Io avevo ancora negli occhi l’abbraccio fra Gloria e Roxane, il modo in cui era sopraggiunta inattesa e di come soprattutto Gloria non fosse per nulla rimasta sorpresa. Quell’abbraccio, invero, m’aveva incontestabilmente restituito una percezione di scambio diretto fra di loro, così denso d’una fisicità emotiva, intima e carica di femminilità quasi palpabile, o almeno a me così doveva essere sembrato.
L’eccitazione che mi cresceva sparpagliandosi tra le gambe però, comunicava rivelandomi sennonché tutto il contrario, poi per quanto mi sforzassi di non accarezzarmi, era alquanto difficoltoso tenere a bada il soldatino che seppur nascosto al buio negli slip reclamava borbottando energicamente la sua manifesta virilità del momento, così mentre mi distraevo, sentii che bisbigliava qualcosa, intercettai la parola fortuna, eppure io mi chiusi ancor di più nel personaggio austero e sostenuto nel quale Roxane m’aveva precedentemente trovato.
Gloria andò via e Roxane rimase un po’ incerta e perplessa, in ogni modo avvertiva il disagio e l’impaccio per avermi sorpreso come lei più volte m’aveva annunciato, nel mio mondo, più che nella fattispecie con un’altra donna. Dal movimento del suo petto ne intuivo efficacemente il respiro, in quanto era un agglomerato misto d’eccitazione e d’emozione, poiché sapevo che era già sfrontatamente bagnata, lo captavo palesemente, tuttavia facevo finta di pensare ad altro.
‘Non ho molto tempo. Essere già arrivata qua è stata una follia, poi il ritorno richiede almeno un’ora, così no, non potrei giustificare la mia distanza se dovesse succedere qualcosa’ – sussurrò lei allusivamente in modo nettamente velato.
‘Certo, anzi, penso sia meglio che t’affretti, perché avremo modo di fare l’amore come più ci piace. Comunque sia, adesso riposati un attimo e dopo se vorrai potrai andar via’ – le risposi io con un bonario e premuroso sorriso.
Roxane guardò gioiosa e spensierata quella portafinestra che s’affacciava su quel vicolo, in brevissimo tempo ci accomodammo sul canapè nei pressi del focolare e in brevissimo tempo si lanciò adagiandosi su di me svelandomi segretamente vocaboli adorabili e graziosi. Io l’istigai per un istante riferendole che sarebbe stato meglio che lei s’avviasse, con tutto ciò la mano scivolò fra le gambe e sfiorò qualcosa che si dimenava rabbiosamente negli slip. Immediatamente lei accompagnò la mia mano e cominciò a carezzare e a stringere in modo delicato; io conoscevo e distinguevo già quella sua maniera di palpeggiarmi, qualcosa d’avvolgente e d’inebriante che spazzava via tutto annientando qualsiasi residua esitazione. Lei mi trasmetteva con la mano la sua voglia sempre più incontenibile e prorompente di prendermelo in bocca, o di farsi scopare la bocca, come spesso io le ripetevo ansimando e farneticando.
Le sue dita accarezzavano il cazzo per tutta la sua lunghezza, dato che rendeva decisa e imperiosa la mia virilità . Lei m’agguantava il cazzo imitando già una masturbazione sebbene ostacolata dal tessuto, io non resistetti, mi slacciai i pantaloni, entrai con la mano negli slip e lo estrassi con qualche difficoltà . La sua mano iniziò subito con determinazione a masturbarmi, pratica che ho sempre ritenuto fra le più difficili tra le quali una donna possa misurarsi e regolarsi, la sua abilità e la sua perizia era però identica alla sua voglia e alla volontà di far godere esplicitamente il suo uomo, di compiere quello che soltanto lui sa eseguire correttamente su sé stesso.
Roxane stimolava e vivacizzava con forza il cazzo così come piace a me, senza un movimento fuori posto, continuando poi a condurlo con quella voglia sempre più incontenibile, giacché boccheggiava furiosamente. Io ero indeciso e titubante se spingerla con forza per farmelo prendere in bocca, poiché lo desideravo tantissimo, sapendo che in seguito sarebbe iniziato un coito furioso. Non ebbi malgrado ciò il tempo di capire né di ragionare, perché la mia mano era fra le sue gambe, che tentava di scostare gli slip dal suo peloso tesoro pulsante. Le mie dita s’appoggiarono sopra quelle labbra che parevano non così bagnate, finché vennero pressoché inghiottite dall’aroma di quei fluidi che s’occultavano là nella parte retrostante, paragonabile cosi come una calca d’individui che pigiano contemporaneamente cercando di sbucare.
Io bramavo quella fica, avevo una voglia smisurata di leccargliela, di bere a grandi sorsi da quel torrente che si riassumeva in grosse gocce simili allo sperma, però più liquide, più scorrevoli, eppure ugualmente dense, che dona alla lingua e alla gola un’emozione corposa e sostanziosa. Simile a quella che lei assapora e sperimenta, quando lecca golosamente il rigagnolo dello sperma. Le tempie pulsavano, noi sapevamo che non c’era molto tempo per tutto quello, tuttavia in un istante era come se lo stessimo facendo completamente.
‘Getta via le mutande’ – le dissi io esaltato e invasato più che mai.
‘Strappamele invece tu, perché così è più bello’ – fu la sua repentina e smaniosa risposta.
In tal modo feci, anzi, così facemmo, perché appena aver agguantato quel lembo fra le mie mani, la prima spinta fu di sfregarmelo dissolutamente e libidinosamente sul cazzo, che bramava di quell’odore irresistibile e di quell’umido effluvio di femmina così penetrante e pungente. Roxane continuava amabilmente a masturbarmi in maniera deliziosa, come chi è padrona di quella spanna di carne e dominatrice suprema di quell’eccelso momento, mentre la sua mano stringeva anche il suo slip, che s’imbeveva nel frattempo di quell’appiccicosa sostanza. Le mie dita erano dentro, lei sempre più veemente s’accostava divaricando le cosce in modo impudico e voluttuoso, straripante d’una fregola fiera e indomabile, una mala femmina che soltanto con me riusciva a essere, compiuta, realizzata e vogliosa all’inverosimile. Io me ne accorgevo da come la sua fica cambiava forma sotto la mia mano, arroventata e sempre più aperta, quasi in modo screanzato, perché faceva zampillare i suoi fluidi su tutta la mia mano, sì, perché quella fica, quell’adorabile e stupenda fica non vedeva l’ora d’avermi interamente dentro di essa.
Fu sennonché un attimo, perché io balzai su di lei che aveva la gonna alzata in vita aperta e con la fica grondante, che stranamente non guardai per niente né m’abbassai i pantaloni, perché di fuori c’era soltanto il cazzo indisciplinato, famelico e ribelle che la cercava. Lui tentava goffamente e maldestramente d’infilarsi, come fa quasi smodatamente il cavallo che tenta di montare la sua giumenta, sì, proprio così, come in una febbrile monta equina lei con foga afferrò il cazzo e lo guidò verso la sua pelosissima e profumata fica. L’opera non riuscì al primo tentativo, eppure neanche il tempo di riprovarci che io già scorrevo dentro di lei, mentre ansimava e gemeva, anzi, quasi piangeva per l’emozione così energica e risoluta, cagionata e suscitata da quell’attimo esclusivo e universale.
A dire il vero, non so precisamente quanto sia durato, forse minuti, più o meno un secondo, ricordo soltanto che non ho mai avuto una sensazione così gagliarda, incisiva e intensa di scopare la mia donna, di penetrarla con cazzo scivoloso, peraltro così grosso da insinuarsi e spingersi fin dentro l’anima. E l’anima era quella che lei m’offriva in dono, in modo completo e incondizionato, privandosene per quel piacere estremo d’abbandonarsi e di concedersi nelle mani del suo uomo, l’unico da cui voglia essere scopata così convulsamente, d’ammansire qualsiasi voglia, qualsiasi desiderio, anche il più inconfessabile e il più turpe possibile.
Io m’agitavo in lei come l’ultima delle cose da portare a compimento, poi basta, non c’è stato più bisogno di nulla. Le sussurrai nel frattempo di sbrigarci e in pieno accordo lei iniziò invocandomi di sborrare, di esploderle dentro. Come qualcosa che con calma e gradualmente arriva da lontano, io sentivo il mio sperma percorrere e salire gradualmente millimetro dopo millimetro il suo canale come un itinerario e in ultimo il fluire a guizzi al suo interno accompagnandomi in quel balletto nella direzione d’una fresca vita. Fu a quel punto che lei pretese volendo in modo esplicito che io restassi lì, incollato e sigillato al suo enorme cuore di femmina, di donna vera, esclusiva e unica. La vidi in controluce in piedi con la sua gonna, in maniera tale da non mostrare le tracce evidenti e indubbie di quel piacere magnifico e sublime appena sperimentato.
In conclusione ci salutammo in fretta, accuratamente coscienziosi che non era un distacco né una separazione temporanea, alla fine lei sfilò via in quel vicolo allontanandosi, giacché quello stesso viottolo sembrava quieto e taciturno averci appoggiato, assistito e sostenuto in tutto, conservandone e difendendone appieno il segreto per sempre. Io aggiustai un attimo la mia posizione, disteso su quel divano e mi ritrovai fra le mani i suoi slip arrotolati, mentre gli occhi andarono sopra quelle pieghe di tessuto adorabili scivolando sopra quel pizzo trasparente.
Ancora oggi, di tanto in tanto, a distanza di tempo, ammetto e confido pacificamente che passo di lì attraversando quel viottolo, cercando di captarne fiutando quei lontani e deliziosi ricordi, perché nacque tutto proprio da lì, ebbene sì, proprio lì, dove era disegnata una voglia antica, ricoperta e rivestita da mille lacrime d’amore, che lei aveva abilmente e sapientemente predisposto e minuziosamente versato tutte per me.
{Idraulico anno 1999}
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