“Si, pensavo che forse era meglio così… mi ero sempre considerato il fratello maggiore e stavo perciò quasi per consumare un incesto… o forse stavo perdendo…”
Quando l’ho conosciuta, Vania aveva poco più di sedici anni… quella che
solitamente è l’età in cui le adolescenti mostrano i primi segni della loro imminente trasformazione da bambine a ragazzette. Lei, ultima per età di tre sorelle, appariva invece decisamente ancora come una bimba: il suo orologio biologico era evidentemente in ritardo. La carnagione pallida non solo metteva in dubbio lo stato di salute ma faceva ancor più risaltare i suoi numerosissimi pedicelli rosso-scarlatto piazzati sulle guance e intorno al labbro inferiore, magra da sembrare anoressica, capelli castano chiari legati stretti, occhi marroni e un paio di occhiali da vista che per quanto di misura normale apparivano enormi su quel viso smunto.
Erano i primi tempi in cui io e Mara, una della sue sorelle più grandi, eravamo fidanzati; così, anche per farmi conoscere ai suoi genitori, un giorno aveva colto l’occasione per chiedermi se potevo andare a casa sua per dare delle ripetizioni di matematica e fisica a questa sua sorella. Non ebbi nulla in contrario; accettai l’impegno e, da ragazzo ventiquattrenne immune da ogni più utopistico e fantascientifico pensiero o tentazione nei confronti dello “sgorbietto”, lo preparai fino a fargli prendere “otto” in tutte e due le materie. Fu un successo enorme ottenuto in pochi mesi se tenuto anche conto che eravamo partiti dalla media del “quattro”!! Devo dire che Vania seguiva con molto interesse e attenzione quando due volte a settimana le davo quelle ore di ripetizione. Indubbiamente ero il suo professore… ma anche il ragazzo carino della sorella; pensava sicuramente anche questo, magari con quel pizzico di invidia che tra sorelle non manca mai, sentimento forse più forte in lei perché cosciente di essere bruttina e di non poter aspirare ancora a nulla. Con questo presupposto le ore passate con me le dovevano sembrare “rubate” con gusto alla sorella maggiore. Non mancava perciò occasione che, per un problema di algebra o per una formula di fisica, le due ore di studio stabilite venivano di gran lunga sforate.
Vania, per me era e rimaneva “il brutto anatroccolo”. Negli anni a venire non l’aiutò di certo a migliorarsi neanche quello che fu il suo primo e unico ragazzo di allora con il quale passò, o meglio perse, insieme molto tempo. E poi, ammesso pure che si fosse resa conto del grigiore e dell’inutilità di quel rapporto, sono sicuro che non si sarebbe mai azzardata a rompere quella relazione. I suoi genitori erano, infatti, di quelli formali e un po’ all’antica: per loro sarebbe stato sconveniente che la gente avesse pensato che la figlia così giovane aveva già cambiato un ragazzo. Io invece, già navigato, ero stato sempre scettico sulla validità di quel rapporto, l’avevo detto ed ero sicuro di avere ragione. Il tempo mi avrebbe dato soddisfazione.
Perché ero tanto interessato a Vania se non facevo altro che denigrarla? Diverse le risposte possibili: principalmente perché per le tre sorelle mi sentivo come un fratello maggiore, quello che non avevano, e quindi un po’ responsabile… e poi in fondo era come se avessi sempre intuito che un giorno quel brutto anatroccolo si sarebbe trasformato in cigno.
Vania, finiti gli studi liceali, mentre continuava a stare insieme all’iniquo individuo, cominciò a studiare all’università e trovò un lavoro part-time in un’azienda situata poco fuori della città . Pensavo che per lei fosse arrivato finalmente il momento della svolta, l’occasione per guardarsi intorno. Così avvenne. Ma affrontare la nuova realtà fu probabilmente un travaglio: da una parte voleva apparire sempre integerrima con quel suo atteggiamento di ragazzetta perbene pronta ad arrossire per un nonnulla, dall’altra cominciava a sentire qualche strano, non previsto ma vero prurito.
Fu così che, non avendo avuto nessun’altra esperienza oltre che con “il ragazzetto inutile”, l’ingenua Vania perse facilmente la testa per il primo tipo che se la seppe ben rigirare facendole vedere e promettendole la luna: stava per iniziare la scoperta di un mondo a lei sconosciuto. Pian piano cominciò a cambiare i propri modi, a truccarsi sempre più, a vestire meglio … ad esaltare le sue forme, assenti in gioventù, ma che finalmente erano esplose, riponendo finalmente il suo abbigliamento da collegiale degli anni 30. Le sue gonne larghe, cominciarono a perdere centimetri in lunghezza, mostrando sempre più quelle che erano gambe ben tornite, e diventarono sempre più attillate da far risaltare il suo bel sederino a mandolino… il vero pezzo forte! Appariva così diversa che, se anni prima l’avevo trovata insignificante, adesso non solo me la rimiravo, ma cominciavo a pensare che in fondo mi sarebbe piaciuto darle una bella strapazzata. Mi sentivo come il talent scout che aveva trovato la sua stella.
Ma se l’abbigliamento e il trucco dimostravano un evidente cambiamento, l’atteggiamento tenuto in famiglia rimaneva sempre lo stesso, conforme al “personaggio” che nel tempo si era cucita addosso e dal quale non riusciva a “divorziare”: ma chissà ora che sforzo le doveva costare! E così arrivò il giorno che per non esplodere dovette tirare fuori tutto per condividere con qualcuno questa sua forte e ormai insopportabile contraddizione; non potendolo fare con le sorelle che l’avrebbero giudicata male, né con le amiche arretrate come lei, lo fece con me. Una mattina mi telefonò chiedendomi se poteva venire a trovarmi a casa per parlare ma imponendomi di non dire niente a nessuno. A quel tempo vivevo, da solo, in un piccolo appartamento in affitto. Rimanemmo d’accordo che ci saremmo visti nel primo pomeriggio.
Non era mai capitato che Vania fosse venuta da sola a trovarmi a casa. Fu intuizione, fu fortuna, fu perversione… non so… ma mi venne in mente di riprendere di nascosto quel nostro incontro. A quel tempo le videocamere non erano piccole come quelle di oggi, e ricordo di aver fatto i salti mortali per occultarla in modo tale da non destare sospetti; la sistemai su un ripiano del mobile di fronte al divano, fra bottiglie, bicchieri, cornici e gingilli. Tra tanto vetro non sarebbe stato possibile riconoscere la lente dell’obiettivo e con il telecomando nascosto sotto un cuscino avrei potuto perfino zoomare: le prove fatte erano andate tutte bene.
Sono le tre del pomeriggio. Suona il citofono. Apro il cancello. L’ascensore dopo un po’ si ferma al piano, si apre la porta automatica. Appare Vania che, neanche fosse inseguita da qualcuno, si intrufola velocemente dentro casa. Come prima cosa mi chiede se mi devo vedere con la sorella. Rispondo di no. Ci accomodiamo nel saloncino. Si abbandona sul divano…anche se nervoso e teso è veramente carino il mio cigno! Faccio scivolare la mano sotto al cuscino ed avvio la registrazione.
Con un bicchiere di aranciata in mano Vania comincia a raccontarmi della sua storia con il tipo conosciuto al lavoro che le sta facendo perdere la testa. Ha una crisi profonda, e non solo sentimentale: da una parte c’è il suo ragazzo con cui sta ormai da anni e le dà sicurezza – ma solo quella – dall’altra un’impetuosa passione, un turbinio di sensi per quel collega di lavoro. Sta vivendo una storia dove per la prima volta la parola “sesso” è quella che risalta, travolge e detta i ritmi del nuovo rapporto. Vania mi descrive come sono avvenuti i primi approcci, … poi si lascia andare fino a confidarmi le cose più intime, la parte più erotica della sua travolgente esperienza. Non riuscivo a credere alle mie orecchie: meno male che stavo registrando tutto e che avrei potuto riascoltare con calma quelle frasi piene di sensuali oscenità .
Mi disse di quando un giorno al lavoro, approfittando della pausa pranzo, si incontrò con lui nella sua stanza. Con una naturalezza per me sconvolgente mi raccontò di come, mentre si abbracciavano, lei non seppe resistere all’allungare la mano per sentire quanto lui fosse eccitato e della sorpresa provata nel percepirne in maniera evidente le enormi dimensioni…. altro che il suo ragazzo! Poi sollevata per i fianchi si ritrovò seduta sulla scrivania. Scansata ogni cosa che vi era poggiata sopra si sentì spingere giù fino ad essere sdraiata sulla schiena; poi due mani calde e sicure risalirono dalle ginocchia lungo l’esterno delle cosce fino ad infilarsi sotto la gonna jeans ed afferrare decise il suo slip. Ormai senza forza e volontà Vania non riusciva ad opporsi a ciò che stava accadendo, neanche al pensiero che sarebbe potuto improvvisamente entrare qualcuno: sentiva solo le mutandine scivolare inesorabilmente lungo le gambe. Abbandonate anche le braccia in senso di voluta resa vide il suo amico slacciarsi la cinta, sbottonarsi i pantaloni e tirar fuori un arnese che la impaurì per quanto grosso ma che la eccitò come non mai immaginando lo sconquasso che le avrebbe procurato di lì a poco nella sua vagina. Con la penetrazione a malapena soffocò un urlo misto di dolore e piacere, mentre lui incurante di tutto, cominciava ad amarla con forza e senza pause. Era un trivellare che Vania raccontava di sentire fin dentro la testa. Non riusciva a controllare neanche le parole: era solo cosciente di dire le cose più sconce che le venivano in mente, incapace di fermare perfino il suo forte ansimare. Intanto le uscivano dalla bocca tutte quelle frasi incredibili che qualche volta le era capitato solo di leggere o vedere in qualche film spinto e che mai avrebbe immaginato un giorno di urlare con tale veemenza: erano comandi e richieste oscene. I suoi umori colando lungo le cosce bagnavano perfino la scrivania. Vania mi disse, testualmente, che mai si era sentita così “troia” ma così felice di esserlo. E così supplicava di essere posseduta sempre più violentemente e forte. Si sentiva dilatata come non mai e quando avvertì il membro sfilarsi velocemente provò uno sgradevole senso di vuoto tanto era il desiderio di sentirsi ancora invasa da quella massa pulsante di carne. Prossimo alla eiaculazione lui si spostò di lato alla scrivania e, afferrandola con forza per i capelli, le spinse la testa verso il suo glande pronto ad eruttarle in bocca il bianco e caldo liquido.
Vania raccontava nei minimi particolari tutta la scena. Mi sembrava di essere là anch’io; sentivo il mio boxer ormai bagnato e speravo che nulla trasparisse attraverso i pantaloni. Dovevo continuare ad ascoltare cercando di non mostrare il mio coinvolgimento fisico oltre che mentale. Non solo mi eccitava il racconto ma era soprattutto il modo come veniva esposto, era come se Vania lo stesse rivivendo realmente per la seconda volta. E tutto questo stava rimanendo inciso sopra un nastro video: rivederlo sarebbe stato più eccitante di un film erotico.
Vania ricordò che tanta era l’eccitazione che non sentì il dolore dei capelli tirati che la costringevano ritmicamente a ingoiare senza complimenti i tanti centimetri di dura carne. L’orgasmo era imminente: per la prima volta, contrariamente a come aveva sempre fatto con il suo ragazzo, non solo non si staccò dal pene ma ingoiò avida fino all’ultima goccia il bianco e caldo liquido che le veniva schizzato in bocca. Non era stato lui a trattenerle la testa in quella posizione, ma era stata lei stessa ad avvinghiarsi fortemente ai suoi fianchi.
Questo il racconto del fatto, ma ciò che l’aveva sconvolta era stato il proprio istintivo coinvolgimento tanto da non riuscire a controllarsi. La crisi profonda, mi disse, era che non sapeva adesso che fare, che pensare, talmente era confusa.
Anch’io dovevo avevo bisogno di una immediata soluzione: come fare a contenere il mio membro che stava scoppiando. La possibile via d’uscita sarebbe stata quella di andare in bagno con una scusa: mi sarebbe bastato guardarlo per farlo svuotare… una questione di pochi secondi che non avrebbe destato sospetti! Invece mantenei la calma discutendo con Vania sul risvolto morale della sua vicenda. Le dissi che non doveva assolutamente preoccuparsi, che doveva essere invece contenta di quello che aveva fatto perché per la prima volta nella sua vita aveva agito in modo istintivo e quindi vero. Vania aveva disperatamente bisogno di avere consenso ed approvazione a quello che aveva fatto e non soltanto una semplice giustificazione, altrimenti sarebbe crollata. Alle sorelle ed alle sue amiche più intime non avrebbe certamente mai avuto il coraggio di raccontare l’accaduto.
Per darle un segno tangibile della mia solidarietà l’abbracciai proprio come avrebbe fatto un fratello; ma un fratello non avrebbe fatto caso, come feci io, al fatto che in quell’atteggiamento stava poggiato su due seni così consistenti e sodi. Vania contraccambiò l’abbraccio. Forse perché i nostri visi erano troppo vicini l’uno all’altro o forse perché credevo che fosse stato l’unico modo per calmare la mia eccitazione, le chiesi un bacio. Lei si staccò guardandomi come se non avesse capito. Mi resi conto di aver travalicato il limite e di avere ben poco tempo per rimediare alla gaffe, prima di subire una reazione contrariata. Mentre pensavo di dirle che ovviamente intendevo un bacio sulla guancia, le dissi invece quello che realmente volevo… un bacio in bocca. Conoscendola bene già sentivo il calore provocato dal suo schiaffo. Invece il suo viso si avvicinò lentamente ma senza esitazione al mio… non staccammo le nostre bocche l’una dall’altra non so per quanto tempo. Stavo gustando il sapore di mia cognata. La sua lingua nella mia bocca, la mia lingua nella sua. Che stava succedendo? La mia mano scivolò velocemente sotto la gonna. Non ci furono da parte sua gesti di reazione per fermarla ma anzi comunicò la sua disponibilità a lasciarsi toccare aprendo leggermente le cosce. Mi accontentai di palpeggiare per qualche attimo il suo sesso attraverso lo slip bagnato. Poi le dissi che era meglio se fosse andata via prima che la situazione fosse trascesa oltre. Si, pensavo che forse era meglio così… mi ero sempre considerato il fratello maggiore e stavo perciò quasi per consumare un incesto… o forse stavo perdendo un’occasione irripetibile?
Ero tormentato dal quel pensiero ma ormai ci eravamo staccati; ci alzammo dal divano tutti e due. Vania si ricompose. Poi, dandomi un leggero bacio sulle labbra mi disse: “Si, hai ragione tu! E’ stato meglio fermarci anche se era il momento che stavo aspettando da quando mi davi ripetizioni. Non te l’ho mai detto, ma ero invidiosa di mia sorella. Sarei voluta essere io la tua ragazza ma tu, invece, neanche mi guardavi….pazienza! Sarei stata disposta a fare cose turche con te… ”
Continuò pregandomi di non raccontare mai a nessuno ciò che era successo e soprattutto quello che mi aveva confidato. Ed andò via, veloce e fugace così come era entrata. Chiusi la porta di casa rimanendo fermo e impalato come un cretino: dovevo essere contento di come mi ero comportato o dovevo considerarmi un fesso che aveva perduto un’occasione irripetibile?
Mi ricordai che la videocamera era ancora accesa e aveva registrato tutto, proprio tutto. Una consolazione o una condanna sapere che avrei potuto rivedere tutto ogni volta che avrei voluto?
Da quel giorno erano poi passati diversi anni. Vania si era sposata, dopo quasi un decennio di fidanzamento, con il suo primo e unico ragazzo, ma dopo appena un anno di matrimonio si era separata: come avevo previsto il tempo mi aveva dato ragione. Poi aveva conosciuto un’altra persona, un uomo molto più grande di lei, già sposato e con un figlio. Più che compagni mi sembravano, anche per il rapporto che avevano, padre e figlia. Peggio per lei: Vania non era stata mai capace di capire cosa veramente avesse voluto dalla vita. Altre possibilità di uscirne non le avrebbe cercate. Aveva dato credito alla parte meno vera di lei, a quel suo particolare mondo dove solo l’apparenza era la realta’; ora non solo ne era diventata schiava ma aveva anche buttato la chiave della sua virtuale prigione. E così, pur stando male, continuò ad andare avanti: ma l’insoluto tormento e l’innata insicurezza la portarono ad essere sempre più nevrotica ed isterica. Era rimasta la solita Vania, quella sempre pronta a bacchettare chi usava una parola più pesante, un linguaggio più volgare del lecito. E mi domandavo: “Dov’é quel vulcano dalla lava bollente pronto ad entrare in eruzione?
In quello stesso periodo mi sono sposato con Mara, la sorella. Nonostante la parentela acquisita, tra Vania e me, non c’èra più stata più la confidenza di una volta e la cosa mi dispiaceva. Poi un giorno, un po’ per scherzo un po’ per davvero, le inviai un sms di saluto con scritto “ Un bacio!” Inconsapevolmente queste parole avevano richiamato alla memoria il nostro primo e unico bacio di tanti anni prima. A questo sms non ebbi risposta. Passarono le ore, i giorni, poi la chiamai al lavoro. Le chiesi se per caso non avesse ricevuto il messaggio o se per caso si era persa il numero del mio cellulare. Fu, a dir poco, gelida. Provai a chiederle il perché di questo suo atteggiamento. Mi disse che la libertà che mi ero presa con quel messaggio era inopportuna tra cognati, anche per rispetto di sua sorella, mia moglie. Mi venne il sangue alla testa pensando a quanto invece era stata opportunista quando gli aveva fatto comodo.. ripensai a quel pomeriggio di tanti anni prima; quella volta non si era creata scrupolo alcuno della sorella e solo grazie ad un momento di imbecillità mio che non avevamo fatto l’amore… ed ora mi faceva addirittura la morale…proprio lei! Da quale pulpito proveniva quella sentenza!
Una parola tira l’altra e cominciammo a litigare. Le rinfacciai che, dopo tanti anni, avevo continuato a mantenere quel patto di silenzio fatto tra di noi tanti anni prima. Rispose che gli eventi di allora erano ormai soltanto parole perse nel vento e finite chissà dove.
No, cara mia, erano anche fatti concreti che avevo registrato con la videocamera, a tua insaputa. Questo le dissi in un impeto di impulsività … e aggiunsi che non avrei avuto alcuna remora a far vedere tutto… tanto poteva sempre capitarmi di inserire una cassetta sbagliata nel videoregistratore! Seguì qualche attimo di silenzio. Dapprima non volle credere che… poi man mano che aggiungevo quei particolari che la memoria, da sola, avrebbe perso, si rese conto che non stavo scherzando. E mi maledì perché non mi sarei dovuto azzardare neanche a pensarla una cosa del genere. Io invece continuai a mantenere l’atteggiamento preso senza recedere dal proposito minacciato. Vania esplose: “Cosa è allora questo… un ricatto?” Con la voce calma e pacata di chi sa di tenere l’avversario in pugno e di avere il coltello dalla parte del manico le risposi con un semplice si. Dopo qualche attimo di silenzio, resasi conto che la cosa non le sarebbe convenuta se mai fosse accaduta, disse: “Ok! Ok! Cosa vuoi in cambio di quella maledetta cassetta? Soldi?” Ero determinato a spuntarla su quella falsa e presuntuosa donna e perciò disposto ad azzardare qualsiasi cosa. Ormai era un braccio di ferro che stavo vincendo, lei aveva il polso a pochi centimetri dalla tavolo. La mia proposta: “Vieni da me un giorno di questi che ne parliamo!” Dovette accettare.
Qualche tempo dopo, di comune accordo, prendemmo tutti e due un giorno di ferie. Ci vedemmo da me che avevo casa libera. Entrò in salone con fare sospetto: “Non avrai mica nascosto un’altra volta la telecamera?” “No!” le dissi. Ma non convinta cercò ovunque, spostò tutto senza scoprire nulla… ovvio…. Questa volta avevo posizionato una spycam talmente piccola che non l’avrebbe mai trovata! L’avevo sistemata così bene che le immagini e il risultato sarebbero stati mille volte migliori dell’altra volta. Non visto, premetti il pulsante “rec” sul telecomando.
“Allora dov’è la cassetta con il nastro?” La tirai fuori da un cassetto e gliela mostrai. “Dammela!” disse. “Certo, ma dovrai guadagnartela, ora ha un costo mia cara Vania”. “E cosa vuoi in cambio..?” Con un movimento la feci ruotare su se stessa. Quando fu girata di schiena le feci leggermente sentire il palmo della mia mano su quel suo splendido fondo schiena. “Stronzo,”!! urlò! Senza scompormi le risposi: “Va bene, se questa è la risposta, la cassetta rimane qui, anzi la metto insieme alle altre e prima o poi capiterà che tua sorella incuriosita le venga voglia di vedere di cosa si tratta”. “No! Non puoi ricattarmi così!” Io, irremovibile: “Fai come ti pare”. E feci il gesto di riaccompagnarla verso la porta d’ingresso. Si scrollò di dosso il mio braccio. “Ok! Hai vinto. Fai pure il tuo porco comodo, ma da parte mia non avrai certo collaborazione e partecipazione”. Serrò la bocca e si irrigidii in piedi.
Per nulla turbato mi sedetti sul divano e l’avvicinai a me: le slacciai i jeans dopo di che la girai in modo che davanti al mio viso avessi il suo prezioso posteriore. Cominciai a farglieli scendere, lentamente, anche perché le stavano piuttosto attillati. Davanti a me vidi sbocciare sotto quell’azzurro e ruvido tessuto un tenero fiore: la parte del suo corpo che mai avevo visto così da vicino. Indossava un perizoma e quel filino nero tra i suoi glutei mi eccitava tantissimo. L’afferrai per un braccio e la spinsi sul divano a pancia in giù. Strappai il perizoma da entrambi i lati e glielo sfilai. Lei era come un pupazzo: non partecipava ma neanche si opponeva. Le misi un cuscino sotto al ventre in modo tale da mettere più in mostra il suo bel mandolino. Mi avvicinai con il viso in mezzo a quel paradiso, allargai dolcemente con le mani i glutei e con la punta della lingua cominciai a stuzzicare il forellino posteriore. Cominciai a solleticarlo dapprima lentamente tutto intorno, poi man mano sempre più insistentemente fino al suo interno, affondando di tanto in tanto colpetti sempre più profondi. Nonostante avesse dichiarato la sua passività senza coinvolgimenti qualche irrefrenabile segno di reazione lo avvertivo. Sentivo chiaramente sulla lingua le contrazioni dei muscoli dello sfintere. Il mio membro al limite, rischiava di scoppiare, ma questa volta non avrei indugiato; lo inumidii con la saliva e dopo averlo puntato e poggiato sul mio obiettivo cominciai a spingere lentamente ma senza esitazioni. Godevo nel sentire che pian piano guadagnavo spazio al suo interno. Sentivo il respiro di Vania diventare sempre più affannoso. Le stavo facendo male? Soffriva? Problemi suoi. Quando mi resi conto che l’orifizio si era sufficientemente adattato alle mie dimensioni affondai il colpo decisivo. Entrai tutto fino a sentire i miei testicoli andare a sbattere sul suo corpo. Lei gemette. Incurante cominciai a stantuffarla impietosamente. Sentire intorno al mio membro quella particolare stretta non faceva altro che aumentarne la grandezza. Dopo qualche minuto di quel su e giù entravo e uscivo come in un burro. Mi fermai solo un attimo per riprendere fiato. A quel punto Vania girò la testa verso di me sconvolta e sudata; supplichevole disse: “Dai, continua. Non ti fermare, ti prego. Fammi godere, voglio essere la tua puttana!”
Avevo sentito bene? Si, e i fatti lo confermavano; dalla posizione supina, che aveva tenuto fino ad allora, inarcò le reni e, senza staccarsi da me, si mise prona in ginocchio. Ricominciò il movimento, questa volta dettando lei il ritmo. Intanto mi incitava sempre di più: ”Dai, professore mio. Puniscimi. Non ho studiato e non ho fatto i compiti. Fammi male, così, si, più forte. Mi merito di essere trattata così. Non sono una brava scolara. Puniscimi come sempre ho desiderato che tu facessi”.
E il suo movimento diventava sempre più veloce, violento e profondo. Aveva lo sfintere completamente dilatato. “Dai professore dammi anche la purga adesso. Dammene tanta e fammi sentire come è calda!”
Esplosi! Contraendomi a ripetizione ebbi l’impressione di svuotarmi di tutto anche del mio stesso essere. Lei finalmente esausta si fermò. Era un bagno di sudore. Rimasi piantato dentro ancora per qualche minuto incapace di muovermi con le gambe che mi tremavano. Poi mi sfilai lentamente e vidi il liquido bianco colare fuori e scorrerle lungo le cosce. L’avevo riempita. Si girò, e ancora stravolta per aver provato un piacere immenso disse: “Allora professore mio.. hai visto cosa ti sei sempre perso? Poteva essere solo tuo già da tanti anni e ci avresti potuto fare di tutto.”
Quasi facendo una lotta ci baciammo selvaggiamente. Avrei ricominciato ma Mara poteva rientrare da un momento all’altro. Ci rivestimmo lanciandoci complici occhiate. L’accompagnai alla porta e si voltò: “E la cassetta? Ti sei dimenticato?” Gliela consegnai: i patti erano patti e il pegno l’aveva abbondantemente pagato. Tanto ne avevo fatto una copia e pure questa volta avevo registrato tutto ottenendo un risultato sicuramente più grandioso. Se Vania aveva finto tutto, avrei avuto modo e motivi, per ricattarla ancora.
Quando fu sulla soglia della porta Vania, mostrandomi la cassetta ben stretta nella sua mano, si girò e mi disse: “La prossima volta che vuoi farmi il culo non è necessaria tutta questa messa in scena. Basta che mi chiami, stupido. Ciao. Martedì prossimo sono libera. Ci vediamo, vero?”
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