“Ero stato invitato in quella villa in un giorno e in un orario ben preciso, con un elegante biglietto scritto a mano, con una calligrafia impeccabile, su…”
La strada era colma di auto, pullman, furgoncini, ma il tassista fu
abile, e si fermò giusto davanti alla villa in perfetto orario.
Rimasi a bocca aperta, solo guardando il grande cancello in ferro battuto color rame, dalla forma di ampie volute, riccioli e foglie d’acanto, appesi a spesse sbarre verticali, che salivano verso il centro, dalla punta a forma di freccia.
Due colonne in pietra gialla, dalle venature grigie e bianche, salivano ai lati, e davano il via ad un muro di cinta alto, tondeggiante, dal quale sbucavano le cime di cipressi verde scuro, tutti perfettamente distanziati, al di là dei quali si intravedevano grandi cedri secolari, che coi loro palchi di grossi rami, parevano giganteschi bonsai.
L’autista mi fece tornare subito coi piedi per terra, chiedendomi i soldi per il tragitto, e gli risposi sorridendo, allungando le banconote e lasciandogli pure la mancia, visto che aveva evitato di arrivare in orario, cosa che da lui fu fin troppo gradita, ringraziandomi con una valanga di sorrisi.
Scesi, sistemai la giacca del completo, abbottonai il bottone centrale, e cercai con lo sguardo il campanello, non sapendo come fare per entrare, ma subito il cancello iniziò ad aprirsi, spalancandosi, e seguii quel viale di ghiaino nero fino alla villa, che mi lasciò veramente senza fiato.
Non aveva uno stile proprio definito, era qualcosa di veramente pacchiano e strano, un miscuglio fra le vecchie ville storiche, con aggiunte gotiche, colonnati ai lati, e un paio di grandi cupole di vetro, dietro i pinnacoli del cornicione della facciata, mentre l’entrata, una grande porta ad arco, sovrastata da un piccolo portico, era contornata da vasi di cemento dipinti di rosa scuro, colmi di piante dalle voglie coloratissime, sapientemente potate a semisfera, creando delle piccole cupole dalle mille sfumature.
Salii i sei gradini di cemento, lentamente, col cuore in gola, e non appena arrivai davanti quel pesante portone di legno massiccio, un’anta si aprì, e apparve un distinto signore anziano, coi capelli bianchissimi, i baffi folti arricciati a manubrio e un sorriso così perfetto da intonarsi perfettamente all’abito nero che indossava.
“Buongiorno, signore, lei deve essere Loris. Prego, si accomodi, il signore la sta aspettando” disse, facendomi segno di entrare con la mano.
Entrai, in quel salone scuro, pavimentato con un marmo chiaro per dare luminosità , ma che restava comunque tetro, con un grande tavolo rotondo dall’unico piede a colonna, di legno pregiato e lucido, sul quale un enorme vaso di cristallo imperava con al suo interno una composizione di rose, foglie di felce e lunghi steli arcuati di qualche strana erba esotica, giusto davanti alla grande scala che seguiva la parete tondeggiante, che portava al piano di sopra, dagli scalini dello stesso marmo, e col parapetto in sottili colonne di marmo bianco.
Salii quelle scale col cuore praticamente in bocca, tanto batteva forte, chiedendomi cosa ci facessi in quella villa straordinaria e stupefacente, e la mia testa si riempì di mille pensieri, facendomi fare ogni passo come fossi al rallentatore.
Ero stato invitato in quella villa in un giorno e in un orario ben preciso, con un elegante biglietto scritto a mano, con una calligrafia impeccabile, su carta di cotone fatta a mano, spessa, ruvida, di un giallo antico particolare, chiusa in una busta col sigillo in ceralacca, che tratteneva un sottile nastro rosso, lasciata nella mia cassetta delle lettere una settimana prima, e quel modo di cercare la mia presenza, mi incuriosì talmente tanto che accettai senza remore.
Mi ero vestito bene, per quell’appuntamento inconsueto e misterioso, indossando uno dei miei completi migliori, che fasciava il mio fisico in modo spettacolare, sia i pantaloni, che la camicia, che la giacca, con l’aggiunta di una larga cravatta annodata in stile inglese, che col suo nodo sotto al collo mi stava lasciando senza fiato.
Tenni duro, sistemai il ciuffo, e dopo esser arrivato al ballatoio del piano di sopra, un’ondata di marmo bianco, luce, grandi vetrate e oro ovunque, sulle cornici dei quadri, degli specchi, e intorno alle porte, che però erano alquanto scarne, lineari, ma quella forma ad arco sulla parte superiore, e la maniglia finemente incisa, creavano un’armonia perfetta.
“Buongiorno, Loris, che piacere averla qui” sentii dire, all’improvviso da dietro, e quando mi voltai mi sentii quasi svenire, col cuore che mi saltò fuori dalla bocca e il fiato che sparì in un istante.
Un uomo alto, sui cinquant’anni, forse, con una sensualità e una virilità così dirompenti da creare quasi un’aurea intorno a lui, camminava verso di me, con un sorriso sul viso che mi spiazzò, paralizzandomi come una di quelle statue alte mezzo metro che mi circondavano, racchiuse nelle loro nicchie sulla parete.
“Sale!” risposi, allungando la mano, verso quell’uomo così surreale, sofisticato, maschio, elegante, e non so cos’altro.
La stretta della sua mano calda, grande e curata, mi regalò un attimo di rilassatezza, sciogliendo appena la tensione che percorreva ogni fibra del mio corpo, e poco alla volta, i miei battiti iniziarono a tornare normali, mentre gli occhi si azzuffavano per carpire ogni particolare dell’uomo che avevo davanti.
“Mi fa piacere che abbia accettato il mio invito, nonostante tutto. Io sono Giorgio Venier, molto piacere, davvero!” disse, continuando a stringermi la mano, e io rimasi immobile col sorriso di un ebete stampato sul viso, ammirando quella mascolinità così sfacciata, che mi faceva quasi tremare le gambe.
Non me l’aspettavo, eppure, quell’uomo dalla ricchezza sfrontata, era vestito con un paio di jeans e una maglietta grigio scurissimo, con le maniche corte, ma l’aderenza di quegli abiti, era così forte da non lasciare niente all’immaginazione, mostrando con orgoglio quel petto prosperoso e gonfio, quelle spalle larghe, i bicipiti possenti, e le cosce di marmo, come quelle del discobolo incassato al suo fianco, che pareva gareggiare coi muscoli del proprietario di casa.
“Venga, mi segua nello studio, le devo parlare assolutamente” disse, liberandomi finalmente dalla forte stretta della sua mano, e facendomi segno di proseguire avanti a lui, verso una porta poco distante, socchiusa.
Lo studio era una camera piccola, per quella villa, ma grande come la mia cucina e il mio salotto messi assieme, e per un secondo pensai di essere nel set di uno di quei telefilm di avvocati che si vedono alla tv.
A parte la parete che dava sul giardino, completamente di vetro, dal soffitto al pavimento, le altre erano ricoperte da pesanti scaffali di legno, colmi di libri, volumi pregiati, enciclopedie, dalle copertine coloratissime, le incisioni in oro, e dalle altezze tutte diverse.
Ai lati della grande vetrata, due piante di ficus alte quasi due metri, folte, lucide, facevano bella mostra di sé, esattamente simmetriche dentro dei portavasi in ceramica viola, dalla finitura satinata, poggiati sopra un parquet chiaro, che correva obliquo per tutta la stanza, dando quasi rilievo a quello che ci stava sopra, una pesante scrivania di legno massiccio, noce americano, incisa nella parte davanti e di lato, in figure non ben comprensibili, e un grande divano ad angolo dalla parte opposta, in stile capitonné, in pelle marrone, conservata perfettamente, sopra un sottile tappeto appena più scuro del colore del legno sottostante.
Il profumo di legno, di libri, di carta e di polvere, pervase le mie narici, dandomi un senso di mascolinità pura, con qualche sfumatura del tabacco di un sigaro, che stava spento su un posacenere di cristallo, probabilmente lasciato lì di corsa.
“Mi perdoni per la modalità con cui l’ho fatta venire fino a qui, ma avevo assoluta necessità di parlare con lei” disse, muovendosi lentamente per la stanza, fino a sedersi sulla sua sedia, quasi un trono, con quell’imbottitura identica al divano, sia nello stile che nel materiale, senza braccioli, poggiandosi poi con la schiena.
“Non le nascondo che la cosa mi ha davvero incuriosito. Posso sapere come mai ha bisogno di me, signore?”, chiedendomi ancora nella testa che cazzo ci facessi in quella casa enorme, davanti a quell’uomo incredibilmente sensuale, che mi stava parlando con una voce suadente, e un sorriso in grado di ammaliare delle folle enormi.
“Vede, io sono una persona dalla vita particolare, sono praticamente votato al mio lavoro, al gestire il mio patrimonio, le mie fondazioni, dare feste di beneficenza, ma poi basta, zero, nessun amico, se non quelli attirati dai miei soldi, nessuna compagna, moglie, figli, niente, io, solo io, e i miei domestici, come Mario, il maggiordomo che ha conosciuto all’entrata, quasi un padre per me”
“immagino” gli risposi, ascoltando con piacere quelle parole, spostandomi poco alla volta fino a sedermi su uno spigolo di quel divano così morbido dal quale non mi sarei alzato mai più.
“Ho sentito molto parlare di lei, da tante di quelle persone che nemmeno immagina, e lei forse non lo sa, ma io sono un cliente del suo studio, pur se con nomi fasulli, che riguardano più che altro le mie società , i miei fondi di investimento, e così via. Tutti, nessuno escluso, non fanno altro che dire cose meravigliose sul suo conto, dipingendola come un lavoratore eccezionale, che raggiunge sempre ogni suo obiettivo, e che è in grado di dare tutto sé stesso quando ce n’è bisogno, giusto?”
“Sono gli altri a dirlo, non io, ma comunque, ne sono fiero, grazie” gli risposi, ancora incapace di capire bene cosa cazzo volesse da me.
“Non sminuirti, da quel che ho sentito sei una persona speciale, particolare, e soprattutto hai dei talenti innati che tutti ti invidiano, devi esserne fiero. Sei un vero uomo, e sii orgoglioso di quel che sei”
“Io lo sono, stia tranquillo”
“Gradisce un po’ di whisky?” se ne uscì poi, dopo un paio di secondi di pausa.
“Volentieri, con ghiaccio, grazie” gli risposi, e lui si alzò, sempre sorridente, avvicinandosi ad un tavolino con le ruote, sul quale c’erano alcuni calici e una bottiglia in cristallo inciso, con vicino un contenitore in acciaio, che aprì per prendere con la pinza qualche cubetto, da lanciare in uno dei bicchieri.
“Tenga” disse, avvicinandomi e porgendomi il bicchiere, e io cercai di distogliere lo sguardo da quel corpo fantastico, perfetto, con quella curva dietro che mi chiedevo come fosse possibile avere un culo così rotondo, alto, sodo, che gareggiava in rotondità col profilo del pacco davanti, assolutamente incredibile.
“Direi che possiamo darci del tu, che ne dice?”
“Dico che è un’ottima idea!” dissi, avvicinando il bicchiere al suo.
Sorrise, e venne a sedersi sul divano anche lui, distante, ma con una posizione che mi dava senso di disponibilità , col bicchiere in mano, e quel sorriso che mi faceva gocciolare il culo.
“Ottimo, allora, direi di passare alle cose serie. Non hai ancora capito perché sei qui, vero?”
“No, assolutamente no, perdona la mia ingenuità , ma non ci sono ancora arrivato” gli risposi, sinceramente incerto sul motivo per cui gli fossi seduto davanti.
“Beh, non è semplice per me, ma vedrò di spiegartelo in modo da non sembrare sfacciato, ok?”
“Prego, dimmi pure, sono tutto orecchi”
“Ti sembrerà strano, che uno come me, che vive in una casa enorme come questa, che possiede tanto denaro e tante di quelle cose che nemmeno so quantificarli, che potrebbe avere quel che vuole, si rivolga a te in questo modo, ma purtroppo ho dei vincoli, dei modi di comportamento e di vita che non mi consentono la piena libertà come hai tu, per esempio”
Continuava a parlare, ma mentre parlava, lasciavo che quelle parole entrassero da un orecchio e uscissero dall’altro, mentre i miei occhi guardavano quel viso, con solo qualche ruga, che non faceva altro che accrescere quel fascino così sproporzionato, quegli occhi grigio chiaro incassati sotto le sopracciglia folte, dalla forma perfetta, che si avvicinavano sopra un naso grosso, grande, ma che ben si stagliava su quella faccia abbronzata, sopra due labbra sottili, circondate da un velo scuro di barba non rasata, mentre i capelli sale e pepe erano rasati cortissimi, quasi invisibili, diventando lunghi, tutti lisciati da un lato, che brillavano sotto la luce del sole, che si faceva spazio fra le pieghe della pesante tenda damascata dai toni vaniglia e crema, fittamente tessuta e ricamata.
“Ti sto annoiando per caso?” mi sentii domandare, cadendo quasi dalle nuvole, e lo vidi sorridermi.
“No, scusami, mi ero incantato un secondo, scusa ancora”
“Tranquillo! Sai, a dire il vero sono incantato pure io dal tuo aspetto, dalla tua presenza, sei davvero molto meglio di come ti ho sentito descrivere” disse lui, arricciando le sopracciglia e guardandomi in modo più malizioso.
“Cosa vuole dire?” gli domandai, curioso per la piega che stava prendendo quel discorso.
“Basta giri di parole, te lo dico in modo diretto, perdona la mia sfacciataggine” disse, alzandosi in piedi e camminando verso la vetrata, in silenzio, guardando fuori e dandomi le spalle, poi si voltò verso di me, mi guardò negli occhi, e mandò giù un bel sorso di whisky, svuotando il bicchiere, e poggiandolo su un foglio che stava sopra la scrivania.
“Ho bisogno di te, ho bisogno a tutti i costi di te, mi devi aiutare” disse, restando in piedi davanti a me, e aspettando una mia risposta.
“Che problemi hai? Qualcosa che ha a che fare con il lavoro?”
“No, voglio te, voglio scopare con te, voglio il tuo culo, a tutti i costi! Sono disposto a pagare qualsiasi cifra, a darti tutto quello che vuoi, ma devi farti scopare da me!” disse, tutto d’un fiato, serio, scandendo per bene ogni parola, e al suono di quelle frasi, scoppiai a ridere.
“Stai scherzando, vero?”
“No, mai stato più serio in vita mia, credimi”
“Se la tua richiesta è questa, chi ti ha parlato di me deve averlo fatto davvero bene, molto bene”
“Mi hanno detto che sei molto maschio e virile, nonostante tu abbia un culo in grado di prendere qualsiasi cosa, e che sei in grado di godere in modi spettacolari, e, non perché meno importante, che hai fra le gambe un batacchio notevole, o sbaglio?”
Risi, ascoltandolo, quasi rifrancato dalle sue richieste, tanto inaspettate, quanto alla fine molto gradite, dato che non riuscivo a fare ameno di mangiarlo con gli occhi dal primo momento in cui l’avevo visto.
“Diciamo che avrebbero potuto dirti il vero, oppure no, non saprei davvero. L’unico modo è scoprirlo, o no?” gli risposi, stuzzicandolo.
Accennò un sorriso, camminando ancora verso di me, avvicinandosi tanto da sbattermi quasi quel pacco enorme sulla faccia, restando fermo qualche istante, come volesse che lo guardassi, poi si abbassò, accovacciandosi davanti a me, e vidi quel viso da così vicino, che mi venne subito l’istinto di saltargli addosso e ficcargli la lingua in bocca, ma mi trattenni.
“Ti voglio, non immagini quanto, voglio te, solo te, ti voglio qui, tutto per me. Ti trasferirai alla villa oggi pomeriggio, ho già avvisato i tuoi principali che sarai al lavoro per me, quindi sei dispensato da ogni altro impegno, tranne naturalmente quello di soddisfare me” iniziò a dire, con voce calma, parlando lentamente, sicuro che avrei accettato, anche se io non gli avevo ancora confermato niente, poi continuò.
“Non ho avuto bisogno di cercare altri, ho capito che eri quello giusto solo vedendoti di spalle, poco fa, quando sei arrivato. Dovrai firmare un accordo di riservatezza, prassi normale, e dovrai essere a mia completa disposizione, anche se dentro le mura della villa potrai comportarti come un ospite, quale in effetti sei. Se dici di si, ti accompagno a vedere la tua stanza, poi Stewart ti accompagnerà a casa a prendere quel che ti serve, riportandoti qui da me. Non sei obbligato ad accettare, ma se lo fai, non immagini come e quanto la tua vita cambierà ”, concluse, poi restò in silenzio, aspettando una mia risposta.
Non fu difficile decidere, l’offerta era più che allettante, anzi, era quello che più amavo al mondo, farmi scopare di brutto, in modo continuo, e farmi riempire di cazzo e di sperma, e se poi ci aggiungiamo che avrei vissuto da ricco, e stavolta dire ricco e sfondato è più che corretto, assieme ad uno degli uomini più manzi e sensuali che avessi mai visto, di sicuro la parola no spariva proprio dal mio cervello, ma temporeggiai, sorseggiando l’ultimo dito di whisky senza mai distogliere lo sguardo da quegli occhi magnetici e profondi, con il sorriso, fino a quando gli comunicai la mia decisione.
“Ok, accetto, sarò la tua puttana, la tua troia, per tutto il tempo che vorrai” dissi, poi mi alzai in piedi, sistemando la giacca e poggiando il bicchiere sul tavolino poco distante.
“Sapevo che avresti detto di sì” disse, sciogliendosi e sorridendo, finalmente alleggerito dal peso di quella strana ed eccitante richiesta.
Allungò la mano, gliela strinsi, e stavolta sentii una scossa elettrica percorrere ogni muscolo del mio corpo, accendendomi ogni senso, amplificando tutta l’attrazione che sentivo per lui, e quel sorriso mi fece diventare il cazzo duro all’istante, ma cercai di trattenermi, non era ancora il momento di sfoderare le mie armi.
“Vieni, ti mostro quella che sarà la tua stanza, e poi facciamo un giro della villa, ok?” disse, mettendomi una mano sulla spalla, e accompagnandomi fuori dallo studio, verso la parte opposta del corridoio, dove c’era la sua stanza, un bagno enorme, e le due stanze degli ospiti, inclusa la mia.
Spinse la porta giusto di fronte a quella della sua stanza, e la spalancò, mostrando ai miei occhi quel che sembrava un paradiso, una foto di una rivista di arredamento, una camera enorme, spaziosa, con un grande letto a baldacchino al centro, poggiato alla parete con una testiera imbottita, e quattro colonne che salivano dagli angoli dell’alto materasso, come enormi torciglioni di noce scuro, terminanti con quattro sfere opaline, di un giallo sfumato.
Il copriletto e i cuscini erano trapuntati, ma niente di eccessivamente pacchiano, di un nocciola molto rilassante, e dalla parte opposta, un comò panciuto con le maniglie dorate, faceva bella mostra di sé sotto ad uno specchio ovale, enorme, nel quale mi sarei sicuramente specchiato a lungo, anche dal letto, dove, ne ero sicuro, mi sarei fatto tante di quelle seghe da consumarmi l’uccello.
Tra quella parete e l’altra di fianco, occupata per lo più dalla grande finestra con i battenti a riquadri, come una grande villa inglese, e dalle sue tende, pesanti orpelli di seta ricamata, di un verde e di un rosso quasi natalizi, c’era la porta che dava nel bagno privato, con una grande vasca in porcellana, sorretta da quattro piedini di ottone lucente, come la rubinetteria di lato, mentre un grande mobile in noce si stagliava contro la parete di fronte, piastrellata con minuscole tessere di mosaico, che creavano un disegno classico, sul quale un piano di marmo giallo nascondeva un grande lavandino ovale, coi rubinetti identici a quelli della vasca, brillanti come fossero stati appena lucidati.
Un grande specchio rettangolare, con due lampade appese, in vetro opalizzato bianco, sembrava un quadro, con quei due fiori luminosi, e la cornice di legno incisa, mentre i due sanitari, wc e bidet, erano nascosti dietro due bassi muretti, che li facevano letteralmente sparire alla vista.
“Da questa porta finestra puoi uscire sul terrazzo, fumare, fare quel cazzo che vuoi, tanto è affacciato sul grande giardino nel retro della casa, e puoi uscire anche nudo” disse, portandomi poi fuori e chiudendo la porta a chiave.
Proseguimmo per almeno un paio d’ore, girando ogni stanza, passando al piano di sotto, la cucina, la biblioteca, la piscina coperta sul retro, e quel giardino enorme, in uno stile ibrido, fra l’inglese e il tropicale, con dei fiori splendidi.
Venni presentato a Filippo, alle cameriere, alla cuoca, e tutti mi accolsero col sorriso, senza sapere quale sarebbe stato il mio ruolo, ma furono tutti cordiali, molto disponibili, e mi assicurarono di esser pronti a soddisfare ogni mia richiesta, ogni mio bisogno.
Alla fine di quel giro turistico, così piacevole che non mi accorsi nemmeno di quanto veloce passò il tempo, il padrone di casa mi accompagnò alla macchina, dove Stewart, un giovanotto sorridente e molto carino, nella sua livrea bianca e nera, mi aspettava, già di fianco la portiera spalancata.
“Ci vediamo più tardi, non serve che porti qui tutta la casa! Se hai bisogno di qualcosa basterà chiedere, ok?” disse, sorridendomi ancora.
“Tranquillo, Giorgio, ci vediamo dopo”, gli risposi, guardandolo negli occhi, poi salii in auto, con l’autista che richiuse la portiera, e già assaporai quella vita da ricco, e la sensazione fu piacevole, davvero tanto piacevole.
Stewart sfrecciò per la strada con quell’auto costosa come un fulmine, ma quel sedile era talmente comodo che non me ne resi nemmeno conto, solo quando vidi la porta del palazzo davanti al finestrino, e sentii spegnere il motore.
“Signore, io la aspetto qui, faccia pure con comodo” disse, educatamente il ragazzo, aprendomi la portiera e facendosi da parte per farmi scendere, con quel sorriso che era davvero molto piacevole.
“Grazie, prometto che farò in fretta” gli risposi, anche se l’avrei invitato volentieri di sopra, e magari dargli una bella ripassata, anche perché su quel faccino ci avrei sborrato davvero molto volentieri.
Mentre l’ascensore mi portava al piano, iniziai a pensare a quella cosa, che ancora mi sembrava impossibile, incredibile, pazzesca, e mi chiesi come avessi meritato una cosa del genere, fatto sta che, non appena entrai in casa, e guardai in basso, vedendo l’auto scura, e iniziai a realizzare che stava succedendo, davvero.
Presi due borsoni, li riempii di vestiti, rasoio, phon, spazzolino, e poi aprii quel cassetto che adoravo tanto, sia mai che mi fosse servito qualcosa, infilando nella seconda borsa lubrificante, sospensori, giocattoli vari, qualche capo particolare da indossare, di cuoio, di lattice, un paio di pantaloni e un cappellino militare, sia mai che a Giorgio piacesse giocare anche in modo diverso, poi chiusi le zip, mi sedetti al tavolo della cucina e mi versai un bicchiere di vino.
Cazzo sto facendo, pensai, carezzando il tavolo con le dita, poi mi accesi una sigaretta, cercando di svuotare la mente e dando un rapido sguardo al mio nido, alla casa intorno a me, provando quasi una punta di malinconia, ma poi, al solo pensiero di quel che mi aspettava, l’entusiasmo tornò ad impossessarsi di me, e sorrisi, alzandomi, prendendo i due borsoni, sistemandomi addosso la giacca, e chiudendo la porta con un paio di giri di chiave.
Scesi giù, Stewart mi stava aspettando col suo solito sorriso, e non appena mi vide scattò sull’attenti e si spostò per aprirmi la portiera, dopo aver spalancato il baule, e mi venne in contro.
“Dia pure a me” disse, con quel suo accento vagamente inglese, e salii in auto, sorridendo, sentendomi davvero importante, forse per la prima volta in vita mia, e non appena il mio culo sfiorò quel soffice sedile, non pensai ad altro che ad essergli riconoscente.
fonte:https://talesfrompornokaos.tumblr.com/
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