Credo che capiti in tutte le famiglie che ci sia il figlio prediletto.
Nella nostra famiglia le cose erano un po’ diverse.
Carlo, il primogenito, era il cocco di mamma, e lo si vedeva perfino da come mamma lo guardava; io, forse per compensarmi, o altro, ero la beniamina di papà, la sua ‘pupetta’.
Devo confessare che non provavo alcuna gelosia per la evidente preferenza della mamma per Carlo, né ho mai cessato di voler bene a mio fratello, di appoggiarmi a lui, di sentirmi protetta da lui.
Certo, era ben diverso e più rassicurante il sostegno di papà.
Lui era un vero uomo, il ‘vir’.
Papà, forse, riteneva che io soffrissi per la diversità delle dimostrazioni d’affetto della mamma, tra me e Carlo, che erano manifeste. E per questo mi coccolava, mi riempiva di pensierini, di regali, si interessava della mia vita, della scuola, e da un certo punto anche delle mie simpatie per qualche ragazzo.
Fin da piccola, sulle sue ginocchia, mentre mi cullava, sulla sedia a dondolo, gli avevo sempre detto che, una volta grande, avrei voluto sposare lui.
Non conoscevo ancora in cosa consistessero i rapporti tra i sessi, ma quando, specie nei pomeriggi d’estate, passando dinanzi alla loro camera, sentivo la mamma ansare e gemere, ero assalita da una certa rabbia.
Una volta spiai dal buco della serratura, papà le era sopra, il suo sedere s’alzava e abbassava, sempre più in fretta unitamente all’aumento del mugolìo materno. Ad un certo momento lei gridò. Certo lui la stava picchiando, le aveva fatto male! Le stava bene.
In seguito capii il significato di quei sospiri, di quei movimenti.
La invidiai’ la odiai!
Guardavo di nascosto le riviste con uomini nudi.
Avevano certi ‘cosi’ che certamente mi avrebbero sventrata. Comunque mi attraevano, e la mia mano andava sempre più spesso a carezzarmi tra le gambe. Era bello, dolce.
Chissà com’era quello di papà!
Ero grandicella quando, sempre più curiosa, cercai di vedere Carlo nudo, al suo uscire dalla doccia. Entrai improvvisamente in camera sua, si stava finendo di asciugarsi, dal lenzuolino usciva un battaglio lungo e grosso che non aveva nulla da invidiare a quelli della rivista.
Allora, conclusi, anche papà doveva possedere la stessa dotazione.
Ero, ormai, all’ultimo anno del liceo, festeggiavo i miei diciotto anni, quasi due meno di Carlo.
Prepararono una festa veramente bella, mi regalarono un vestito stupendo, un collier favoloso.
Era consuetudine che avrei fatto il primo ballo con papà.
Un liscio, ovviamente, a lui piacevano quelli.
Mi prese tra le braccia e mi strinse a lui, sentii chiaramente il voluminoso contenuto della sua patta, e mi piaceva tanto che mi ci strofinai deliziosamente. Papy se ne è certamente accorto, perché non si allontanò, anzi mi assecondava coi suoi movimenti.
Quella sera, pensando a ciò che probamente i miei Adamo ed Eva stavano facendo, fui veramente furiosa, e la carezza fu più intima e lunga del solito.
Inutile, dovevo provare di cosa, in effetti si trattava.
Le mie amiche l’avevano già fatto, tutte.
I pareri non erano concordi, chi andava in sollucchero, chi ne era delusa.
Quando lo sperimentai, principalmente per curiosità, ne rimasi profondamente insoddisfatta, anzi mi dette fastidio, tanto che respinsi Giulio con violenza, mentre s’affannava su me, e mi staccai da lui, con le gambe impiastricciate di sangue, prima ancora che portasse a termine il suo esercizio.
Che schifo!
Certo che con papà doveva essere diverso, perché la mamma non lo respingeva, anzi, lo afferrava per le chiappe e ci dava dentro di brutto.
Più passava il tempo e più la ‘fissa’ per mio padre aumentava.
Gli giravo sempre intorno, gli chiedevo mille cose inutili, mi sedevo sulle sue ginocchia con la scusa di mostrargli un articolo, lo carezzavo, sbaciucchiavo. Era bello avvertire il suo gonfiore tra le mie natiche, mentre mi muovevo, sculettando lievemente, e pensavo, lubrica, che quello era il nido per il suo uccellino.
Da come lo sentivo, però, doveva essere ben ‘one’, altro che ‘ino’.
A lui non doveva dispiacere quel contatto, perché mi carezzava i fianchi, le cosce, trovava mille espedienti per saggiare la consistenza delle mie tettine.
Insomma, io mi arrapavo da morire, e anche lui non doveva essere da meno, perché qualche volta, proprio quando il suo gonfiore era maggiore del solito, mi faceva alzare, con dolcezza, chiamava la mamma e con una scusa se la portava in camera.
Orecchiando alla porta, sentivo che la sbatteva energicamente, e la mia mano mi tormentava la fica.
La mattina che, non ricordo per quale ragione, rimanemmo soli in casa, lasciai spalancata la porta della mia camera da letto, e facendo finta di dovermi cambiare, mi misi a girare completamente nuda.
Lui passò, dette una sbirciata distratta, mi vide così. Fece finta di nulla e proseguì, ma tornò immediatamente indietro, molto lentamente, e si posizionò in modo tale che, essendomi fermata vicino allo specchio per togliere un presunto bruscolo da un occhio, potesse vedermi senza essere visto. Solo che non aveva fatto i conti con lo specchio.
Aveva gli occhi sgranati, il mio papone, e io ero felice di ciò.
Dopo un po’, con indifferenza, indossai una vestaglia e andai in tinello.
Lui era già li, seduto al tavolo preparato per la colazione.
Gli andai vicino, mi chinai a baciarlo, lui alzò la testa, ricambiando, e la sua mano partì dalla vita per una bella e prolungata carezza sul mio deliziato culetto.
Sedetti al lato del tavolo alla sua destra.
La vestaglia, male allacciata, si apriva generosamente sul petto e sulle cosce.
Lui mi guardò e sorrise.
‘Nina, dovresti chiudere la porta della tua camera, quando giri tutta nuda, Per fortuna che questa mattina ci sono solo io in casa.’
Annuii con la testa, intenta ad imburrare il pane.
‘E’ così brutto lo spettacolo, pa’?’
‘Ma non scherzare, sciocchina, sei bellissima, ma non sei più una bambina, sei una magnifica donna, splendida, affascinante, attraente’ E’ proprio per questo che devi chiudere la porta.’
Aveva detto proprio così, il mio papy: bellissima’ magnifica’ splendida’ affascinante’ attraente! Non stavo in me dalla gioia.
Lo guardai con un’espressione della massima ingenuità.
‘Ma io sapevo che c’eri solo tu, papy.’
‘Scusa, e sai anche che, tutto sommato, sono un maschietto?’
‘Come se lo so! Lo so benissimo.’
Quella conversazione mi stuzzicava, mi eccitava.
Gli sorrisi. Seguitai a mangiare la colazione,
Lui stava ancora sorseggiando un’altra tazza di caffè. Anche lui in vestaglia da camera.
Quando ebbi finito, mi alzai pigramente, gli andai accanto, spostai un po’ la sua sedia, mi sedetti sulle sue ginocchia. Lo baciai.
‘Mi perdoni, paparino?’
Mi abbracciò, e casualmente la sua mano andò a finire nella mia vestaglia, sulla tetta.
‘Ma di cosa devo perdonarti, bambina mia? Vederti in quel modo è un dono, lo spettacolo che mi conferma quanto sia bella la mia bimba, oggi più che mai.’
Io stringevo le chiappe, lui la mia tetta.
Poi la mano si posò sulla coscia, con le dita che certamente sentirono i miei riccioli del pube, che s’erano increspati libidinosamente.
Mi dette un bacetto, sulla guancia, un altro sulle labbra, una pacca sul sedere.
‘Ora vestiamoci, Ninetta. Io devo uscire, devo preparare le ultime cose per la prova che tuo fratello deve sostenere a Bruxelles per essere ammesso al corso trimestrale di diritto comunitario.’
‘Lo accompagni tu?’
‘Ma ti sembra che Carlo abbia bisogno di accompagnamento? Un ragazzone come lui, baldo universitario’ Solo che tua madre non lo lascia un istante, peggio che la chioccia coi pulcini’ e lui altro che pulcino, è un galletto!’
‘Papà, ma la mamma non ha proprio l’aria di una chioccia. è ancora una bella pollastrella’ tu lo sai bene, vero?’
Papy mi guardò con aria indagatrice, ma non ritenne soffermarsi sull’argomento.
‘Dai, preparati che mi accompagni. Un salto a studio, poi a ritirare i biglietti. Tuo fratello deve ancora parlare col suo professore che lo ha proposto a Bruxelles, tua madre è dal parrucchiere, Rosetta a fare la spesa’.’
‘Vengo con te?’
‘Se non ti dispiace!
Per i prossimi quattro giorni saremo gli unici abitanti di questa casa.
Dovremo arrangiarci.
La mamma, a completamento di tutto, ha creduto bene di dare dei giorni di ferie a Rosetta per consentirle di andare a trovare i suoi.’
Lo guardai fisso, e non so se lesse nel mio volto la felicità che m’aveva invasa.
Quattro giorni soli io e il mio paparino!
Giuro che non fui io a provocarla, ma la fichetta si contrasse, languida.
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Li accompagnammo all’aeroporto.
Carlo era il bel ragazzo di sempre.
Mamma era in splendidissima forma, giovanile, elegante, allegra, anche un po’ ciarliera.
Quando ci fu la chiamata, ci salutammo.
Soliti baci per i brevi commiati.
Mamma mi mise la mano sulla spalla.
‘Mi raccomando, Nina, ora sei la padrona di casa. Mi raccomando, non far sentire la mia mancanza, a tuo padre. Pensaci tu.’
Un altro bacetto, e si avviarono per l’imbarco.
Aveva un gran bel culo, mia madre. Ma io non le ero seconda.
Non voglio fare insinuazioni, ma credo che Carlo non era estraneo all’euforia materna! Mah!
Eravamo in auto, ritornando in città.
‘Allora, Ninetta, io vado a studio, tu cosa fai?’
Mi aveva messo la mano sulla gamba, affettuosamente. Era bello sentirla.
‘Se non ti do fastidio ci verrei anche io. Così ho la scusa per evitare di preparare il pranzo. Mi porti al ristorante, vero?’
Mi carezzò, sorridendomi.
‘Ma certo, tesoro, anzi sceglilo tu e prenota un tavolo. Io credo che per le tredici avrò terminato. Hai sentito la mamma? Pensaci tu!’
‘Sei occupato nel pomeriggio, pa’?’
‘Veramente no, hai qualche idea?’
‘L’avrei”
‘Quale?’
Respirai profondamente.
‘Fammela perfezionare, te la dirò a pranzo.’
Arrivammo allo studio.
Mise l’auto nel posteggio interno, prendemmo l’ascensore, salimmo.
Papy aprì la porta della stanza occupata, normalmente, da uno dei suoi collaboratori oggi assente.
‘Qui hai tutto, Ninetta, telefono, PC, Internet, frigo’!
Se vuoi qualcosa vieni da me, in qualsiasi momento, o, se preferisci rivolgiti a Luisa, la mia assistente. Ciao!’
Mi dette un bacio, una pacca sul sedere, proseguì nel corridoio.
Andai a sedere, dietro la scrivania, e mi misi a pensare al come dovevo comportarmi.
Quattro giorni soli, lui ed io. C’era da impazzire!
Allora, vediamo.
Cercai di riordinare le idee e di fare un programma attuabile, anche se audace. Ma la fortuna aiuta gli audaci!
Ecco: pranzo non pesante alla ‘Pergola’, caffè al Belvedere dello stesso Hotel, poi potevamo andare al Castello Orsini dove era una mostra sul ‘Nudo nell’arte’, magari cenare sul lago, e, quindi tornare a casa.
Telefonai alla Pergola, prenotai.
Mi informai a che ora chiudesse la mostra: alle venti.
Il Ristorante del Lago non era in riposo settimanale, ma mi informò che servivano solo fino alle 22,30.
Quando ebbi messo a punto il ‘piano’, cominciai a navigare, cercando certi siti che aumentarono la mia crescente eccitazione.
Era la una in punto quando apparve il mio affascinante papy.
Sedette di fronte a me.
‘Posso sapere il tuo programma, pupina?’
Glielo esposi, lentamente, leggendo le sue reazioni nel volto.
Rimase imperturbabile.
Alla fine, mi sorrise.
‘Bravissima, ottime prospettive. Let’s go! andiamo!’
Ottimo pranzo, mi affidai a lui, delicato e raffinato.
Un piccolo relax al Belvedere, un ottimo e aromatico caffè.
Guidò senza fretta fino al castello.
Ogni tanto mi sorrideva.
Gli presi la mano, la strinsi tra le mie, in grembo. Com’era bello!
Mi spiaceva quando, per ragioni di guida, doveva riportarla sul volante.
Avemmo tutto il tempo per visitare la mostra.
Una esposizione variata: dipinti, fotografie, sculture. Soggetti di tutti i tipi: dalla bellezza che ti fa incantare all’orrido. Nel settore etnografico, ho notato, hanno soprattutto esaltato il sesso, nel bello e nel volgare, perfino disgustoso: certe vecchie sdentate con seni flaccidi e uteri prolassati. Mi venne in mente il famoso verso ‘dagli atri muscosi dai fori cadenti’. Anche nei maschi c’erano i due estremi, peni enormi, eretti, incredibili, ed altri avvizziti come piccoli fichi secchi.
Papy scrutava il mio volto. Spesso mi prendeva il braccio, a volte lo stringeva.
Quando finimmo il giro, andammo a riposare un po’ al bar. Prendemmo un aperitivo.
Per raggiungere il Ristorante del Lago, imboccammo la discesa che finiva quasi dinanzi al locale.
Non molti avventori.
Ambiente accogliente e anche con una certa raffinatezza.
Papà disse che desideravamo mangiare ‘pochissimo e benissimo’ e tutte specialità del luogo. Il Maitre ringraziò per la fiducia e assicurò che non saremmo stati delusi.
Infatti, non lo fummo.
Erano trascorse da poco le dieci quando prendemmo la strada di casa.
Serata bella, traffico scorrevole, guida facile.
Mi strinsi, come potei, a papy e tenne sul mio grembo la sua mano, il più a lungo possibile.
Casa!
Lui non lo sapeva, ma ero di fronte a un dilemma tormentoso.
Una decisione che avrebbe potuto significare tutto per me: cielo o inferi.
Vel nunc primum vel numquam! Adesso o mai più!
Papà mi dette un’amorevole pacca sul sedere.
‘Sei una deliziosa compagnia, Nina, impeccabile, bella, invidiabile.’
‘Grazie. Allora, non senti la mancanza della mamma?’
‘Finora no, grazie a te.’
‘E non te la farò sentire.’
Ognuno andò nella sua camera, a prepararsi per la notte.
Io indossai solo una leggera vestaglia ed entrai da lui, che era già a letto, per augurargli la buona notte.
Mi chinai su lui, lo baciai, sulle labbra.
‘Buona notte, papy!’
Poi, andai dall’altra parte del letto, lasciai cadere la vestaglia e m’infilai dentro.
Papà mi guardò sbalordito.
‘Cosa fai, Ninetta?’
‘La parte più bella della sostituzione. Me lo ha detto lei: non far sentire la mia mancanza, a tuo padre, pensaci tu!’
‘Ma’ Ninetta, stai scherzando?’
‘Ti sembra che scherzi? Mi scacci? Mi mandi via?’
La mia voce tremava, gli occhi erano pieni di lacrime, le labbra fremevano.
Si voltò dalla mia parte.
‘Ma bambina mia, ti rendi conto di quello che dici?’
‘E tu, ti rendi conto di quello che voglio? Perché non lo vuoi anche tu, non ci hai mai pensato?’
‘Si, tesoro, ma tra il pensare e l’agire”
” c’è solo la nostra volontà!’
Mi ero accostata a lui, sul fianco, con la gamba sulla sua gamba, e lo carezzavo.
Tremava, il mio papy, e il suo pisellone, enorme, era uscito dal pigiama.
Mi misi su di lui, cominciai a baciarlo, con le mani cercavo di calargli i pantaloni. Non era facile. Tornai supina, con le gambe dischiuse.
Tolse rapidamente pantaloni e giacca, mi carezzò le tette, il grembo, insistè tra le grandi labbra, titillò il piccolo clitoride.
Poi, in silenzio, si pose tra le mie gambe che avevo completamente aperte e con grande tenerezza avvicinò il suo bollente ed enorme glande alla mia rorida e pulsante fichetta che lo attendeva impaziente.
Mi penetrò con studiata ed esperta maestria, lentamente, lasciando che le pareti della vagina si adattassero alle sue dimensioni, e giunse fino in fondo.
Allungai la mano.
Ne avanzava ancora.
Non riesco, nel modo più assoluto, a descrivere le sensazioni che mi travolgevano, cercavo di assaporarle con tutta me stessa. Era qualcosa che desideravo da sempre.
Strano, era, in effetti una ‘prima volta’, gradevolissima, coinvolgente, entusiasmante, che mi trascinava in un vortice di voluttà sconosciuta, e, nello stesso tempo, non accadeva una cosa nuova ma il rinnovarsi di un rito che non aveva nulla di sacrificale o di orgiastico, perché era la realizzazione del fine per cui due realtà esistono.
Ad ogni brando la sua custodia.
Ad ogni uccello il suo nido.
Ero io, solo io, la corrispondente guaina per l’arma di mio padre.
Solo in me poteva trovare completo rifugio e conforto la sua aquila imperiale.
Il mio grembo esultava nell’accogliere il suo signore.
La mia vagina stillava gocce di passione per ungerne lo scettro.
Egli era nella mia cittadella. L’esplorava deliziosamente, ne confermava il possesso.
Meraviglioso, il mio papy. Io l’avevo sempre saputo.
Ma non prevedevo di sentirmi trasportare a vette di così irraggiungibile piacere, e sprofondare, poi, in incantevoli gorghi di voluttà. Inebrianti, esaltanti.
Non ricordo se ridevo, piangevo, gemevo, gridavo.
Ricordo solo che volavo tra le nuvole del godimento, nel cielo dell’ebbrezza.
E lui che mi carezzava col suo meraviglioso pisellone, bramato, desiderato, finalmente goduto.
Poi, mentre la mia fichetta s’andava placando, un torrente incandescente m’invase, e mi fece fremere ancora, conoscere orgasmi di favola.
Rimase su me, senza schiacciarmi
Il suo palpito, in me, s’attenuava’ lentamente’ dolcemente.
Mi prese il volto tra le mani. Mi baciò.
‘Ninni, bambina mia, tesoro’ cosa abbiamo fatto. No! Cosa ho fatto!’
Lo baciai, a mia volta.
‘Che incanto’ papy’ lo rifacciamo?’
Si sdraiò, supino, accanto a me.
Come era bello.
Mi appoggiai su lui, lo carezzavo, baciavo, scendevo con la mano al suo sesso umido, lo stringevo, ne sentivo il rifiorire.
Mi spinse dolcemente, cominciò a baciarmi le tette, a succhiare delicatamente i miei piccoli capezzoli che s’erano inturgiditi.
La sua mano mi carezzava il pube, i riccioli, entrò tra le mie gambe.
Le sue dita giocherellavano col clitoride, scendevano sul perineo, indugiavano sul buchetto.
Ero più eccitata che mai.
Anche lui, e lo manifestava l’imponenza del suo fallo fremente.
Lentamente, ma decisamente, si mise in ginocchio tra le mie gambe, con una mano mi sollevò il bacino, con l’altra portò il glande alle mie piccole labbra che l’attendevano avide e mi penetrò, da padrone. Perché lo sapeva, ormai, che ero totalmente sua.
I nostri corpi s’intendevano a meraviglia.
Ognuno sapeva cosa dare e cosa pretendere, come darla e come ottenerla.
Da soli si limitavano ad essere la metà d’un tutto.
E il loro tutto, il loro unirsi, era il mondo.
Perché ripetere quello che sapeva donarmi, come sapeva darmelo; quello che voleva da me, come lo conquistava; quello che io bramavo di ricevere e offrire.
Ero certa, certissima, che nessun altro maschio avrebbe potuto farmi conoscere simili voluttà, e che nessun’altra femmina gli poteva donare tali sensazioni.
Eravamo impetuosi e teneri, nel contempo.
Come avevo potuto vivere fino ad allora senza di lui?
E neanche pensavo di non averlo ancora, sempre.
Si, così, come adesso, che mi riempiva e svuotava.
Che strana sensazione, avrei voluto riempirmi di lui, ora, in questo momento, dappertutto.
Come?
Non lo so!
Ed ancor più dolce fu il naufragar ancora nell’oceano della voluttà.
Eravamo divinamente affranti.
Mi rifugiai tra le sue braccia, mi addormentai.
Quasi come quando ero piccolissima.
Ora, però, ero diversa.
Ed in diverso modo mi stringeva.
Nulla ostacolava che tra le mie natiche si rifugiasse il suo sempre desiato pisellone.
Dormì anche lui.
Non mi accorsi quando si staccò da me.
Aprii gli occhi, lo vidi seduto, appoggiato alla testata del letto, poggiato sulle mani, con lo sguardo al soffitto.
Chissà cosa pensava.
Il lenzuolo era del tutto cincischiato, a piedi.
Noi eravamo nudi.
I miei occhi lo percorsero tutto, si fermarono, golosi, sul suo fallo, nuovamente eretto.
Lo afferrai, lo carezzai.
Mi lasciò fare.
Mi venne in mente di baciarlo, di suggerlo avidamente.
Poi pensai che avrei potuto diversamente e più gradevolmente profittarne.
Sedetti di fronte a lui, tra le sue gambe.
Alzai le mie e gliele posi sulle spalle.
Abbassai il suo fallo, dolcemente, con due dita, e nel contempo inarcai il bacino per farlo giungere alla mia sempre avida fica.
Mi impalai lentamente, fin quanto potei.
Mi attaccai con le mani al suo collo.
E iniziai una indescrivibile cavalcata, che andava sempre più intensificando il ritmo, anche perché da lui invitata e agevolata.
Era veramente meraviglioso quell’entrare e uscire che mi stava facendo perdere ogni sensazione del presente.
E’ fuori dubbio che nessun altro giorno della mia vita potrà mai avere tanta importanza e tanto valore per me.
Amore o sesso?
Cosa m’importa.
E’ piacere, sommo, ineguagliabile, con chi amo più d’ogni cosa al mondo.
Non c’è nulla di più appagante, rilassante, che possedere ciò che si brama, essere posseduti da chi vogliamo dare tutto di noi.
La zolla arida anéla il seme perché esso sbocci e fruttifichi.
Il grembo palpitante è la mia zolla viva!
Meraviglioso, stupendo, voluttuoso papino.
Grazie!
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Ho vissuto come in una fiaba.
Temevo che fosse un sogno dal quale mi sarei risvegliata.
Papy mi coccolava, mi carezzava, baciava, mordicchiava.
Mi prendeva tra le sue braccia.
Era dolcissimo, tenero, e nel contempo meravigliosamente vigoroso, gagliardo.
Lancia in resta e bersaglio.
Il mio bersaglio non attendeva che la sua lancia.
Arrivò la sera in cui saremmo andati all’aeroporto a rilevare i rientranti.
Non nascondo che nell’esaltazione dei miei sensi, nel dilagare della mia libidine, mi domandavo se anche loro avessero vissuto le mie stesse ore.
No.
Non era possibile.
Nessuno avrebbe potuto avere le mie stesse sensazioni, avrebbe potuto assaporare la mia stessa voluttà.
Nessuno avrebbe saputo donare a un uomo quello che io, solo io, potevo donargli.
Quando salimmo in auto, per andare all’aeroporto, lo guardai con occhi tristi e pieni di pianto.
Mi carezzò.
‘Cosa ha la mia splendida bambina?’
Lo guardai, implorante.
‘Papà.. é’ finito tutto?’
Mi strinse a sé, forte, mi baciò sulle labbra.
‘Tesoro, dobbiamo ancora iniziare!’
Gli saltai al collo, entusiasta, mi aggrappai a lui, l’abbracciai con le gambe.
‘Papino adorato!’
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Ci vennero incontro sorridendo.
Dalla telefonata avevamo saputo che tutto era andato bene.
Mamma ci aveva detto proprio così: ‘tutto bene, Carlo non poteva fare di meglio, sono proprio soddisfatta!’
Ci scambiammo i soliti abbracci.
Mamma mi poggiò la mano sulla spalla.
‘Allora, bambina, come ti sei comportata con tuo padre?’
‘Non gli ho fatto mancare nulla, pa’, diglielo tu!’
Tornammo a casa
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