanto eccelsi. Uno che, invece di studiare, avrebbe dovuto ricevere a sei anni una zappa ed un paio di ettari di terreno da dissodare: non avrebbe di certo potuto dare contributi alla razza umana in altra maniera.

Il ragazzo fissò il condominio che la ragazza indicava. Sì, adesso ricordava che anche un suo compagno delle superiori, un giorno che erano passati nei pressi, gli aveva detto che Mauro abitava in quell’edificio. Forse era per quello che, in seguito, aveva sempre inconsciamente evitato quella zona di Caregan.

Si diedero un ultimo bacio, Tommaso che prometteva di liberarsi per venerdì pomeriggio per andare a casa sua. Lei fu davvero felice a quelle parole.

Lui la guardò entrare nel suo condominio con lo zaino sulle spalle dopo che lo ebbe salutato un’ultima volta prima di scomparire nelle viscere del grande edificio, poi fece manovra ed uscì dalla piazzetta. Si chiese come si sarebbe comportato con le ragazze che avrebbe incontrato alla lezione di krav maga e spesso ci provavano con lui: un paio gli piacevano, ma se non aveva concluso con loro mentre frequentava Tania, adesso non ci sarebbe stata più nessuna speranza le ragazze.

CONTINUA…

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Etero

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