Sono stato sempre curioso e anche un po’ guardone. Non posso negarlo. Osservare, indagare, cercare di scoprire’ almeno con gli occhi.
Quando venivano le amiche di mamma, per un ‘giretto’ con le carte, il mio posto preferito, o meglio l’osservatorio, era sotto il tavolo. Anche quando, n fondo, ero divenuto un po’ grandicello. Frequentavo la seconda elementare.
‘Aldo, vieni fuori di li! Cosa fai?’
Non rispondevo, ma cercavo di restarci il più possibile. Specie d’estate, quando le belle cosce erano in mostra, con le gonne che, come avevo sentito dire in una TV, sembravano essere le ‘mantovane’ del sesso. Che cosce. Quelle bianchissime e grassottelle della signora Nilla, che le teneva sempre ben larghe, con le mutandine che, arrotolate, le entravano tra le baffute labbra della sua abbondante e boscosa’ cosa! E lei, di quando in quando, cercava di togliere quel rotoletto di stoffa da quel solco ubertoso. Secche, un po’ troppo, quelle della Mariella. Sempre tremolanti, come in preda ad un tic, ed anche lì si scorgevano i riccioli neri che non riuscivano a stare nella piccola rosa gabbia dello scippino. Un po’ meglio quelli che io chiamavo i ‘binari’ della Nazzarena, ma, a dispetto delle biondissime chiome, anche tra le sue gambe, sempre orfane di mutandine, s’annidava un grosso cespuglio che ogni tanto lei esplorava con la mano. Splendide le gambe della mamma, più perfette di quelle della statua di Venere che avevo visto al Museo Capitolino. Non un minimo accenno di cellulite, color pesca, e così vellutata doveva essere la sua pelle. In alto, piccole ciocche brune facevano capolino, civettuole e incantevoli. Chissà perché, ma ero attratto dal nereggiante prato materno, mi sarebbe piaciuto carezzarlo.
Quando le amiche si alzavano, per andar via, giravo intorno a loro e l’esame si spostava altrove. Anche in materia di tette, quelle della mamma erano le più belle che si potessero immaginare, senza paragoni. E le natiche, poi, erano anch’esse scultoree, sempre quelle di mamma. Più tardi avrei appreso che quella parte del corpo è molto importante, da sempre. Non per niente c’è la statua di Venere callipigia, che poi, tradotto letteralmente, significa dal bel culo.
Il compiacimento per una mamma del genere non é mai cessato. Me la divoravo cogli occhi, e quando potevo ogni scusa era buona per baciarla, abbracciarla, brancicarla, palpeggiarla. Fingendo di giocare, di volerle fare il solletico.
Il tempo trascorreva e lei era sempre più attraente, seducente, eccitante, desiderabile.
La curiosità mi spinse ad origliare alla loro porta. Sospiri, sussurri, gemiti, cigolio di reti, e correvo a nascondermi per calmare, come potevo, l’eccitazione che mi tormentava. Si, lo sapevano, erano moglie e marito, ma a me la cosa mi faceva arrapate. Non diciamo poi, quando, un pomeriggio d’estate, spiando dalla serratura, vidi la mamma nuda, sul letto, mentre papà era andato nel bagno. Subito dopo un amplesso che mi aveva fatto restare senza fiato e con quell’ingombro che chiedeva pietà. Che tette, che pancino, che triangolo nero. Il triangolo delle Bermude, pensai, dove se affondi non ti trovi più.
La ‘fissa’ non mi passava.
Ero riuscito a farla sedere sulle mie ginocchia, con la scusa che adesso volevo cullarla io, come una volta faceva lei con me. Si era alla vigilia della maturità. Chissà se agì senza alcun sospetto. Quello che sentì, però, non doveva averle fatto ignorare le sensazioni del giovane che la teneva in braccio, che premeva la sua prepotente erezione verso quelle chiappe prensili e meravigliose.
C’era un solo modo per saperlo. Invitarla di nuovo sulle ginocchia.
Accettò. Eppure non poteva non essersi accorta di quel’ coso duro e aggressivo.
Aveva pensato, credo, che, era meglio non dar peso alla cosa, ignorarla.
Meglio così.
Quella volta, però, si accomodò meglio, come a volersi accertare della consistenza e assodare della casualità o meno. Si, ma di cosa? Quando un fallo si erge una causa c’è sempre!
Comunque, a me quello che interessava era sentire in braccio a me quel pezzo di ‘sexy mom’ che, a quasi quaranta anni, quando passava attirava gli sguardi degli uomini più della più provocante ‘pin up girl’.
Sulla spiaggia dove annualmente ci recavamo, e dove pa’ ci veniva a trovare ogni fine settimana, di bei pezzi di fi’gliole ce ne erano in gran quantità. Dalle acerbissime alle stagionate, e con grande esposizione di ‘tec’, che i minuscoli reggiseno (quando c’erano) e i ridottissimi tanga, più che coprire mettevano in evidenza. Non c’era che da guardarsi intorno, e augurarsi che la tua dotazione riuscisse a non debordare dallo slip.
La cosa non mi riusciva,però, quando gli ‘argomenti’ di cui sopra erano quelli della mamma. E dire che usava un due pezzi che poteva senz’altro definirsi più che castigato.
Inutile, quelle tette e quel gagliardo fondo schiena erano irresistibili.
Il fatto che quella femmina fosse la mia genitrice, anziché essere una remora, come molti ritengono, era un fascino più eccitante di qualsiasi afrodisiaco.
La mia frenesia mi induceva a credere che lei si fosse accorta di quanto suscitava in me. Certe volte si accorgeva della mia eccitazione e mi lanciava certi sguardi che non sapevo dire se di riprovazione, o meno.
Oltre alla maturità scolastica (che quella sessuale era più che evidente) avevo conseguito anche la patente nautica, per piccoli natanti a motore.
‘Ma’, che ne diresti di noleggiare un motoscafo e fare una bella gita?’
‘Te ne senti in grado?’
‘Certo. Ne ho visto uno, non molto grande, maneggevolissimo, che fa per noi. E’ come quello sul quale ho fatto pratica e che ho già pilotato a maggio, quando sono andato al mare con Luigi.’
‘Va a vedere se è disponibile.’
‘Vieni anche tu, se è libero lo prendiamo. Porta la borsa con i teli di spugna. Al largo si può fare il bagno. Poi potremo sdraiarci al sole. Dietro il divanetto c’è tutto lo spazio che vuoi.’
‘Lasciando che il motoscafo se ne vada per conto suo?’
‘No, ma’, lo ancoriamo.’
Ci avviammo lentamente verso il molo dove i moto erano attraccati.
Quello che desideravo io era lì. A mamma piacque molto. Solo volle che le confermassi la mia competenza a guidarlo.
Controllammo che tutto fosse in ordine, che ci fossero le indispensabili attrezzature di bordo, che i collegamenti a terra funzionassero. Salimmo, ci distaccammo lentamente, e, senza affrettarsi, ci avviamo al largo.
Lei era al mio fianco, con gli occhiali da sole, un foulard che le proteggeva i capelli, con un’aria soddisfatta e tranquilla disegnata sul bellissimo volto.
Le posi la mano sul fianco. Era sodo e incantevolmente tiepido. La pelle era liscia, vellutata, invitante alla carezza.
Ci allontanammo abbastanza dalla riva, le persone si distinguevano appena, sembravano piccole marionette che si muovevano senza senso. Misi il motore al minimo.
‘E’ bello, qui, vero ma?’
Guardò l’acqua, annuendo.
Bloccai il timone, andammo a sedere sul divanetto.
‘Alzati un po’, ma’.’
‘Perché?’
‘Alzati, per favore. Voglio vedere una cosa.’
Con aria paziente si alzò.
‘Bene così?’
‘Benissimo.’
‘Cosa hai visto?’
‘E che potevo sognare di più. Ho ammirato la più bella donna della spiaggia, e non solo di questa, ma di tutte.’
Venne a sedere di nuovo a fianco a me.
‘Smettila.’
Ma non era imbronciata, anzi.
‘Adesso getto l’ancora e facciamo il bagno.’
‘Non sarà pericoloso?’
‘Il mare è calmissimo, l’acqua limpida. Togliamo i giubbetti’ e via.’
Quando stavamo per tuffarci, la guardai un attimo.
‘Qui siamo liberi, lontani da tutti, si potrebbe fare il bagno anche nudi, che ne dici?’
‘Ti passano certe idee per la mente.’
‘Almeno il reggiseno puoi toglierlo, sai che bello tuffarsi così in mare, essere accolti dalle onde in questa maniera.’
‘Ma non mi sembra proprio il caso.’
‘Dai, ma’, e quando ti ricapita un’occasione del genere.’
‘E tu, cosa togli, lo slip?’
‘Perché no. Su, facciamolo. Ti aiuto io.’
E senza attendere risposta le slacciai il reggiseno, che stava per cadere in acqua.’
Incanto della natura. Un paio di tette così si potevano solo immaginare. Mamma aveva appena accennato a coprirle con le mani, poi si offerse alla carezza del sole. Beato lui.
‘Ehi, sbruffoncello, hai ancora lo slip addosso.’
Era vero, ma non riusciva a contenere l’eccitazione che quella vista aveva provocato. Lo sfilai rapidamente, lo gettai sul fondo della barca e contemporaneamente mi tuffai. Seguito da lei.
Neppure il contatto con l’acqua riuscì a modificare quella situazione che, in effetti, mi metteva alquanto a disagio. La trasparenza dell’acqua, poi, non nascondeva niente. Ma ci pensate, un giovane di un metro e ottanta, con tutto in generosa proporzione, mostrarsi nudo, a pisello svettante, alla propria madre?
Ma’ nuotava lentamente, sul dorso, con le belle tettone che le facevano da galleggiante, e le gambe che si muovevano lentamente. Veniva verso me. Era così accosto che quando si capovolse per cambiare posizione le sue gambe sfiorarono il mio fallo. A me sembrò che una scossa elettrica mi attraversasse, e mi venne spontaneo sbracciarmi, così che una mano andò a finire sulla bellissima tetta materna. Altra scossa. Eravamo uno di fronte all’altra, e il mio coso era sempre più eccitato. E dire che nell’acqua abbastanza fretta, a quanto mi avevano affermato, avrebbe dovuto calmarsi.
‘Ma’, togli tutto, non senti quanto è bello?’
Rimase immobile, solo qualche piccolo movimento per rimanere a galla.
Mi guardava fissamente, e in modo insolito.
‘Enrico, torniamo a bordo.’
‘Ancora un po’, ma’. Liberati di tutto.’
‘Va a bordo. Cerca di rilassarti. Calmati. Infila lo slip e se non ci riesci adopera un telo a spugna. Va, ti raggiungo.’
Tornai a bordo, cinsi i fianchi con un telo, sedetti sul fondo, attendendola.’
Vedevo che nuotava lentamente. Si avvicinava al motoscafo, s’aggrappò al bordo. Salì, restando in piedi vicina allo scalmo dei remi di fortuna. Era splendida, imperlata d’acqua, col seno svettante, i fianchi seducenti. Il piccolo slip disegnava ogni particolare, dai cordini laterali stillavano piccole gocce d’acqua. Prese un lenzuolino, lo mise sul divanetto, sedette.
‘Enrico, vieni qui. Dobbiamo parlare.’
Il tono era sostenuto, ma non irritato; serio ma non inquieto.
Mi trascinai, senza alzarmi, ai suoi piedi, vicino alle sue gambe. Vi poggiai la schiena.
‘Di cosa, ma’?’
Fece un profondo respiro.
‘Bambino mio, ora sei un giovanotto, non dovresti farti prendere da idee strane.’
‘Quali?’
Mi carezzava i capelli, con dolcezza. Io fissavo lo sguardo sul mare, senza vederlo.
‘Io comprendo tante cose, Enrico, ma sono sempre la tua mamma, quella che ti ha messo al mondo.’
‘Allora?’
‘Lasciami parlare, bambino mio, non interrompermi, non è facile trovare le parole giuste.
Ascolta, mi accorgo di tante cose’ Hai voluto che sedessi sulle tue ginocchia, per cullarmi, hai detto, come facevo io con te. Ed ho compreso che sei un uomo, in tutta la estensione della parola. Ti ho contentato una seconda volta. La tua manifestazione, chiamiamola così, è stata ancora più evidente. Ma perché, con tante belle ragazze che fanno la fila per la tua compagnia, volevi far conoscere a me, alla tua mamma, le tue pulsioni giovanili? Oggi hai avuto un’idea un po’ ‘naturista’. Hai trovato motivo per farmi togliere il reggiseno. Anzi, lo hai slacciato tu, senza attendere la mia risposta. In acqua mi ronzavi attorno, manifestamente eccitato’ hai fatto di tutto per toccarmi, sfiorarmi. Perché, Enrico?’
Sentivo che tremavo involontariamente, facevo fatica anche a parlare, alzai la testa per guardarla.
‘Perché sei divinamente bella mamma.’
Si chinò su me, con una luce dolcissima e tenera negli occhi. Il seno mi sfiorò il volto. Bastò un piccolo movimento per sentire il suo turgido capezzolo sulle mie labbra. Non si ritirò di scatto. Scosse la testa, tra lo sconsolato e l’indulgente.
‘Bambino’ sei proprio un bambino.’
Ma non si rialzò.
‘Vedi, Enrico, certe cose che potrebbero sembrare naturali, non sono accettate dalle nostre regole di vita. Io sono, e devo restare, la tua mamma, devi considerarmi asessuata. Il mio grembo ti ha concepito, ti ha protetto, ti ha dato alla luce. Il mio seno ti ha nutrito. Quando l’onda dell’amore filiale rischia di mutarsi in altro sentimento, bisogna contenerla, bisogna costruire una diga che le impedisca di precipitare. Ricorda che da un granello di neve può formarsi una valanga che tutto travolge e tutto distrugge. Sono una mamma, non una donna. Hai capito?’
Mi sentivo pronto a confessarle tutto.
‘Ma come, ma’, non sei una donna. Ma sei la più bella di tutte. Quella che sogno da sempre. Cosa posso farci se vedo in te la più affascinante delle donne. Non c’è nessuna come te. E non tirare in ballo, età, che sono tuo figlio’. Non significa niente’ E’ vero, ho desiderato averti sulle mie ginocchia per sentire il tepore di te’ Ti spinta a tuffarti senza reggiseno perché voglio contemplare il tuo petto splendido, come i fianchi’ tutto.’
‘Ci sono mille ragazze, Enrico”
‘Ma come fai a parlarmi così. Io sono arso, assetato, ed ho di fronte l’acqua più fresca e limpida che può dissetarmi e tu vuoi farmi pensare a qualche miserabile tozzo di pane. Sono affamato, di te, e di fronte alle golosità che puoi offrirmi vuoi che mi rivolga al fiele? Scacciami, scacciami, ma non pretendere che non di brami. Ma che vuoi che m’importi delle convenzioni sociali, e di tutto il mondo. Sono folle fino al punto che preferirei rinunciare alla stessa vita e non a te.’
Mi carezzava lentamente.
‘Si, Enrico, sei folle, ma ti comprendo, perché non posso dirmi immune da una simile dissennata esaltazione. Ora, però, è meglio che prenda un po’ di sole. Vado a sdraiarmi.’
Prese il telo, lo distese vi si posò sopra. Inforcò gli occhiali, protesse la testa col mio cappellino bianco, ma non indossò il reggiseno.
Ero in piedi, sempre col telo intorno ai fianchi che non riusciva a celare la mia erezione che stava divenendo violenta, dolorosa. Era Venere dormiente, con le più belle curve femminili che si potessero immaginare. Le lunghe gambe affusolate, i fianchi, il ventre piatto, il seno che, essendo meno abbronzato, contrastava col resto del corpo. Già, quel biancore doveva essere lo stesso della zona coperta dal piccolo slip. Mi avvicinai, sullo stesso ripiano dov’era sdraiata, carponi. Il respiro era lento e profondo, ma non riuscivo a comprendere se dormisse o meno. Allungai la mano, verso uno dei lacci che tratteneva lo slip. Lo tirai lentamente, con prudenza, si sciolse facilmente. La parte inferiore cadde sul telo svelando il biancore ambrato della natica, soda, per nulla schiacciata dal peso del corpo. Seguitai a tirare, sempre discretamente, sollevando un po’ il lembo superiore di quel minuscolo triangolino. La massa scura dei riccioli del pube sembrò risvegliarsi, come liberata da un troppo lungo imprigionamento. Non riuscii a vincere la tentazione di sentire la sericità di quei lunghi peli incantatori. Li sfiorai con la palma della mano. Vivevano, si arruffavano, si increspavano. Volevo vedere, dovevo vedere. Con minor precauzione la scoprii del tutto. Il mio volto era a pochi centimetri da quella selva incantata. Le grandi labbra stavano lievitando, disserrandosi appena.. sempre di più’ a mano a mano che le gambe andavano divaricandosi, mostrando il rosa dell’ingresso del paradiso. Una perfezione celeste, che nessuno scultore avrebbe mai potuto rappresentare, con gradazioni di colore che andavano dal nero dei riccioli al tenue dell’interno di quelle indescrivibili gambe. Là, dove si congiungevano, e ora si schiudevano.
L’attrazione e l’incanto di ammirare lo scrigno da dove ero venuto al mondo, non mi fecero riflettere se ma’ dormisse ancora, o no Posto che prima fosse addormentata. Non era possibile resistere, affondai il volto in quella morbida seta, e sentii il profumo della linfa che distillava dalla vagina, la lingua vi si intrufolò, ne uscì’ tornò a insinuarsi, le labbra incontrarono il turgido clitoride, lo succhiarono, per staccarsi solo quando la lingua le saettava dentro, con un moto circolare che cerava di esplorarla più profondamente. Ora il suo grembo palpitava, il suo bacino s’inarcava, mi veniva incontro. Ecco le sue mani stringere a séi la mia testa, mentre labbra e lingua divenivano sempre più frenetiche. Allungai una mano, fino al seno, le strizzai un capezzolo, sentii che la vagina voleva imprigionare la mia lingua impazzita. Il mio fallo era delirante, i miei fianchi si muovevano. Quel tormento non poteva durare. Alzò le ginocchia, poggiò le gambe sui talloni, scivolai su di lei, puntando il glande, fremente, sul palpitante ingresso della vagina, ed entrai provando una sensazione che non avevo neppure sognato.
Ero in lei’ ero in lei’.
Ormai la diga era crollata, il piccolo fiocco di neve era divenuto valanga.
Eravamo travolti dai sensi, dalla voluttà. Avevo sempre bramato quel momento, ma non avevo immaginato il totale coinvolgimento della mia deliziosa mammina, il suo abbandono, la sua partecipazione incondizionata, ansiosa di darmi piacere ma anche, forse soprattutto, di provarlo, dimostrarlo. Mi serrava a sé con le gambe, mi baciava ardentemente, carezzava la mia schiena, la percorreva con le unghie, e sussultava nell’ebbrezza di quell’incredibile incontro.
Passione, brama, frenesia, desiderio troppo a lungo represso, tutto era esploso in lei, e per la prima volta conobbi cosa sia il vero orgasmo d’una femmina vogliosa e matura, che si rinnovò quando sentì che il torrente caldo del mio seme la stava invadendo.
Giacemmo paghi ma non sazi. E mi carezzava con una dolcezza sconosciuta, mi bacia gli occhi, la bocca, il petto.
‘Cosa abbiamo fatto’ cosa ho fatto Enrico!’
‘E’ stato stupendo, ma’, meraviglioso”
‘Si, come non mai’ ma con mio figlio!’
‘Quale maggior comprensione, in tutti i campi, si può avere se non tra madre e figlio? Quale miglior completamento. Io sono stato in te, ho vissuto in te, sono cresciuto in te, sono nato da te, ed ora sono tornato in te, e mi hai fatto di nuovo vivere, crescere”
‘Enrico, tesoro mio’ che sarà di noi?’
‘Quello che è stato, ma’, ed anche più bello.’
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