Il segreto del miliardario – 2

““Sei splendido” mi disse, guardandomi col suo solito sorriso mentre mi sedevo di fronte a lui, a quel piccolo tavolo quadrato apparecchiato alla perfezione, …”

Il sole stava iniziando a sparire dietro l’orizzonte, scurendo il verde
vivo degli alberi del giardino fino a trasformarli in semplici sagome buie, che risaltavano sul chiarore aranciato del tramonto, che sfumava in un blu sempre più profondo.
Sotto la doccia, l’acqua calda rinvigorì il mio corpo, dalla testa ai piedi, e rimasi sotto quella cascata fumante stando con la fronte poggiata alle piastrelle in mosaico, gli occhi chiusi e rilassandomi del tutto.
Ero ancora estasiato dalla visione di quel cazzo mostruoso, che non avrei mai immaginato veder uscire dai pantaloni di Giorgio, ma che già non vedevo l’ora di gustarmi ancora, e l’idea di essere la sua troia mi eccitò di nuovo, velocemente, ma non feci caso, né al pulsare del mio ano, né al mio cazzone gonfio, duro e dritto verso l’alto come la leva di un cambio.
Guardai fuori dalla finestra, mentre annodavo la cintura attorno l’accappatoio, perdendomi con lo sguardo su quella distesa di chiome dalle mille sagome diverse, quasi un giardino botanico, che poco alla volta scompariva nel buio della sera, con gli unici punti di chiarore lungo i bordi dei vialetti, che si perdevano in zone nascoste da piccoli boschetti.
Avevo ancora nella mente quel grosso cazzo, nodoso, largo, che nemmeno con due mani riuscivo ad impugnare tutto, e con le dita che non riuscivano a chiudercisi intorno, a quanto sembrava surreale, eppure era così vero, caldo, duro, con quei coglioni sotto che due limoni di Sorrento erano sicuramente più piccoli, e quel pensiero mi fece sorridere, e continuai a chiedermi se stavo vivendo sul serio tutto questo oppure era solo la mia fantasia a farmi sentire quelle sensazioni, quelle emozioni, a farmi vedere immagini che sembravano rappresentare tutti i miei sogni.
Mi girai verso il letto, dov’erano piegati ordinatamente i vestiti che avrei messo per la serata, specificatamente scelti e ordinati da Giorgio, che stavo scoprendo sempre più maiale, nonostante quell’alone di mistero che lo circondava.
C’era un completo, sicuramente molto elegante, di un viola acceso, come la cravatta arrotolata di fianco la camicia, di un nero brillante che non lasciava immaginare le sue fattezze, mentre di fianco, di un bianco accecante, c’era un qualcosa di indecifrabile, non ben definito, che presi in mano non appena tolsi l’accappatoio, riponendolo diligentemente appese al suo posto, in bagno.
Era una specie di tutina, di una stoffa sottile, elastica, morbida e lucente, un qualcosa che fra le dita mi diede sensazioni mai sentite prima, e non appena la allargai per capirne la forma, mi misi a ridere, iniziando ad indossarla, con non poche difficoltà.
La fatica valse di sicuro il risultato, perché quando mi guardai riflesso nello specchio davanti a me, restai quasi attonito, nel vedermi così conciato, e quel gioco di tensioni fra la stoffa, gli elastici e i miei muscoli, mi stava praticamente trasformando in un supereroe.
Le maniche lunghe, come i pantaloni, seguivano la forma dei muscoli dei miei arti alla perfezione, coi polsini senza elastico, ma perfettamente aderenti, mentre lo scollo rotondo lasciava scoperto metà del mio petto, passando sui pettorali senza rilievi, come la parte fra le mie gambe un’apertura che seguiva il contorno del mio inguine, passando giusto sopra il cazzo, finendo fra le mie cosce e ricongiungendosi sui miei lombi, sostenendo le mie chiappone e spingendo verso il basso il mio cazzone, non sapevo in che modo, ma quell’insieme era fantastico, come la sensazione che mi lasciava sulla pelle.
Dopo quell’attento ed eccitante esame, e col cazzo mezzo duro, mi vestii, indossando lentamente ogni capo che stava sopra il letto, infilando la camicia, aderente, morbida, chiudendo i polsi con i gemelli, e abbottonando ogni singolo bottone con movimenti lenti, assaporando quel rito come qualcosa di diverso dal solito.
Infilai i pantaloni, abbottonando quel grande bottone dorato, chiudendo la zip alzando il cursore, e poi infilai la cintura, infilandola nella grossa fibbia dorata, dopo aver sistemato per bene la camicia.
Annodai la cravatta, un doppio nodo all’inglese, così da renderla più grossa e perfetta, sistemandola per bene fra i lembi del colletto, perfettamente stirato.
Infilai le scarpe, annodando i sottili lacci con un bel fiocco, e prima di mettere la giacca, tornai in bagno, sistemando il ciuffo con uno schizzo di gel sulla mano, e poi conclusi il tutto infilando la giacca, abbottonando i due bottoni più bassi e tornando a guardarmi allo specchio.
“Sei splendido” mi disse, guardandomi col suo solito sorriso mentre mi sedevo di fronte a lui, a quel piccolo tavolo quadrato apparecchiato alla perfezione, con una minuscola candela in un vasetto di cristallo lavorato, pronti per i piatti che Filippo ci avrebbe servito.
La cena passò molto piacevolmente, colma di delizie, di ottimo vino rosso, e dei suoi racconti, delle sue avventure con miriadi di donne, spesso impaurite da quelle dimensioni straordinarie, ma sempre pronte a sacrificarsi per avere dei regali in cambio, senza poi essere così soddisfacenti, almeno per lui.
Poi mi fece mille domande, sulla mia vita privata, sul lavoro, sul rapporto coi colleghi, con gli amici e col mio corpo, affermando ancora una volta di essere davvero stupito e incantato dal modo in cui godevo col mio culo e come ero in grado di far godere un altro uomo.
Gli risposi a cuore aperto, spiegandogli per filo e per segno che tutto quel talento, sia nell’apparire che nell’essere, era parte del mio dna, e che avevo sempre sentito dentro di me la voglia, e il bisogno, di soddisfare i bei maschioni come lui, specie quando fra le gambe avevano qualcosa di titanico, di enorme, come quel platano che aveva lui, e Giorgio rise, di gusto, apprezzando fino in fondo la mia sincerità.
Eravamo molto in sintonia, in qualsiasi argomento, chiacchierando come vecchi amici, e arrivammo al dolce senza nemmeno accorgercene, con Filippo che arrivò con due coppe piene di crema al mascarpone e cioccolato, che erano un vero attentato alla nostra forma fisica.
“Io direi che potremmo dedicarci al dessert che amo di più, che ne dici?”
“Quale?” gli risposi, malizioso.
“Quello che hai dietro, no? Mi è venuta un’improvvisa voglia di culo, e non vedo l’ora di vederlo con quella tutina magica addosso!” disse, guardandomi sporgendosi in avanti.
Risi, ammiccando con le sopracciglia, e poi mandai giù l’ultimo sorso di caffè che era rimasto nella grande tazza, che Filippo aveva già imparato a riempire il più possibile, da quando aveva saputo che era la mia bevanda preferita.
“Camera tua o camera mia?” chiesi, muovendo il dito sul tavolo.
“Salotto, per la precisione la poltroncina che ho fatto recapitare oggi pomeriggio proprio per la serata”
“Poltroncina? Oggi pomeriggio?”
“Ti stavo scopando in piscina quando l’hanno consegnata”
“Ah, ecco, mi pareva di non aver visto altre persone in giro”
Ci alzammo, fumando mentre tornavamo in villa, e non appena fummo in salotto, vidi questa famosa poltrona, che sembrava più una panca per allenarsi, inclinata, con qualche strano sostegno dove poggiare le gambe, pensai, e un piano di cuoio nero, ben imbottito e morbido.
“Vieni, lascia fare a me” disse, prendendomi per un braccio, e trascinandomi di fronte a lui, poi iniziò a sbottonarmi la giacca, sfilandomela e lanciandola sul divano, poi mi sciolse il nodo della cravatta, sfilandola da sotto il colletto della camicia.
Mi prese una mano, slacciando i gemelli del polsino, poi la lasciò per prendere l’altra, e di nuovo slacciò l’altro paio di gemelli, e poi iniziò dal colletto, sbottonandomi la camicia un bottone alla volta, lento, respirando profondamente e guardando con attenzione quel che stava facendo, fermandosi quando arrivò alla cintura.
Slacciò la fibbia, sfilò la cintura, lasciandola cadere sul pavimento, poi sbottonò la patta dei pantaloni, lasciandola socchiusa, e mi sfilò la camicia, raccogliendola in modo morbido e ordinato, e poggiandola sul tavolino di fianco, assieme ai gemelli.
A quel punto mi mise le mani sul petto, carezzandomi i pettorali, e la sensazione di quelle mani grandi sul mio corpo, vestito di quella stoffa particolare, mi fece eccitare di brutto, soprattutto quando i palmi delle sue mani sfregarono contro i miei capezzoli, turgidi e duri come chiodi, facendomi sospirare di piacere.
Sorrise, mentre scendeva con le mani verso il basso, carezzandomi il ventre e infilando le mani nei pantaloni semiaperti, spingendo in modo da abbassare la zip fino in fondo, e poi me li abbassò, accucciandosi per slegarmi prima i lacci delle scarpe e poi togliere tutto assieme, lasciandomi solo con quella ridicola ma eccitante tutina bianca addosso.
“Avevo provato ad immaginarti, con questa addosso, ma vederti così è pazzesco!” disse, indietreggiando di un paio di passi, e guardandomi con attenzione, girandomi in torno e poi sentii le sue mani sul culo, stringermi con forza le chiappe, e dolcemente mi spinse verso quella strana sedia, quell’incrocio fra una poltroncina, una sdraio, una panca da palestra e la sedia di un ginecologo, guidandomi per salirci sopra.
Mi poggiai di pancia, incastrando le gambe su quei due supporti spugnosi e comodi, con mia grande sorpresa, poi mi aggrappai con le mani ai sostegni davanti al mio viso, che sembravano due manubri di una bici, e in quel modo, inarcato e sospeso, il mio culo era a sua completa disposizione, ma grazie alla rientranza che c’era sul basso, motivo per cui le gambe avevano bisogno assoluto di quei due sostegni, anche il mio scroto e il mio cazzone penzolarono liberi, pronti ad essere usati per il suo, ed il mio, piacere.
Grugnì, sbuffando forte, prima di avvicinarsi e mettere di nuovo le mani sulle mie chiappe, facendole dondolare, facendole sussultare come due budini e poi spalancarle, annusando forte e subito la sua bocca si poggiò sul mio sfintere, che già palpitava voglioso, baciandolo, per poi succhiarlo con forza, fino a schioccare ripetutamente.
Le sue mani rimasero poco sulle chiappe, e subito scesero, afferrando sia i miei grossi coglioni che il mio cazzone, e mentre la sua lingua si faceva spazio dentro di me, affondando di brutto, le sue mani iniziarono a mungermi, a massaggiarmi, e quel suo mugugnare con la bocca piena del mio culo mi fece eccitare ancora di più, e iniziai a mugolare, ad ansimare, abbandonandomi al piacere di quella bocca affamata e ingorda.
Ci volle poco perché dal cazzo iniziassi a gocciolare, e lui ne approfittò subito, iniziando a strusciare la mia cappella col pollice, tenendomi stretti i coglioni con l’altra mano, facendomi urlare alla grande, e lo sentii ridere, prima che tornasse a slinguarmi il culo.
Quella grossa lingua lunga mi leccava dentro con una foga che non aveva mai dimostrato, infilandosi in ogni angolo del mio ano, mentre le labbra erano spinte contro il mio sfintere, come fosse un lungo bacio appassionato, e il mio buco del culo diventò via via più largo, più tenero, più gonfio, spalancandosi e lasciandolo affondare ancora di più, mentre con quelle mani sul cazzo e sui coglioni, mi faceva impazzire.
Ansimavo, così forte che la mia voce echeggiava nel grande salone, mentre ad occhi chiusi lasciavo che fosse il mio corpo a comandare, ascoltando ogni mio fremito, ogni tremore, mentre il muscolo anale cedeva sempre di più, e Giorgio rise più volte, allontanandosi, sputandoci contro, e riprendendo a leccarlo.
La sua bocca sembrava non volerne fare più a meno, come la sua lingua, che non avevo mai sentito entrare così a fondo, e nemmeno io avrei voluto che si fermasse, ma le sue labbra si staccarono con lo schiocco dal mio culo, lasciandolo spalancato, dilatato.
Non passarono più di due secondi, perché il mio buco del culo tornasse pieno di qualcosa, e infatti la sua lingua grossa e lunga lasciò il posto alle sue dita, che iniziarono subito a intrufolarsi dentro di me, muovendosi come grossi serpenti, rovistando le mie interiora in ogni angolo.
Ne infilò uno soltanto, all’inizio, muovendolo dentro e fuori, in ogni direzione, in tondo, spingendolo a fondo e tirandolo fuori tenendolo ad uncino, così da slabbrarmi lo sfintere, che si ammorbidiva sempre di più, poi quel dito raddoppiò e con due mi lavorò il culo ancora più a fondo e in modo ancora più deciso.
Poco alla volta, me ne mise dentro quattro per ogni mano, prima alternandole, poi tutte assieme, e mi sentii così pieno da godere come un pazzo, largo, dilatato, ma in un modo che non era per niente perverso, anzi, il suo tocco deciso, lento e ben assestato, mi aprì il culo in un modo che mai prima mi era successo.
Tenne dentro di me tutte quelle dita almeno per un minuto, fermo, immobile, ascoltando i miei gemiti e le contrazioni del mio muscolo, poi le estrasse lentamente, poco ala volta, facendomi sentire lo struscio di ogni centimetro della pelle, di ogni rilievo, nocca, fino a sgusciare fuori del tutto, e il mio ano rimase spalancato, per un istante, il tempo che Giorgio si leccasse le labbra, mi sputasse dentro, e si rimettesse di nuovo a limonare col mio culo.
Con lo sfintere così gonfio, tenero e umido, diventato super sensibile, le mie urla diventarono ancora più intense, più forti, mentre quella lingua mi ravanava dentro come una furia, affondando senza ritegno e facendo un rumore a metà fra il ridicolo e l’eccitante, con certi risucchi e schiocchi che sembravano i versi di un animale che divora la sua preda ancora viva.
Ero così fradicio di saliva che sentivo il culo gocciolare, e qualche rivolo scivolò anche sulle mie palle, per finire a percorrere tutto il mio cazzone, mescolandosi al mio nettare e gocciolando con un lungo filo fino al pavimento, rotto dal suo dito, che ogni tanto ne raccoglieva un po’ per ingoiarlo e usarlo come condimento per divorarmi meglio l’ano.
“Dammi il cazzo, ti prego, scopami!” gli sussurrai, voltando la testa, e lui rise, di gusto.
“Sei così aperto che ti ci potrei infilare la testa dentro quel culo!” disse, iniziando ad armeggiare con la patta dei pantaloni, e come aveva fatto nel pomeriggio, con un colpo da maestro, tirò fuori quell’enorme cazzo barzotto, nodoso e gonfio all’inverosimile, coglioni inclusi, e si avvicinò, iniziando a strusciarmi la cappella contro lo sfintere, e lì urlai in modo animalesco, selvaggio, tremando dal culo fino alla punta dei capelli.
Lo sentii ridere di nuovo, fra i soliti mugugni profondi, come fosse un toro in calore, e poi spinse, lentamente, ma spinse con decisione, facendosi strada fra le fibre del mio muscolo anale, allargandolo ed entrando dentro con quel grosso glande gonfio e succoso, per poi spingere ancora più deciso, sprofondando letteralmente nel mio culo, fermandosi solo quando i suoi grossi coglioni si scontrarono coi miei, e lì si fermò, grugnendo.
Sentirmi così pieno mi fece girare la testa, e in quella posizione, la curva di quel batacchio fu perfetta per farsi sentire fino in pancia, mentre con le mani mi teneva comunque per i fianchi, nonostante fossi ben saldo su quel coso strano.
Iniziò a muoversi subito dopo che il mio ano prese perfettamente la forma giusta per quel grosso tubo di carne, e le sue mandate avanti e indietro aumentarono via via di forza, uscendo e rientrando dentro di me sempre più facilmente, e sempre più a fondo, mentre sentivo il solco della sua cappella sfregarmi contro l’intestino, e quelle vene grosse e gonfie che strusciavano contro lo sfintere, riuscendo persino a farmi sentire il battito del suo cuore.
I suoi mugugni si mescolarono di nuovo coi miei gemiti, i suoi versi a labbra strette si unirono in un concerto rumoroso assieme alle mie urla, mentre il mio ano fradicio si lasciava distruggere dai suoi colpi di reni, sempre più forti.
I suoi coglioni, grossi e duri come due massi, continuarono a sbattere per tutto il tempo contro i miei, le sue mani mi tennero saldo e stretto, mentre il mio povero ano cercava di palpitare, dilaniato da quel coso mostruoso che lo lavorava a tutta birra.
Non servivano parole, bastavano i versi incomprensibili e ridicoli che uscivano dalle nostre bocche, bastavano le connessioni chimiche dei nostri corpi, mentre si univano in una danza profonda, sensuale e selvaggia allo stesso tempo, con lui che manovrava quel cazzo enorme in un modo a dir poco favoloso, colpendomi dentro nei punti giusti, sempre più forte, e sentii la mia prostata contrarsi sempre più forte, spingendo fuori dal mio cazzo litri di nettare, che percepivo chiaramente sgorgare continuo, preparandosi a dare il meglio in un orgasmo che già sapevo essere davvero devastante.
Accelerò di colpo, di brutto, fino a farmi urlare, grugnendo come un toro scatenato, poi si fermò, di colpo ancora una volta, tirandolo fuori, e lasciandomi col culo spanato, dilatato.
Scesi di corsa da quel trabiccolo, deciso ad essere io a prendere in mano le redini del gioco, e con qualche acrobazia, tornai sul pavimento in piedi davanti a lui, e me lo guardai finalmente per bene.
Sembrava che quei vestiti fossero fatti appositamente per stare col cazzo di fuori, tanto erano rimasti perfetti, in ordine, mentre quella proboscide rivolta appena verso l’alto, e quei coglioni grandi come due meloni, risaltavano alla grande su quei pantaloni blu scuro, ancora senza una piega.
Mi guardò, in silenzio, gli occhi sgranati per l’inaspettata mia discesa, e approfittai della sua sorpresa per dargli una spinta e farlo cadere seduto sul divano, salendogli sopra, e sghignazzando.
“Che fai?”
“Mi prendo quello che voglio” gli risposi, e con la mano guidai quel cazzo enorme che tenevo fra le chiappe direttamente dentro al mio culo, lasciandolo affondare di nuovo fino a quando la sua corsa finì, e strinsi lo sfintere, imprigionandolo dentro di me, e feci lo stesso con le ginocchia intorno ai suoi fianchi, mentre un sorriso soddisfatto comparve sul suo viso.
Iniziai subito a muovere il culo a tutta velocità, su e giù, avanti e indietro, montando e cavalcando quel cazzo con tutta la furia che avevo in corpo, facendolo grugnire persino a bocca aperta, mentre le sue mani atterrarono sulle mie chiappone, strizzandole e accompagnando i miei movimenti.
I nostri occhi erano fissi gli uni negli altri, dalle nostre bocche uscivano versi innaturali e bestiali, mentre il rumore del mio culo ormai risuonava per tutta la stanza, mentre quel pistone immobile entrava e usciva da dentro di me, però, dopo qualche momento, le sue mani mi sollevarono il culo, e da sotto, Giorgio iniziò a colpirmi, a fottermi con il suo pisellone a tutta birra, rabbioso, ansimante, sbattendomelo tutto dentro per tutta la sua lunghezza, mostrando una forza disumana, e un fervore interminabile, e io sopra di lui ansimai, urlai gemendo come un pazzo, mentre la cappella sbatteva dentro al mio culo come un martello pneumatico, dritta contro la mia prostata.
Il piacere era immenso, sconfinato, e quell’elastico spesso che faceva pressione alla base del mio cazzo, non fece altro che mantenere più sangue possibile al suo interno, diventando duro come il marmo, mentre un rivolo di nettare imperlava di bagnato la sua camicia, sotto la cappella, ma quel liquido trasparente non fu l’unico fluido che lo bagnò, perché di colpo, sotto i suoi colpi di cazzo, l’orgasmo esplose dentro di me, facendomi urlare a squarciagola, e andai all’indietro con la schiena, poggiandomi con le mani sulle sue ginocchia, così che i suoi movimenti veloci bombardassero la mia ghiandola ancora meglio, e lui fu velocissimo ad afferrarmi il cazzo, giusto un attimo prima che esplodessi con tutta la forza di cui fui capace, schizzandogli addosso come una pistola ad acqua, una mitragliatrice a sperma che lo allagò, spruzzo dopo spruzzo, sul viso, sulla camicia, dappertutto, mentre ansimavo e urlavo come un pazzo, e lui da sotto, sogghignando come al solito, non smise un attimo di pomparmi quel mostruoso cazzo nel culo, facendomi uscire fuori fino all’ultima goccia dai coglioni.
Sfinito, rallentai, piano piano, col culo che era ancora in preda a contrazioni incontrollate, attorno a quella mazza che finalmente stava perdendo colpi, rallentando anch’essa, stretta fra le spire del mio sfintere distrutto, gocciolante, grondante di succo in un modo inverosimile, e guardai Giorgio negli occhi, sorridendo, mentre lui si spalmava la mia sborra sul viso, e ne raccoglieva un po’ con le dita, succhiando e ingoiando avidamente.
Dopo qualche minuto di respiro, mi prese per i fianchi, alzandosi dal divano e facendomi finire con le spalle sul pavimento, piegandomi le gambe sopra la testa, stando su di me, e tenendo sempre almeno metà cazzo dentro al mio culo, pronto per l’assalto finale.
Iniziò a incularmi senza pietà, senza contegno, furioso, tenendomi le mani sulle cosce, e spingendomi quel cazzo in culo con una furia selvaggia, grugnendo, ansimando, a denti stretti e con la fronte grondante di sudore, continuando sempre più forte, più deciso.
Ascoltai i suoi grugniti, i fremiti del suo corpo possente, le espressioni bestiali sul suo viso, mentre i suoi colpi diventavano via via più veloci e profondi, e non appena lo sentii ansimare ancora più profondamente, strinsi il culo, così da fargli fare più attrito mentre entrava e usciva da dentro di me, aumentando il suo godimento.
Urlò, così forte che nemmeno un elefante che barrisce arriva ad un volume tale, e un istante dopo si fermò, tenendo il cazzo dentro, e sparandomi un paio di fiotti di sperma così potenti e abbondanti da riempirmi del tutto subito, così lo tirò fuori, e finì di sborrare venendomi sul petto, sul viso, sul collo, dappertutto, continuando a sospirare come un animale ferito, con la faccia deformata dal piacere e rivoli di sudore che scendevano dalla fronte sulle sue guance.
Le bordate di sperma che uscirono dalla sua cappella, furono così tante, così potenti, e così forti, che mi ritrovai col viso coperto di sborra, coi pettorali gocciolanti e con un occhio che mi bruciava in modo incredibile, mentre lui ansimava fra le risate, continuando a smanettarsi il cazzo fino a quando non ebbe più sperma da darmi.
Andò indietro, un passo soltanto, cadendo di nuovo seduto sul divano, mentre io rimasi disteso, distendendo le gambe da un lato, e raccogliendo con le dita tutto quel succo denso e profumato, ingoiandolo velocemente, fino a ripulirmi del tutto, poi gattonai fra le sue cosce, prendendogli in bocca quel mostro ormai sfinito e penzolante, succhiando e leccando per bene, ripulendolo da ogni traccia di sborra.
“Ancora non capisco come cazzo fai a farmi sborrare così! Ogni volta vengo sempre di più, sempre più forte, così tanto che mi sembra che mi escano fuori anche le palle!”
“Sarà colpa del mio culo”
“Mi sa di sì” disse, ridendo, “adesso è meglio che ce ne andiamo a dormire, domani sarà una giornata pesante per me” concluse, alzandosi e rimettendo nei pantaloni quel cannolo enorme.
Salimmo assieme, dopo che finii di raccogliere i miei vestiti, e ci salutammo con un abbraccio e un bacio, prima che ognuno si chiudesse dentro la sua stanza.
Ero sfinito, ma con le immagini della serata che continuavano a girarmi per la testa, il cazzo mi tornò duro in meno di un minuto, così, per riuscire a dormire, dovetti farmi una bella sega, sborrando di nuovo per aria come uno spettacolo di fuochi d’artificio, sorprendendomi di quanto sperma le mie palle fossero state in grado di produrre in così poco tempo.
Per fortuna, quella sveltina di mano mi aiutò a svuotare la mente da ogni pensiero porco, lasciandomi tranquillo e rilassato, pronto per finire in un sonno profondo, riposante, rigenerante, fino al mattino del giorno dopo.

fonte:https://talesfrompornokaos.tumblr.com/

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