LES ATLAS

“Naturalmente c’erano solo uomini, di ogni razza e colore vista la varietà etnica parigina, ma solamente maschi che si disponevano ovunque nelle due sale…”

“Or incomincian le dolenti note a farmisi sentire;
or son venuto là
dove molto pianto mi percuote.”

Se esiste un inferno per i depravati, quello si trova proprio nel cuore di Parigi, là dove è ancora possibile ammirare gli ingressi delle stazioni della metro incorniciati dagli steli in ferro battuto di piante esotiche attorcigliate in ghirigori liberty e quella mattina di fine aprile, mosso da una forma di curiosità quasi antropologica, Pierre aveva deciso di andare in uno di quei vecchi cinema a luci rosse ormai in via d’estinzione in ogni città del mondo occidentale, uno di quei vecchi teatri dal passato glorioso che non aveva tenuto il passo con la modernità convertendosi in uno spazio dove non esistevano né la morigeratezza e né il pudore.

Il passaggio dall’esterno luminoso e assolato a quel luogo buio richiese ai suoi occhi qualche minuto per abituarsi, perciò rimase fermo, immobile, poco oltre l’uscio che si era richiuso alle sue spalle; il tanfo del sesso era già forte nonostante fossero solo le 10 di mattina, un mix umido di piscio e sudore che lo colpì alla testa prima ancora che alle narici che si aprirono, mentre il cuore accelerava.
Il videoproiettore riversava un rapporto anale “interacial”, un cazzo bianco entrava e usciva da un buco di culo nero, reso ancor più nero dalla patina di lerciume accumulatasi negli anni sullo schermo centrale, mentre gemiti di piacere soffocati dal pessimo impianto acustico a stento arrivavano alle sue orecchie. Pian piano emerse la sala, e nella sala iniziò a distinguere una mezza dozzina di teste sparse in platea, altrettante in movimento lungo i corridoi laterali e sulle scalette d’accesso alla galleria ai lati del cubo centrale che nascondeva i proiettori, uno classico con la pellicola e poi quello per i DVD, in funzione proprio in quell’istante, usato nelle pause necessarie al cambio delle pizze; iniziò così ad esplorare prudentemente quel girone a caccia di dannati.
In cima alla ripida scala di destra, proprio all’altezza della prima fila della galleria, due porte davano accesso ad altri percorsi, uno che scendeva di nuovo verso il basso, al di sotto della platea, dove, in un’altra sala più piccola, veniva mostrato ad uno sparuto gruppetto di spettatori, un amplesso di fattura tedesca, l’altro invece si addentrava nel cuore nero di quell’inferno che per il momento il giovane decise di non varcare.

Col passare del tempo, da acuto osservatore quale era, percepì chiaramente il ciclo che si consumava nell’arco di un’intera giornata: il mattino era degli anziani, liberi da impegni lavorativi e bisognosi di riempire il loro tempo, poi, via via, il pubblico aumentava mutando più volte aspetto. Un uomo entrò nella sala grande e rapidamente andò a sedersi nella prima fila laterale della platea a pochi metri dallo schermo; la vista di Pierre era ormai tarata nella funzione notturna, così vide chiaramente il suo daffare, il frugare nel borsone che si era trascinato dietro e, come un abile trasformista del Moulin Rouge, in pochi minuti quell’uomo crisalide diventò una farfalla con tanto di parrucca bionda arruffata e tacchi alti, poi, dopo l’ultimo colpo di cipria, chiuse lo specchietto nella mano sinistra e si alzò di scatto iniziando a gironzolare con passo traballante per la sala, borsa a tracolla, scrutando il pubblico con languida attenzione seduto qua e là.
Nel pomeriggio comparvero dal nulla altri pittoreschi clown in guêpière, forse una trans, ma, soprattutto, si abbassò l’età media degli avventori grazie ai giovanissimi, quasi tutti dalla pelle nera, con il loro abbigliamento urban jungle, le tute in acetato, i cap con la visiera e l’aria strafottente di chi sa di essere come il miele per le mosche, che presero posto nelle ultime file in galleria, stravaccati, spesso in gruppi, come comitive di amici che preferivano radunarsi lì invece dei soliti muretti: ogni tanto uno di loro si alzava e s’infilava in quell’antro oscuro di lato alle scale d’accesso alla seconda sala, per poi riuscirne dopo pochi attimi.

L’ispezione, la perlustrazione, accomunava tutti, bianchi e neri, giovani e maturi, umili e facoltosi, trasformandoli in cacciatori e allo stesso tempo in prede e Pierre osservava tutto restandosene in disparte, seduto in un angolo, allontanando le persone che ogni tanto, fingendo di non vederci bene, tastando i sedili rivestiti di logoro velluto, tentavano di sedersi accanto a lui; vedeva chiaramente mani che, ad arte, fugacemente, sfioravano il pacco degli uomini in piedi appoggiati alle colonne e alle pareti, un invito tattile ad esser seguiti in un qualche angolo più buio e privato, invito spesso accettato; non gli sfuggivano le teste che ogni tanto emergevano accanto ad uno spettatore dopo un pompino o i capannelli che improvvisamente si formavano intorno a qualcuno per poi dissolversi rapidamente. Un omone di origini africane en travesti, crollò sulle scale tradito dai tacchi troppo alti e dalla scarsa attitudine, imprecò rialzandosi, mentre altri sorrisero alla scena.
Nel tardo pomeriggio a completare quel mosaico umano, arrivarono gli impiegati, i colletti bianchi, alcuni con la 24 ore, finalmente in libera uscita dopo una giornata di lavoro e di routine. Naturalmente c’erano solo uomini, di ogni razza e colore vista la varietà etnica parigina, ma solamente maschi che si disponevano ovunque nelle due sale secondo un codice preciso non scritto: nelle prime file, per non esser disturbati dall’attività onanistica, a metà sala, in attesa di bocche volenterose e nelle ultime file, per potersi loro stessi avventare sul cazzo del vicino.

L’aria era densa, l’odore sempre più marcato, ogni tanto qualcuno si accendeva una sigaretta in barba al divieto, ma quell’inferno pulsava sempre più in un ritmo caldo e tribale; ovviamente nessuno era lì per vedere i film in programmazione, nonostante sembrassero produzioni recenti, piuttosto tutti si muovevano irrequieti, anche da seduti, in un vorticoso salire e scendere, entrare e uscire, come in una danza lenta ed ipnotica e al sonoro delle pellicole si aggiungevano ogni tanto i gridolini strozzati di qualcuno seduto sulle 3 gambe di qualcun altro, il clangore delle cinghie che si slacciavano e lo sbattere dei sedili che si richiudevano non appena ci si alzava. E poi c’era quell’ininterrotto entrare e uscire dalla seconda porta in cima alla scala di destra che, Pierre decise, era arrivato il momento di varcare.

Non aveva mai amato i posti per così dire promiscui. Certo, le esperienze le aveva fatte, un paio di privé per scambisti, qualche locale gay, ma solo per pura curiosità e tutte in età adulta, giusto per confermare l’idea che si era fatto: in quei luoghi si cedeva rapidamente alle tentazioni ma anche ai rischi. Per quale ragione avrebbe dovuto prendere in bocca un pisello che sicuramente aveva già visitato altri orifizi o leccare una vagina sfiorata da altre lingue e altre mani nell’arco di una serata?

Appunto, nessuna.

Non si vedeva nulla lì dentro, buio totale, ma si percepiva tutto; avvertiva altre presenze così come avrebbe fatto una bestia impaurita, il caldo era opprimente e poi la puzza, cazzo, sembrava di essere in un… la fiammella balenò per un secondo e in quel tempo minuscolo vide i pisciatoi allineati lungo una parete, un lavandino otturato colmo d’acqua e decine di anime, alcune semplicemente poggiate spalle ai muri in un’eterna attesa, altre ammucchiate in una piccola cerchia, sicuramente a cingere qualcuno che, accovacciato, distribuiva sollazzi con la lingua e la bocca a destra e manca. Quel flash tremolante fissò altre stanze e altre nicchie ai suoi occhi mentre dal vano d’ingresso, debolmente illuminato dal chiarore del film nella sala, arrivavano altre persone; un ragazzo puntò il telefonino usandolo come una piccola torcia e così poté scorgere un anziano spettro con le braghe calate, immobile, abbracciato al lavandino lurido e un altro ancora che stava inculando un travestito.
Una mano gli toccò la patta, scattò e la scostò bruscamente ricevendo in cambio un debole “Pardon!”. Poteva bastare.
Uscì da lì quasi correndo, urtando un paio di corpi e in tutta fretta guadagnò l’uscita di quella scatola cinese infernale. Provò imbarazzo all’idea di esser notato mentre usciva di lì e così si diresse rapidamente e a testa bassa verso la stazione della metro lì davanti, sull’altro lato della strada, riempiendosi i polmoni con l’aria fresca della sera.

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Orge

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