Il segreto del miliardario – 1

“Verso?”
“Certo, versa, versa!”
Mentre versava il vino, notai un piccolo ammasso di fogli, e una penna, che Giorgio prese prima di darmi il bicchiere, e…”

Filippo mi stava aspettando sulla porta, e iniziai a pensare che fosse
un sensitivo, ma quel suo sorriso spontaneo e quel modo di fare così professionale, mi conquistarono da subito.
“Signore, le porto le borse nella sua camera?” mi chiese, allungando le mani.
“No, figurati, faccio io, tranquillo!”
“Va bene, signor Loris. Sistemi pure tutto nella sua stanza, il signor Giorgio le ha preparato sul letto qualcosa da indossare per poi scendere a bere qualcosa in giardino, ok?”
“Ok” chiusi il discorso e mi avviai su per le scale, annusando già l’aria che sapeva di ricco, di soldi, di privilegi, di spensieratezza, e ci risi su, aprendo subito la porta della mia camera e poggiando i borsoni per terra.
Sistemai velocemente tutto, riempiendo i cassetti, lasciando il primo sopra per i miei giocattoli e per gli indumenti, per così dire, speciali, poi mi spogliai, stendendomi su quel letto enorme e morbido, e chiusi gli occhi qualche secondo, lasciandomi cullare da quella sensazione a dir poco piacevole, quasi eccitante.
Quando sollevai la testa vidi che lo specchio di fronte, era perfetto per riflettermi, anche mentre avrei giocato con me stesso nel grande lettone, poi mi accettai in piedi, e mi guardai con più attenzione, ammirando il mio corpo, i miei muscoli, il mio cazzone, che anche semiduro, era bello grosso e largo, e poi mi voltai di fianco, guardando le mie chiappone, poi con lo sguardo trovai gli abiti piegati e posti sul letto, con un bigliettino scritto a mano sopra.
“Indossali per me” c’era scritto, e sorrisi, guardando quella maglietta e quei pantaloni di flanella, che sembrava più un pigiama, assaporando la morbidezza di quella stoffa fra le dita, e li indossai, sentendoli aderire alla mia pelle come un perfetto involucro, che mi facevano apparire come fossi nudo, ma di colore grigio chiaro, segnando ogni curva, ogni muscolo, la forma del mio cazzone e del mio scroto e guardarmi allo specchio così vestito fu davvero esaltante ed eccitante.
Infilai le scarpe, quelle rosso fuoco da ginnastica, sopra ad un paio di calzini di spugna candidi e brillanti, e scesi giù di corsa, cercando il modo di arrivare in giardino, trovandolo in un’enorme porta finestra giusto dietro la grande scala.
Il sentiero di ghiaia, spezzato da una fontana classica, che spruzzava acqua quasi come quando schizzo dal cazzo, mi accompagnò fino ad una curva ad l, verso destra, dove un gazebo in legno, dalla forma ottagonale, le colonne squadrate e il tetto spiovente a tegole verdi, copriva un salottino moderno, essenziale, un tavolo, due sedie, un divano, sul quale Giorgio, esattamente come poche ore prima, mi aspettava con davanti un secchiello di acciaio, da cui sbucava il collo di una bottiglia di vino, e due calici, pronti ad esser riempiti.
“Eccoti, hai sistemato tutto?”
“Si, grazie” dissi, avvicinandomi e sedendomi, percependo chiaramente il suo sguardo.
“Perdonami, ma non ce la faccio a toglierti gli occhi di dosso. Verso?”
“Certo, versa, versa!”
Mentre versava il vino, notai un piccolo ammasso di fogli, e una penna, che Giorgio prese prima di darmi il bicchiere, e con lo sguardo e la mia solita velocità lessi quel che c’era scritto.
“Non ti preoccupare, riguarda solo la riservatezza, ma non credo che a te interessi crearmi problemi, no?”
“Assolutamente” risposi, poi presi la penna e feci una delle mie solite firme, riccioli e volute, come il presidente di una banca.
“Allora adesso brindiamo! Alla lussuria, amico mio, a tutto il piacere che io e te scopriremo assieme!”
“Molto volentieri” risposi, e il nostro brindisi fu fin troppo rumoroso.
Mentre gustavo quel vino frizzante e profumato, lo guardai, e lo trovai così attraente che mi eccitai di brutto, specie quando iniziò a guardarmi con quegli occhi profondi e intensi, ma quella sensazione durò poco.
“Io devo uscire, ho una riunione fra un’ora, quindi tornerò per cena, fai pure quel che vuoi, questa per ora è come fosse casa tua, non ci sono passaggi né stanze segrete, e nemmeno tra me e te, ok? Però, prima di andare, vorrei che mi facessi almeno assaggiare quel culo fantastico” disse, sporgendosi in avanti, e guardandomi con quel sorriso spiazzante.
“Ma ben volentieri!” gli risposi, e mi alzai, mettendomi davanti a lui, di schiena, e giocai un po’, dondolando i fianchi, come facessi uno spettacolino erotico, poi infilai le dita sotto l’elastico dei pantaloncini, inarcando la schiena per spingere il culo verso di lui, e li abbassai, lentamente, scoprendo le mie chiappone ai suoi occhi, fino a lasciarli cadere fino alle caviglie, e solo allora sentii finalmente le sue mani calde afferrarmi il culo, stringerlo, strizzarlo, farlo dondolare, mentre dalla sua bocca uscivano grugniti e sospiri pesanti.
Una delle sue mani mi salì lungo la schiena, sotto la maglietta, carezzandomi la pelle, poi mi spinse in avanti, e io allargai le gambe, poggiando le mani sulle ginocchia, così da offrirgli il mio culo ancora meglio, ascoltando solo i versi che uscivano dalla sua bocca.
“Perdonami, è la prima volta che mi trovo davanti un culo maschio, sono troppo emozionato” disse, quasi con un tono d’imbarazzo, e sorrisi, sapendo che non mi vedeva farlo, talmente perso a guardarmi fra le chiappe che sembrava ipnotizzato.
“Lascia che i tuoi desideri prendano forma, diventino reali, lascia che sia la lussuria a guidarti e non porti limiti, scatena le tue voglie su di me, senza freni, io sono qui per questo” gli risposi, sussurrando, e lo sentii ridere, veramente emozionato, mentre iniziava a baciarmi la pelle dei glutei, a leccarla, a mordicchiarla, ficcando quel grosso naso nella spacca, fino ad annusarmi il buco del culo, e i suoi sospiri ansimanti diventarono così forti, potenti, che mi eccitarono da impazzire.
Tirò fuori la lingua, timida, curiosa, grossa e calda, piena di saliva, che iniziò a sfiorare le spire del mio sfintere girando intorno, andando da sopra a sotto, indugiando sempre più spesso al centro, dove le pieghe creavano uno spiraglio che poco alla volta iniziò ad allentarsi, a perdere tensione, spalancandosi quel che bastava per far vedere a Giorgio dove doveva infilarsi, e lui iniziò a lasciarsi andare sul serio, con la lingua che spinse contro il mio ano, facendosi strada dentro di me, sempre con quei movimenti delicati, lenti, desiderosi di assaporare e scoprire un mondo nuovo, un piacere e un sapore sconosciuti, ma così tanto pretesi.
Quel suo modo di fare mi stava facendo impazzire, perdere la testa, mentre le sue labbra calde mi solleticavano il perineo, poi l’intensità dei suoi movimenti iniziò a diventare più vigorosa, più forte, più decisa, e poco alla volta il mio muscolo si aprì, si allargò alla sua volontà, alla sua curiosità di assaggiarmi anche dentro, mentre le labbra si appoggiavano e si chiudevano intorno, succhiando come una ventosa.
Gemevo, non riuscivo a controllarmi, mentre cercavo di stare in equilibrio davanti a lui, ansimando sempre di più, e rilassai l’ano così tanto che sporse appena in fuori, così sentii le sue labbra stringerlo, e succhiarlo ancora più forte, tenendo la lingua spinta dentro, sempre più a fondo, e quel suo mugugnare selvaggio e continuo non fece altro che farmi eccitare sempre di più, e abbassai la testa, guardandomi il cazzo, duro come il marmo, gocciolante e pulsante, con un goccio di nettare che colava fin sul pavimento di legno.
La sua lingua mi rovistò dentro con una forza sempre maggiore, facendomi addirittura tremare le gambe per il piacere, e ansimare senza controllo, fino a quando si tirò indietro di colpo.
“Cazzo, devo andare, mi spiace!” disse, frettolosamente, e si alzò, passandomi di fianco e camminando velocemente fino in casa, lasciandomi lì così, piegato quasi a novanta gradi, col culo grondante di saliva, e il cazzo sul punto di scoppiare.
Rimasi fermo, un secondo, realizzando quel che era successo, poi, tra le risate, e il respiro corto, colmo di eccitazione, decisi di finire quel che Giorgio aveva iniziato, sedendomi dov’era seduto lui prima, e mi sputai su entrambe le mani, usandone una per menarmi il cazzo, e l’altra per infilarmi due dita nel culo, e continuai a darmi da fare sempre più forte, sempre più veloce, chiudendo gli occhi, e abbandonandomi al piacere più assoluto, finendo col sborrarmi sulla maglietta, dal collo al ventre, trasformandola in uno straccio inzuppato di sperma.
Mi girava ancora la testa, quando finalmente tirai fuori le dita, liberandole dalla presa stretta del mio muscolo anale, e rimasi un’altra mezzora a riprendermi, ridendo, come uno stupido, e una volta ripreso, tornai in casa, assetato e affamato, gironzolando disorientato, alla ricerca della cucina.
“Ha bisogno di qualcosa, signore?” sentii dire all’improvviso, dietro di me, e mi voltai, trovandomi Filippo, sorridente e gentile, in attesa della mia risposta.
“A dire il vero si, dove trovo la cucina?”
“Dritto, sempre dritto” disse, poi mi guardò, abbozzando un sorriso, “direi che ha anche bisogno di un cambio. Le faccio trovare tutto sul suo letto”, concluse, si voltò e andò via, sparendo con la stessa velocità con cui era arrivato.
La cuoca mi preparò velocissima uno dei panini più buoni che avessi mai mangiato, portandomi anche un bicchiere colmo di vino rosso, che riuscì a mandarmi di nuovo via di testa, tanto che dopo il caffè, rimasi almeno mezzora lì seduto, provando a chiacchierare, con la lingua che si annodava fin troppo spesso.
Salii in camera, e finii direttamente sul letto, cadendoci di peso, e il sonno, per colpa dell’ebrezza, mi fece sprofondare in quel morbido piumone come se mi stessi sciogliendo, cullandomi per un paio d’ore.
Quando mi svegliai, non mi resi subito conto di dove fossi, tanto avevo dormito pesante, ma poi, come un raggio di sole di quelli che ancora entravano dalla finestra, mi ricordai di tutto, e sorrisi, guardando anche il mio pisellone, su di giri come ad ogni mio risveglio, e saltai in piedi sul pavimento, stiracchiandomi e guardando l’orologio.
Erano quasi le cinque, ma il sole ancora illuminava alla grande quel giardino spettacolare che vedevo dalla finestra, però, piuttosto che uscire, pensai di fare una nuotata in piscina, dato che ne avevo la possibilità.
Rovistai nell’armadio, dove Filippo mi aveva riferito di aver messo un bel po’ di vestiti, sotto ordine di Giorgio, ma non riuscii a trovare un misero costumino da infilarmi addosso, così mi infilai dentro l’accappatoio appeso nel bagno, in microfibra bianca, come le ciabatte, e scesi di corsa le scale, arrivando alla piscina in un battibaleno, ma poco prima di entrare in quella sala colma di luce, Filippo mi bloccò sulla porta, guardandomi col suo solito sorriso.
“Vuole fare un tuffo, signore?”
“Certo, posso, vero?”
“Assolutamente sì. Indossa un costume per caso?”
“No, non sono riuscito a trovarlo”
“Perfetto, perché il signor Giorgio mi ha fatto obbligo di dirle di non usarlo quando nuota qui”
“Ah, ok. Allora vado, eh? Grazie, Filippo, e grazie anche del telo” lo salutai, cercando di essere il più cordiale possibile, non ancora abituato ad avere dei domestici intorno.
Sentii chiudere le due porte di vetro satinato, con un suono delicato che rimbombò forte in quel silenzio reso ovattato dallo specchio d’acqua liscio come una tavola da biliardo, di un azzurro spettacolare, circondato da un bordo in pietra naturale, levigata, a grossi riquadri, che sporgevano di una decina di centimetri anche dal pavimento tutto intorno, in quadrati di cotto grandi almeno il triplo.
Le due pareti lunghe erano completamente in vetro, come le pareti di una serra, inframezzate da colonne di marmo, che sulla parete in fondo, sporgevano solo metà da un muro dipinto con affreschi in stile pompeiano.
Tolsi l’accappatoio, poggiandolo assieme al telo su uno dei lettini di legno a bordo piscina, poi camminai fino al lato corto, e mi tuffai, provando un brivido su tutto il corpo per colpa di quell’acqua fresca e limpida, nuotando immerso, vicino al pavimento fino all’altro capo della vasca, riemergendo come una sirena, lentamente, scansando l’acqua con un colpo di testa da un lato, e risi, divertito, ricominciando subito dopo a nuotare con qualche bracciata, avanti e indietro, prima di riprendere fiato poggiando i gomiti sul bordo.
Tornai sott’acqua, ma quando riemersi, a sorpresa, trovai Giorgio, accovacciato davanti a me, sorridente e divertito nel vedermi sgusciar fuori dall’acqua, e mi ci volle qualche secondo per riuscire a metterlo a fuoco.
“Ciao! Ti piace la piscina?” mi chiese, esplodendo in un sorriso ancora più solare e intenso.
“Fantastica!” gli risposi, poggiandomi sul bordo della vasca e guardandolo bene, trovandolo sexy da morire, con addosso quell’abito rosso mattone, una camicia nera e una cravatta damascata verde scuro, che lo trasformavano in un perfetto dandy colorato, ma non sfacciato, anzi.
“Dai, esci dall’acqua” disse, tirandosi su in piedi e indietreggiando fino a sedersi sul lettino, passandomi il telo di spugna e poi slacciandosi il bottone della giacca e poggiandosi con le mani dietro la schiena.
Saltai fuori, velocemente, tanto sapeva che ero senza niente addosso, e mi avvicinai, iniziando ad asciugarmi, coi suoi occhi che esploravano ogni centimetro del mio corpo.
“Sei uno spettacolo”
“Grazie, sei troppo buono, ma hai ragione, è vero, guarda qua che manzo!” gli risposi, ridendo e mettendomi in posa come un culturista.
“Scemo, e adesso dammi di nuovo il culo da leccare! Ho pensato solo a quello, per tutto il pomeriggio, dai, vieni qui sopra!” disse, poi si stese sul lettino, aspettando che gli montassi sopra, e io non me lo feci ripetere due volte, mettendomi a cavallo dei braccioli e sedendomi giusto sulla sua bocca, avvolgendogli la faccia con le mie chiappone sode e ancora grondanti di acqua odorosa di cloro.
Non appena le sue labbra sfiorarono il mio buco del culo, la sua grossa lingua lunga ci si infilò dentro, vorace, decisa, iniziando subito ad esplorare il mio interno con una lentezza e un’intensità che mi fecero subito urlare di piacere.
In quella posizione, rischiai di cadere, per i fremiti che partivano dal mio ano per trasmettersi in ogni angolo del mio corpo, così mi aggrappai ai braccioli, cercando di rimanere fermo, ma Giorgio mi stava mangiando così appassionatamente, grugnendo appena, che fu davvero difficile.
La testa mi girava, il corpo tremava, mi sentivo come una foglia in balia di quella bocca e di quella lingua che mi stavano lavorando così appassionatamente e così a fondo, che persi sul serio l’equilibrio, gemendo e ansimando, così caddi in avanti, e dovetti spostarmi da sopra di lui.
“Perfetto, aspetta” disse, tirandosi su, poi si accovacciò di fianco al lettino, e iniziò a girare lentamente una manopola, in modo che il terzo inferiore del lettino si sollevasse in alto, poi prese prima il telo di spugna, stendendolo per bene, poi l’accappatoio, che appallottolò dandogli la forma di un salsicciotto, e mi guardò.
“Sdraiati qui, naturalmente a pancia in su” disse, e io eseguii, poggiandomi col culo sopra quell’ammasso di spugna, e in automatico le mie gambe si piegarono indietro, senza far nessuna fatica, e subito il suo viso apparve sopra di me, con quegli occhi che guardavano il mio ano, che spalancai subito con le mani, mandandogli dei baci con lo sfintere, così che lui si infoiasse ancora di più, e sorrise, sputando, lasciando colare un globo di saliva direttamente sul mio buco spalancato, per poi avvicinarsi velocemente e riprendere a divorarmi, come prima, stessa lentezza, stessa decisa intensità, stessi profondi giri di lingua, toccatine di punta, risucchi potenti, che schioccavano con l’eco dentro quell’enorme stanzone, concertando coi miei gemiti e sospiri, che mi facevano somigliare ad una vacca in calore.
“Giochi così anche con le tue fighette?”
“No, loro non meritano tutto questo, indiscutibilmente”.
Sorrisi, mentre lo sentivo parlare fra le slinguate, vedendolo così preso dal mio didietro che ancora non riuscivo a capacitarmi di quell’ingordigia, di quel modo di leccarmi il culo così intenso che forse qualcuno ci si era avvicinato in passato, ma mai così tanto da riuscire a farmi ululare.
Il mio buco del culo si era gonfiato, dilatato, espanso e ammorbidito così tanto che Giorgio riusciva facilmente a stringerlo delicatamente fra i denti, a succhiarlo aspirandolo, a massaggiarlo con le labbra, mentre la sua grossa lingua ormai si muoveva così a fondo dentro di me che la sentivo spingere fino in pancia, facendomi godere così tanto che il mio cazzone duro filava di nettare bagnandomi il ventre, e i coglioni erano sempre più grossi, più gonfi.
“E se ti facessi godere?” disse, guardandomi attraverso il mio scroto gonfio.
“Sarebbe una cosa fantastica” gli sospirai, ormai ubriaco di piacere, sul punto di schizzare ormai da una decina di minuti, senza mai riuscirci, perché lui pareva capirlo e rallentava ogni movimento.
Alla mia risposta sorrise, leccandosi le labbra, poi con una mano mi prese l’uccello, circondando anche la base dello scroto, tenendolo dritto, e si succhiò un dito, quello medio, il più grosso, poggiandone la punta sul mio ano ormai sfigurato, e muovendolo come fosse un lombrico, me lo infilò dentro, rovistando furiosamente da tutte le parti, facendomi ridere e urlare allo stesso tempo, fino a trovare quel punto magico che pareva conoscere fin troppo bene, iniziando a titillarlo e strofinarlo, saltando con lo sguardo dai miei occhi alla cappella, fino a vedere il nettare uscire con forza, copioso, come un fiume in piena, e sorrise ancora di più, leccandosi le labbra, e muovendo quel dito ancora più forte, sempre più furiosamente, mentre la presa attorno al cazzo e ai coglioni sortiva il suo effetto, accompagnandomi ad un’esplosione davvero memorabile.
Urlai, con le mani salde sulle chiappe, mentre quel dito mi faceva sparare per aria un’onda di sperma, schizzo dopo schizzo, solo con i suoi movimenti, una decina di bordate di sperma che mi finirono sul collo e sulla faccia, mentre lui non smetteva di spingere e muovere quel grosso dito dentro di me, sghignazzando e grugnendo di piacere nel vedermi godere in un modo così dirompente.
Ansimavo, come un animale ferito, appena sfuggito dal suo predatore, mentre il mio buco del culo si era stretto così tanto attorno al suo dito che lo sentii millimetro dopo millimetro sgusciar fuori, con la prostata che ancora supplicava pietà, e la faccia coperta di sborra.
“Complimenti!” disse, esaltato, alla fine del mio spettacolino, aiutandomi a tornare in una posizione più normale e comoda.
“Colpa tua, dove hai imparato quel giochino?”
“Me l’ha insegnato un’amica, mentre lo faceva a suo marito”
“Ah, però!” gli risposi, ed entrambi scoppiammo a ridere, “E io? Niente sperma per me?”
Sorrise, alzandosi dal lettino, dov’era seduto al mio fianco, toccandosi quel pacco mostruosamente gonfio, dirompente, e guardandomi con la lingua che si mostrava appena fra quelle labbra ancora gonfie.
“Avevo pensato di tenerlo come sorpresa per la tua prima sera alla villa, ma sinceramente sono sei ore che ho i coglioni che stanno per scoppiare!” disse, poi con entrambe le mani circondò quella patta gonfia, facendo dondolare quel grosso palo di carne e quei coglioni, che un elefante, se li avesse visti, si sarebbe intimorito scappando.
Mi leccai le labbra, davanti quella visione, poi lo guardai avvicinarsi, mettersi bene dritto con le spalle, allargando le gambe, e prima lanciò la cravatta dietro la schiena, poi abbassò lentamente la zip dei pantaloni, lasciando la patta socchiusa, poi slacciò la cintura di pelle, sfilandola dai pantaloni del tutto e lanciandola dietro di sé, e finalmente fece uscire quel maledetto bottone dal suo occhiello, e i due lembi dei pantaloni si allargarono, lasciandomi intravedere qualcosa sotto la camicia, ma si fermò, infilando le mani in tasca.
“Accomodati, sai quel che devi fare, no?”
Sorrisi, avvicinandomi, e con le mani mi feci spazio, liberando finalmente quello che credo sia stato il cazzo più grande, lungo e grosso che avessi mai visto fino a quel momento, ancora più del mio, e quei coglioni, enormi, mostruosi, che mi lasciarono a dir poco esterrefatto.
Quella mazza enorme puntava dritta verso di me, con la grossa cappella tonda, coperta quasi del tutto dal prepuzio che voltava leggermente verso l’alto, già umida e bagnata, mentre lo scroto era sodo, sollevato contro quel pisellone che non lasciai da solo a lungo, ma che subito mi infilai in bocca, senza toccarlo, solo usando le labbra, la lingua e il mio risucchio potente, sforzandomi di ingoiarlo subito del tutto, e avanzai con le labbra, imboccandolo poco alla volta, assaporandone l’odore, il calore, la consistenza, e riuscendo a sentire quelle grosse vene pulsare sulle labbra e sulla lingua, mentre premevo il naso sul suo pube, contro la stoffa della camicia e il mento contro lo scroto.
Lui grugnì, guardandomi, tornando serio, e ansimando forte quando sentì la sua cappella sbattere contro la mia gola, e non appena iniziai a succhiare, fu un gemito continuo, un sospiro dopo l’altro, sempre più profondi, mentre quella bestia che cercavo di tenere in bocca diventava via via sempre più grande e grossa, costringendomi a succhiarne poco più della metà, usando la mano su quel che restava, così da continuare a dargli piacere con la stessa intensità, e con l’altra mano gli presi i coglioni, stringendo lo scroto appena al di sopra, e tirandoli con forza verso il basso, facendolo ridere e ansimare di nuovo, eccitare, imbestialire, così tanto che di colpo mi prese la testa fra le mani, e la usò a suo volere, scopandomi la bocca sempre più velocemente, facendomi sputare saliva ovunque, tossire, grugnire, e lo guardai negli occhi, come per dirgli di continuare, ma dopo aver accelerato di brutto, si fermò di colpo, spingendomi indietro.
Rimasi a bocca vuota, con saliva che colava ovunque, dai lati della bocca, dal mento, e lo ascoltai grugnire sospirando pesantemente, come volesse ritardare quel momento che stavo desiderando con tutto me stesso.
Gli andai incontro io, trascinandolo contro la mia faccia, e glielo presi di nuovo in bocca, e ripresi a lavorarlo con la stessa furia di prima, e stavolta non me lo lasciai scappare, continuando a succhiarlo e menarlo, fino al momento in cui non riuscì più a trattenersi, e ansimando come un animale, sollevando la testa verso il soffitto, mi venne in bocca, sparandomi un paio di bordate di sborra così potenti e abbondanti che mi riempirono la gola, obbligandomi a ingoiarle senza gustarne né il sapore, né la consistenza, densa e pastosa.
Per fortuna, le altre sei sparate di sborra, furono meno potenti, e così me le mangiai con calma, leccandogli il cazzo, assaporando il gusto così piacevolmente acidulo di quel bianco succo profumato, che non smisi di ingoiare fino a quando non uscì l’ultimo goccio da quella cappella enorme, portandomelo via con un veloce colpo di lingua e ingoiandolo.
“Wow” sussurrò, ridendo, poi si sedette sul lettino, e io andai a sedermi al suo fianco, ancora con il suo sapore sulle labbra, leccandole e guardandolo, sfinito, sudato, con la camicia fradicia di sudore, e quel coso moscio fra le gambe che sembrava una sciarpa.
“Direi che come aperitivo è stato fantastico!”
“Vero, cazzo, è quasi ora di cena! Bene, allora, io direi che possiamo salire a prepararci. Stasera ceneremo sotto il gazebo, ok? Filippo ti ha già preparato gli abiti per la serata” mi raccontò, mentre salivamo le scale, “e stasera vedremo di conoscerci un po’ meglio, che ne dici?”
“Non vedo l’ora” gli risposi, sempre più affascinato da quell’uomo, mentre mi guardava salire gli scalini, sicuramente con gli occhi fissi sulle mie chiappone.

fonte:https://talesfrompornokaos.tumblr.com/

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