“Le mammelle di Samira mi stavano, pesanti, nel palmo delle mani…”
Le mie calde allieve – Capitolo 4
Mariella e Samira mi
avevano sconvolto la vita. Di solito, con una ragazza più grande la scopata mi
placava, mi permetteva di pensare poi ad altro, di sentirmi libero di spirito. Invece, le possibili avventure con quelle due piccole mi ossessionavano giorno e notte. Quelle troiette popolavano le mie fantasie, assillavano le mie notti. I loro corpi, la loro figa, la loro bocca, i loro seni mi sfilavano davanti agli occhi nelle ore insonni, costringendomi a masturbarmi fino alle ore piccole quando finalmente i miei occhi arrossati trovavano qualche ora di riposo.
Non avevo ancora avuto l’occasione di vivere realmente le mie fantasie con una donna. Ero sempre stato un fottitore coscienzioso, avevo sempre cercato di dare a ciascuna delle mie partners un piacere sostanzioso, da bravo uomo del sud. Adoravo sedurre, mi piaceva scopare, ma lo confesso, sia per la conquista sia per il piacere. Volevo far urlare le donne perché ritenevo che questo fosse il mio ruolo, il mio dovere. D’altro canto non capivo veramente bene le ragioni profonde di quegli eccessi isterici ai quali alcune di loro andavano soggette.
La cosa era molto diversa con quelle due giovani sgualdrine che avevo scoperto. Il mio desiderio ora percorreva nuove strade, vagabondava per sentieri sconosciuti… stavo scoprendo l’ossessione del vizio, in me si rivelava un nuovo mister Hyde. Desideravo far subire di tutto a quelle mie ragazze impure. Non ero più l’adulto padrone di sé, il sereno iniziatore, bensi lo schiavo di un desiderio morboso e perverso. Le incastravo a turno, molto imprudentemente, in fondo a qualche corridoio, in uno spogliatoio deserto, dietro a una montagna di tappetini di ginnastica, nei gabinetti della scuola, succhiavo loro i capezzoli, le masturbavo… Raramente avevo modo di andare oltre. Stremato per la frustrazione, finii per passare alle vie di fatto. Fu Samira a farne per prima le spese e fu Silvia che, inconsapevolmente, mi venne in aiuto, portando in palestra un materassino di gommapiuma che io trovai decisamente provvidenziale.
«Era un peccato buttarlo via», mi spiegò mentre l’aiutavo a trasportarlo.
Quella ci parve l’occasione buona per fare un po’ d’ordine nel locale. Decisi che avrei preparato una sorta di trappola per la mia visitatrice della sera. Non dimenticai l’indispensabile tubetto di vaselina che misi nella scatola dei medicinali, tra le altre pomate. Chissà quanti baci e quanti palpeggiamenti ci saremmo scambiati prima di arrivare al dunque! Già vedevo la piccola sdraiata sul materasso, con le chiappe nude e la figa ben lubrificata. Quel solo pensiero mi faceva fremere. La sera successiva, quando venne a bussare con discrezione alla porta, Samira era totalmente all’oscuro di quanto l’aspettava nel nostro rifugio galante. Si ritrovò distesa sulla gommapiuma senza nemmeno aver avuto il tempo di rendersi conto delle mie intenzioni. Dopo averle dato un bacio veloce, la feci ruotare sul ventre e le abbassai i pantaloni sino alle ginocchia.
« No! No! Devo tornare a casa!».
«Non preoccuparti! Non durerà più del solito!
Lasciami fare… Vedrai che ti piacerà!».
Mi spalmai la mano di vaselina e gliela infilai nel culo per lubrificarle l’ano. Le dita entrarono senza fatica. Era una pacchia! Me le pulii sulle sue candide chiappe che allargai per mirare bene. Quindi infilai la verga in quel buchetto violaceo.
Samira cercava di guardare, continuava a girare la testa e io con la mano sinistra la schiacciavo sul
materasso morbido.
«Che cosa fai, Gianni? No, sei pazzo!». Senza rispondere appoggiai il glande turgido contro il buco ma mi scivolò di lato.
«Non muoverti cosi! Non riesco a infilartelo!».
«No! Ahi, fa male!».
La immobilizzai serrandole la vita con entrambe le mani. L’uccello duro come pietra non ebbe bisogno, questa volta, di essere guidato per trovare la strada giusta.
« Su, rilassati, altrimenti sentirai male!».
Approfittando di un suo momento di decontrazione infilai il glande nell’ano ben lubrificato.
«Ah, come brucia, Gianni! Mi fa male!»
Senza mollare la presa mi bloccai per rassicurar la e calmarla.
«Un po’ di pazienza, cara! Vedrai che ti piacerà! Te lo prometto. Devi solo fare un piccolo sforzo!».Ero proprio io quello buono per dare simili rassicurazioni, io che non sopportavo neppure un termometro nell’ano!
Continuando a tenerla bloccata con forza guardavo la mia verga infilarsi in quel pertugio. Me la sentivo calda in punta. Samira emetteva gemiti soffocati, ma acuti. Se non avessi avuto paura che qualcuno fuori potesse sentire, avrei provato in quel momento un piacere diabolico.
« Fa’ la brava, mia bambinona! Ti ci abituerai! Ti piacerà!», balbettavo come un automa perché, in realtà, mi eccitava l’idea che provasse un bruciore tanto insopportabile.
Il grosso tubo di carne rigida penetrò in lei. Il più era fatto! Cominciai a pomparla delicatamente
mentre lei tentava di liberarsi. Ma io la padroneggiavo impietosamente. Le premevo con forza la nuca, la sentivo soffocare nella gommapiuma, ma ora non gridava più. Nel giro di pochi minuti si rilassò leggermente e la mia morsa a poco poco divenne un abbraccio amoroso. Le mammelle di Samira mi stavano, pesanti, nel palmo delle mani. Lei ricominciò a lamentarsi ma ormai il mio uccello era ben piantato in culo. Le afferrai poi i glutei e presi a scuoterla tutta. Lei si azzitti, subendo la mia legge, la mia forza. La verga andava su e giù per quell’ano accogliente, La estraevo inondata di umori e gliela rificcavo dentro con forza ancor maggiore.
«Porco! Cattivo! Mi fai male! Non ti amo più!».
Era un giuoco da parte sua? Quella vocetta falsamente puerile e un po’ sciocca… L’importante, comunque, era che si lasciasse inculare sino in fondo e che io potessi fare una sborrata monumentale!
Quando avvertii che stavo per eiaculare presi a sferrare dei violenti colpi di cazzo, che lei si prese
senza lamentarsi. Mi trovai a godere in maniera incredibile! Le riempivo il culo con tutte le forze che avevo, mordendomi le labbra per non urlare.
Ansimando rumorosamente, le rimasi addosso continuando ad accarezzarle schiena e capelli. Lei era immobile. Mi misi seduto per terra e presi a leccarle l’ano come a consolarla. Il buco ora sembrava un’infossatura di carni molli e bagnate che si schiudevano a mio piacere. Vi infilai la lingua, provando voluttà.
A un tratto, in preda all’agitazione, lei si alzò di scatto, si rimise la tuta e se ne andò senza neppure salutarmi. Non aveva alcuna ragione per essere in collera: la cosa era durata esattamente quanto la
volta precedente ed ero sicuro che, verso la fine, era piaciuta anche a lei. Non mi rivolse la parola per parecchi giorni. Pensavo fosse arrabbiata, ma verso la fine della settimana mi bisbigliò qualcosa senza azzardarsi a guardarmi in viso.
« Se vuoi, posso venire tra pochi minuti».
Mi sentii invadere da un’enorme gioia. Ricominciammo esattamente come la prima volta. Lei sentiva ancora un po’ male, ma mi confessò con una certa riluttanza che l’idea la eccitava. Per tutto il mese di marzo venne a offrirmisi due volte la settimana.
Per mancanza di tempo non avevo il problema di durare a lungo prima di godere. Ogni volta la pompavo come un pazzo e venivo nel giro di pochi minuti. E ogni volta lei scappava nello stesso modo… Ma tornava sempre.
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