è certamente piacevole crogiolarsi oziosamente nell’accogliente struttura turistica di Sharm el Sheik, ma dopo qualche giorno, dato il mio carattere ero alla ricerca di qualcosa di diverso, di nuovo. La mia ansia di conoscere mi rendeva irrequieto.
Ahmed Ben Ammi, il proprietario-gestore del bazar di souvenirs con quale avevo fatto subito conoscenza, e posso dire che eravamo entrati in quella particolare cordialità che ogni tanto lega il turista alla gente locale, fino a chiamarla amicizia, mi aveva detto, dapprima, di fare un salto al Cairo, in aereo, ovviamente, ma gli avevo risposto che lo conoscevo abbastanza bene. Volevo vedere qualcosa di nuovo.
‘Perché non andare in auto al Blue Desert?’
‘Cos’è, sabbia blu?’
‘E’ una vasta aera di pietre, rocce, che nel 1980 il Belga Jean Brame, di pinse di blu, quel blu che usano i caschi blu dell’ONU, che viene detto ‘blu pace’. Lo ha fatto proprio per richiamare l’attenzione sulla pace, in questa terra che di pace ne conosce poco, da sempre.’
‘Non è una cattiva idea. E cos’altro potrei vedere?’
‘Anche la Blu Hole, una specie di grotta azzurra con uno splendido fondale, per non parlare di Dahab e della sua sabbia. Sai, Dahab significa oro. E poi potresti andare alla Montagna di Mosé, il Gebel Musa, e arrampicarti lungo i quattromila gradini che conducono a quota 7498 piedi. E’ il cammino di Mosé, Path of Moses, Sikket Saydna Musa, con a destra e manca i cespugli di spine, i seneh, di cui parla la tua Bibbia, come quello del roveto ardente. In alto, vicino al Monastero di santa Caterina, potremo riposare al piccolo Salam Hotel.’
‘Potremo? Perché, verresti anche tu?’
Mi batté la mano sulla spalla, sorridendo.
‘Come potrei lasciarti solo. Ti perderesti.’
‘Potremmo noleggiare un’auto con autista.’
‘Perché, la mia Land Rover non ti piace, o non ti piace il modo come guido?’
‘Questo te lo potrò dire dopo che avrò conoscenza di entrambe le cose. Sia chiaro, comunque, che ogni spesa sarà a mio carico.’
‘E’ il minimo.’
‘E come farai col tuo bazar?’
‘Ci penserà mio cugino.’
Era cominciato così, ed ora siamo a prendere fiato lungo il Path of Moses.
Ahmed era una guida perfetta, e gli chiesi come mai conoscesse così bene luoghi ed eventi, richiami storici, e perché non utilizzasse questo suo sapere come preziosa guida.
‘Perché non è il mio mestiere, e perché molti turisti, quasi tutti, di ascoltano distrattamente, con qualche curiosità , a volte, ma raramente con interesse. Sarebbe la classica voce nel deserto.
Mi piace la mia terra e la mia gente, e credo che gli eventi si susseguano, si ripetano, nel tempo, ed io voglio conoscere il passato, per sapere il presente e prevedere il futuro.’
Lo seguivo con attenzione, avvinto dal suo racconto, incantato come i bambini che avevo visto intorno al vecchio affabulatore in un ombroso cortile di Marrakesh.
‘Vedi, forse è il destino del mio nome, Ben Ammi, della mia storia che a qualcuno farà arricciare il naso, perché certe cose devono restare nascoste. Ogni casa ha i suoi scheletri nell’armadio. Ma io non voglio scheletri, accetto gli eventi, perché se sono accaduti significa che dovevano accadere, e l’uomo nulla avrebbe potuto fare per evitarli.
Devi tornare con la mente a più di trent’anni fa, prima della mia nascita. La mia famiglia era perseguitata, la mia casa fu distrutta. Unica colpa e di voler difendere la nostra terra. Solo un giovane figlio e due sue sorelle, riuscirono a sfuggire al massacro e si rifugiarono in un anfratto della roccia. Avevano poche cose, qualche animale. Aran usciva qualche volta, di notte, a cercare qualcosa da mangiare a riempire la ghirba al pozzo più vicino. Lasciava le sorelle nella grotta, raccomandando loro di non uscire, per nessun motivo.
I persecutori scorrazzavano predando, distruggendo, uccidendo.
Nello spazio angusto della caverna i tre giovani speravano di sopravvivere.
Aran, stanco per le scorrerie della notte, dormiva sulla vecchia coperta che serviva per tutti e per tutto. Era discinto. Giovane, bello. Certamente sognava qualcosa. Il suo sesso si ergeva poderosamente, come a sfidare il cielo. Maaca e Acsa lo guardavano affascinate, vogliose, impazienti, smaniose. La loro esuberante natura esigeva la conoscenza del maschio, e quello era l’unico.
Erano sedute accanto al fratello, ed erano tormentate dal turbamento delle loro viscere, dal richiamo dei sensi, le esigenze del sesso.
Maaca, timorosa e insicura, allungò la piccola mano e lo toccò appena. Scese lentamente lungo la vigorosa asta e carezzò i testicoli sentendo che si muovevano piano. Vivevano. L’espressione di Aran non mutò. Lei divenne più ardita, forse imprudente, risalì al glande e lo strinse nella mano. Le grosse vene pulsavano, e quel fremito si ripercuoteva in lei, nel suo grembo. Acsa la guardava sgomenta. Invidiosa, gelosa. Quello era loro fratello. No, era un maschio, bellissimo, desiderabile. Sentiva già la voluttà di riceverlo in lei’
Aran si mosse appena, Maaca si fermò un attimo, poi riprese la sua voluttuosa carezza. Ancora un poco. D’improvviso, staccò la mano dal sesso del fratello e la portò a frugarsi tra le sue gambe.
Quando Aran si svegliò, tutto sembrava procedere come al solito.
Quella visione, però, quel contatto, avevano sconvolto Maaca e confuso Acsa. La prossima volta anche lei avrebbe voluto azzardare lo stesso toccamento, e già , con la manina aperta, le sembrava di carezzare il sesso del fratello, del maschio.
Fu l’indomani che, come sempre, al ritorno nella grotta, Aran si sdraiò per riposare, ma prima si soffermò a guardare le sorelle, fissandole, come se gli occhi volessero passare attraverso le leggere vesti che indossavano sugli acerbi corpi nudi. Si fermò un istante a riflettere, Acerbi? Non più, erano due splendidi frutti maturi, in attesa di essere colti e assaporati. Era la prima volta che si eccitava nel contemplare le sorelle. E quando s’allungò sulla coperta il sonno (?) lo sorprese col suo obelisco svettante.
Acsa e Maaca gli furono subito vicine. Fu Acsa ad allungare la mano, decisa e meno cauta della sorella. Era bello accarezzarlo, più di quanto immaginasse, e seguitando a fissarlo, lo immaginava in sé, meravigliosamente invadente ed appagante. Non si era accorta della sorella che, completamente nuda. andava accocavviandosi sul fratello, fissandolo con desiderio, facendo in modo che il grosso glande fosse tra le labbra della sua vagina umida e fremente. Incurante di tutto, si abbassò lentamente, ricevendolo in sé quanto poté, restando un attimo immobile e poi dondolandosi estatica, sempre più eccitata fin quando sentì invadersi da un violento getto ardente che le fece perdere la nozione di quanto stava accadendo. Né si era accorta, che Aran, l’aveva afferrata per le natiche, e ne accompagnava i movimenti.
Rimase seduta sul fratello, sentendolo in sé, voluttuosamente. Quando si alzò, liberandolo dalla sua stretta, Aran sembrava dormire ancora, ma il suo viso era più bello che mai, inebriato.
Acsa aveva assistito soffocando il grido che le stava per sortire dalle labbra. Avrebbe voluto dire qualcosa, fare’
La sorella le fu accanto. Le carezzò il volto.
Domani tocca a te
E fu un attendere penoso. Sentiva lo struggimento del suo grembo. I spasmi del desiderio. Quando fu sera, e tutti erano sulla coperta che mitigava la durezza del suolo, fece in modo di essere vicino ad Aran, di percepirne il suo tepore. Sapeva che mancava poco alle sue solite uscite notturne, e voleva profittare di quei momenti. Il fratello era nudo, steso su un fianco, con la schiena a lei. Sollevò la sua veste e si avvicinò col pube a quei sodi ed attraenti glutei. Sentiva che la peluria del suo sesso lo carezzava. Allungò la mano. Ecco, quello era il sesso di Aran, e andava imbaldanzendo, lievitando a dismisura, fino a divenire un caldo nerboruto randello che palpitava tra lue piccole dita. E lo carezzò’ Aran si girò di colpo, sempre con gli occhi chiusi e il respiro pesante. Si voltò anche lei. La punta di quel bastone, come una grossa impugnatura, andò a incunearsi tra le sue morbide e vellutate natiche, che si sentirono spalancare da quell’invasore possente che premeva sul suo piccolo e intimorito sfintere. Non sapeva che fare. La mano di Aran le aveva afferrato una mammella e le titillava il capezzolo che s’era indurito come il fallo che le pigiava dietro, l’altra mano del ragazzo la stava frugando tra le gambe, un grosso dito stava introducendosi in solo, solo un poco, ma quel tanto che la faceva godere pazzamente. Il glande di Aran non insisteva, ma si agitava sempre più in quel caldo ricettacolo, e tale fu il piacere che il seme si sparse tra le natiche della fanciulla, giù, tra le gambe, impiastrandole la peluria, e sembrava non dovesse mai finire.
Dopo un po’, Aran si alzò, indosso la veste, uscì.
Si, era il suo turno.
Aran era nella sua solita posizione, col fallo eretto come non mai. Chi ne avesse fissato gli occhi chiusi, però, avrebbe dubitato del suo sonno.
Acsa era su di lui, le gambe aperte, impaziente. Dubbiosa che la sua piccola vagina potesse contenere quell’incredibile battaglio. La sorella, però, ne era stata capace. E’ vero che era molto più robusta di lei’ Comunque, doveva provare. L’averlo sentito tra le natiche la notte precedente, aumentava il timore ma ne accresceva il desiderio. Lei era più della sorella, più sessualmente esigente, non riusciva ad agire con la necessaria cautela. Per questo, cominciò a impalarsi, decisamente’ Era più facile di quanto immaginasse, e un lieve doloretto iniziale andava trasformandosi in voluttà . Era meraviglioso! Aran era in lei, lo sentiva. Ed anche lui sentiva. Pur sempre con gli occhi chiusi, le aveva afferrato le mammelle e le strizzava come se volesse mungerle sentendo col suo pene le reazioni del grembo di Acsa o quel voluttuoso titillamento. Lunghe ondate di piacere andavano travolgendoli sempre più, fino al grido della fanciulla, come di cavaliere che abbia raggiunto la meta. E lei la raggiunse, trafelata e sudata, deliziosamente affranta, ricevendo dentro di sé il caldo omaggio del maschio che aveva già pallidamente conosciuto.
Quel dormire mentre le sorelle lo stavano golosamente spompando durò per un certo tempo. Poi, senza parlare, le cose divennero accettate, anzi desiderate. Aran era infaticabile, sempre più vigoroso, e le due femmine non avevano di che lamentarsi.
Ora era Maaca che si faceva prendere come aveva visto fare alle pecore, ora era Acsa che lo eccitava passandogli lungo tutto il corpo le sue prospere mammelle, sì che i duri capezzoli lo eccitassero pazzamente. Era il suo modo di prepararsi il banchetto.
Il seme di Aran sembrava inesauribile. Era denso e dolce come il miele. La linfa che distillava dalle voraci vagine delle femmine, sapeva di ambrosia. Entrambe le cose erano il più confortevole balsamo per chi ne gustava. I sessi di quei gagliardi giovani.
Non orge, no, ma gioiosa partecipazione alla prodigalità della natura, in un tripudio di ventri, natiche, mammelle, e di un unico ma sempre vittorioso signore degli abissi custoditi tra le gambe delle donne.
Da una di quelle donne sono nato io. Non ho mai saputo da quale. Le chiamavo ‘madre’ tutte e due.
E il mio nome dice tutto, Ben Ammi, il figlio del parente.
Ciò mi induce a credere che mia madre sia Acsa, la minore delle sorelle, così come Ben Ammi fu chiamato il figlio della più giovane delle figlie di Lot.’
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