Spesso mi chiedo se sono del tutto normale, se le mille fantasie che m’assalgono non siano frutto d’un qualche sia pur lieve squilibrio della mia mente.
Fantasticherie, castelli in aria, pensieri privi di fondamento logico.
Da ragazza mi costruivo il mio uomo: bello, generoso, intelligente, tenero, amante delizioso.
Leggevo avidamente: dai romanzetti rosa, sdolcinati e irreali, agli hard più spregiudicati, ma irreali, fantasiosi, immaginari. Passavo dai teneri bacetti, come quelli dei fidanzatini di Peynet, ad amplessi focosi e travolgenti; dal corteggiatore galante, all’impetuoso e rude conquistatore. Dalle carezze lievi, al trogloditico trascinamento per i capelli.
Il trascorrere del tempo non è che mi abbia cambiata molto.
Ancora oggi, dopo anni ed anni, mi piace quando il mio uomo, mio marito, mi corteggia prima di rinnovare la nostra congiunzione di coppia; ma godo anche quando, quasi brutalmente, mi sbatte sul letto, mi strappa i vestiti ed affonda decisamente il suo brando nella mia vagina. Completamente.
Ed è bello quando sono io a cavalcarlo, fin quasi a svellergli il suo robusto arnese.
Quello che non ancora riesco a sopportare è la sua lontananza, quando la sua attività professionale lo costringe a partire.
Ho perfino cercato di ricorre al meschino surrogato di uno squallido vibratore.
Che desolazione!
A proposito di tali naturali e sani appetiti, e al come sfamarsi, è da tempo che mi chiedo come appaghi i suoi il mio Augusto, un fusto alto 185 centimetri e ben piazzato, che ormai è alla vigilia dei suoi 19 anni.
Non è da ora che lo osservo.
Il suo tempo libero è per la palestra, il tennis, il nuoto, lo sci.
Torna visibilmente stanco, una doccia e poi a studiare, a leggere, a guardare la TV.
Non l’ho mai visto con una ragazza, e magari chissà quante gli fanno la posta.
Una mamma cerca di scrutare dappertutto, nelle sue carte, nei suoi cassetti.
Nessun segno di foto femminili.
Eppure lui è un appassionato della fotografia, specie di quella digitale.
La cartella ‘Photo’ del suo PC ne contiene infinite, un continuo alternarsi di paesaggi e di me. Mi ha ritratta dovunque, in ogni momento, in ogni circostanza. Speriamo che non mostri la sua raccolta ad altri, nemmeno a Carlo, mio marito, perché alcune sono un po’ ‘osé’, e non riesco a ricordarmi come e quando abbia potuto scattarle.
Ho continuamente sorvegliato i suoi pigiami notturni, le sue lenzuola’
Sì, ho trovato tracce della sua mascolinità, delle manifestazioni che sono normali nei giovani.
Del resto, una mamma ficcanaso come me, ben sapeva che il suo bambino aveva delle robuste e sane erezioni. Quello che non sapeva era ‘come’ le placava.
Che abbia un’amante segreta? Magari una tardona come me, una che ha superato, sia pure da poco, la quarantina?
Non è che una ‘nave scuola’ del genere sia cosa riprovevole, specie se non è appassita ed è garbata, ma’ vuoi mettere una giovane?
La mia non è curiosità, è interesse.
Per mio figlio.
Devo sondarlo, cautamente.
Devo cominciare da lontano.
Devo profittare quando Carlo è lontano e siamo soli io e lui.
Ecco, come questa sera.
Preparo una cenetta gustosa, poi lo invito a bere uno sherry, a guardare un po’ la TV. Insomma, creo un clima di confidenza e di relax.
^^^
Augusto, di ritorno dalla palestra, s’era attardato sotto la doccia, ed era pronto per la cena.
Pantaloni di canapa, larghi, e camiciola di lino.
Gradì moltissimo la cena, e accettò di buon grado di centellinare un calice di Xeres originale, una delle tante bottiglie che Carlo porta dal suo continuo peregrinare da un comando all’altro della Nato.
Avevo acceso la TV, ma avevo tenuto il volume dell’audio molto basso, come un rumore di fondo, un leit motiv, anche perché trasmetteva da una nota discoteca della riviera.
Era seduto accanto a me, disteso, sorridente.
Gli misi affettuosamente la mano sulla gamba.
‘Come va, Augusto?’
‘Benissimo, mamma.’
‘Cosa pensi dell’università che devi iniziare?’
‘Nulla in particolare, si tratta di studiare. Del resto è la prosecuzione di quello che faccio da anni.’
‘Credi che avrai tempo per la tua attività atletica?’
‘Per ora non saprei dirlo, ma ritengo che organizzandosi bene si possa riuscire a far tutto.’
‘Avrai tempo anche per il’ resto?’
‘Quale resto, mamma?’
‘Le ragazze.’
‘Ma io non ho ragazze, né ragazza.’
Sorseggiai lo sherry.
‘Non c’è qualcuna che ti piace?’
Sospirò. Non compresi se annoiato per la domanda o per altro motivo.
‘C’è!’
‘Posso sapere chi è?’
‘Preferisco di no.’
‘Hai una sua foto?’
‘Si.’
‘Me la fai vedere?’
‘E’ nel PC.’
‘Nella cartella che contiene anche le mie?’
‘Si.’
‘Ma io non ho visto foto di ragazze, mi sembra di essere l’unico soggetto dei tuoi click!’
Alzò le spalle, senza rispondere.
Pensai che se avessi fatto la ‘tenera’, avrei potuto sapere qualcosa.
Lo avvicinai a me, lo abbracciai, gli carezzai la testa che portai sulla mia spalla, sentivo il suo respiro caldo sul mio seno, attraverso l’abito leggero. Era come una lieve soffio di vento che mi lambiva, piacevolmente. Anche il capezzolo se ne era accorto.
La mia mano, intanto, era salita, mi sembra distrattamente, verso la sua patta. Sentii che qualcosa si gonfiava. Eccome.
Ma come, quel ragazzone s’eccitava al solo avvertire la mano della sua mamma vicina al pisello e non aveva una ragazza?
Volevo sapere se era veramente eccitato o se quella prominenza crescente non fosse di altra natura (e che avrebbe potuto essere?) e lo afferrai per accertarmene.
Era proprio lui!
Quello che mi sorprese (fino a un certo punto) è che a quel contatto s’era anche risvegliato il vulcano che cercavo di controllare tra le mie gambe, e in modo insistente.
All’improvviso mi sentii folgorata, tra Augusto e me si era creato una specie di arco voltaico’ ed io stavo ardendo.
Cercai di controllare la voce.
Rimasi immobile, sempre con la mano sul suo fallo che stava per lacerare i pantaloni.
Lo guardai fisso.
Sollevò lo sguardo verso me.
‘Augusto, vorrei farti una domanda’ indiscreta’ che solo una mamma può fare.’
Sempre con le labbra che mi sfioravano il seno, mi rispose sommessamente.
‘Sei mai stato con una donna?’
‘No!’
Mi accorsi che quel no mi aveva fatto impulsivamente stringere la mano attorno al suo sesso.
Lui abbassò le labbra, mi baciò lievemente la tetta, sulla pelle che usciva dalla scollatura.
Non distinguevo se fosse fantasticheria o confusione.
Stavo inoltrandomi in una strada senza uscita.
‘Dimmi la verità, Augusto, nel tuo PC ci sono solo le mie foto, vero?’
Un lungo sospiro.
‘Si!’
Dovevo andare fino alla fine.
‘Vorresti farlo’ con me?’
‘Si!’
La sua mano mi strinse forte il petto, e sentii che le lacrime gli colavano abbondanti dagli occhi, mentre a me la vagina s’era abbondantemente lubrificata.
Tutto quel parlare, quel toccare’ m’avevano eccitata oltre ogni dire.
Ero tremendamente allupata, mi venne di pensare al vibratore.
Che schifo, che nausea!
E che bello il mio Augusto!
Gli abbassai lentamente la zip dei pantaloni e la sua prorompente erezione balzò fuori, superando anche i boxer.
Lui non s’era mosso.
Sembrava pietrificato.
Aprii completamente i suoi pantaloni, abbassai i boxer, sbottonai la camiciola.
Era li, imponente, invitante.
Lo baciai teneramente, come quando, neonato, gli baciavo il pisellino prima di incipriarlo.
Un bacio che nessun altro aveva avuto. Neppure Carlo.
Con lui fellatio e cunnilingus erano argomenti ignorati.
Era un naif, sessualmente parlando: pene e vagina, non altro.
Lo accolsi nella mia bocca, palpitava.
Non volevo, però, che nell’eccitazione raggiungesse il piacere.
Avevo ben altro in testa.
Mi alzai, con la mano gli afferrai il fallo e, mentre lui cercava di tener su alla meglio gli indumenti, mi avviai verso la camera da letto.
Ci misi un attimo a restare nuda, a sdraiarmi sul letto, bocconi.
Lui era restato fermo, incantato, attonito.
‘Spogliati, Augusto.’
Eseguì automaticamente.
Mi accorsi che mi guardava con occhi sbarrati. Ammaliato nel vedermi così, col sedere che si offriva al suo sguardo, senza veli.
‘Avvicinati.’
Si avvicinò, timidamente, ogni tanto volgevo il viso per guardarlo.
La sua erezione era imponente.
Sedette sulla sponda del letto, allungò una mano, lentamente, come per tema di venir sgridato. Poi l’appoggiò sulla mia natica, la carezzò, piano, strinse le dita per palpeggiarla. Credo che si meravigliasse della mia non reazione. Andò timorosamente ad infilare le dita tra i glutei, li sentì certamente contrarsi, sfiorò lo sfintere palpitante, si soffermò un po’.
Pensai che era il momento di voltarmi.
Lo feci.
Ora ero supina, col petto rigoglioso, i capezzoli tumidi, le gambe appena dischiuse e sentivo le grandi labbra anche esse turgide e prominenti coi peli che si increspavano.
Non so descrivere l’espressione del volto di Augusto, era estatica, incantata, rapita, in adorazione di quell’improvvisa e impensata vista che si offriva ai suoi occhi. Il suo pene vibrava visibilmente. Lo sfiorai con una lieve carezza. Presi la sua mano e la portai sul mio petto. Lo sfiorò, poi strinse i capezzoli tra le dita, s’avventurò lentamente sul ventre, la mano toccava appena il mio pube, i miei riccioli, cautamente proseguì tra le mie gambe, si fermò come sorpreso quando le sentì aprirsi ancora, andò in cauta esplorazione, scoperse il mio clitoride fremente, lo titillò teneramente, introdusse un dito nel calore umido della mia vagina, e istintivamente prese a massaggiarla col polpastrello. Era delizioso il mio titubante bambino.
Dischiusi le gambe, alzai le ginocchia, rivelandogli il mio sesso in tutta la sua golosa aspettativa, e posi le mani dietro la nuca. Non volevo pressarlo, desideravo che fosse lui a continuare secondo il suo pensiero, il suo desiderio.
Si mise tra le mie gambe, poggiando sui ginocchi, guardandomi nel viso, scrutando ogni mio più piccolo movimento del volto, poggiò il suo glande vicino la vagina. Lo ammiravo con tacita approvazione, perché leggesse la mia attesa nel fremere delle nari e la sentisse nel palpitare del grembo.
S’abbassò decisamente, penetrandomi fin quando il suo fallo non trovò il fondo del mio sesso.
Gli strinsi le gambe sul dorso.
Inarcai il bacino, per sentirlo completamente in me.
La natura, soprattutto, gli disse come doveva agire. La natura è un’insuperabile maestra e lui un allievo meraviglioso.
Mi stantuffava con lungo e lento movimento che mi faceva sentire il glande all’ingresso della vagina e poi salire, deliziosamente, fino a raggiungerne la volta. Poi quell’andirivieni si fece più spedito, e il mio bacino lo accompagnava, sollecitava, in un crescendo che mi condusse a un orgasmo sconosciuto, travolgente, sconvolgente, che mi face quasi cadere in deliquio. Le pareti della vagina, che gli avevano avvolto il fallo in voluttuose contrazioni, si rilassarono, e si bearono del balsamo che m’andava invadendo, come ruscello che disseta arsura antica.
Quel grande e grosso ragazzone che mi sovrastava con la sua atletica mole, non mi pesava così, ansante e sudato, su me, in me!
‘Sei contento, tesoro?’
Non riusciva a parlare, mi guardava, toccava, baciava, e sentivo che stava rifiorendo in me.
Desideravo sentirmi tra le sue braccia, mi mossi piano, mi posi di fianco, sulle sue ginocchia.
Il suo fallo era scivolato da me, ma non aveva ancora riacquistato la pace dei sensi. Lo sentivo tra le natiche che lo accoglievano e lo stringevano. Un senso nuovo quel turgore umido sul mio piccolo vergine sfintere che sentivo agitarsi come se volesse suggere, ingerire, qualcosa. Un tepore piacevole, ma un grosso, troppo grosso cavicchio per così piccolo orificio.
La sua mano era tra le mie gambe, e mi carezzava dolcemente.
Mi assopii così, come in un sogno.
Credo che poco dopo s’addormentò anche lui.
Era quasi l’alba quando mi risvegliai.
Non ci eravamo mossi, eravamo nella stessa posizione.
Forse nel sonno s’era rilassato, il mio bambino, ma fu quel premere tra le mie natiche che mi fece uscire dal sonno. Stavo sognando, infatti, che un grosso fallo s’avviava a penetrarmi, con mio sommo diletto, mentre qualcuno mi stava alle spalle. E istintivamente mi muovevo per accoglierlo, ansiosa. Solo che, una volta sveglia del tutto, quel voluttuoso glande era ben fermo all’ingresso del mio buchetto.
Non avevo mai avuto un’esperienza del genere.
M’attraeva e mi turbava nel contempo.
Avevo sentito parlare di sensazioni meravigliose, ma avevo colto anche qualche voce discorde.
M’attardavo in considerazioni fredde, razionali, anatomiche.
L’attrezzo che stringevo tra le natiche non era anormale, smisurato, comunque di rispettabili dimensioni.
La vagina, a parte che era destinata proprio ad accoglierlo, era capace di dilatarsi fino a farvi passare la testa di un neonato.
Quell’altro tubo non aveva tale naturale finalità.
Era anche vero, però, che il retto è adiacente alla vagina, proprio nel lato dove sembra che vi sia il punto G, quello maggiormente erogeno; dall’altra parte, poi, s’erge il clitoride.
Infatti, chi aveva esaltato quella forma di rapporto mi aveva parlato di sensazioni meravigliose soprattutto se, nel contempo, si stimolava il clitoride.
La pressione del glande augusteo, mi fece tornare alla realtà del momento.
Dovevo rifletterci.
Mi attraeva, però, non tanto l’idea di sperimentare nuove sensazioni, quanto quella di dedicare al mio Augusto qualcosa di me che doveva essere sua e solo sua.
Una delle mie solite bizzarrie? Chissà!
Decisi di alzarmi. Ma lui mi teneva stretta e le sue carezze, sempre più insistenti, non mi erano indifferenti. Questa volta non era solo il desiderio di contentarlo, bensì quello di essere accontentata.
Diamine! Ero stregata dal sesso di mio figlio. Mi sembrava d’averlo atteso per tutta la vita. Era una cosa diversa dai pur numerosi e non tiepidi amplessi con Carlo. Non m’ero sentita soltanto penetrata, ma invasa, conquistata, sedotta. Era entrato in me con la lancia in resta, m’aveva sottomessa, soggiogata, m’aveva legata a sé con quella sensazione che chiamare orgasmo è mera riduzione, avevo conosciuto il nettare che aveva colmato la mia coppa. Il suo sigillo m’aveva marcata per sempre: ero sua!
Le sue labbra, ora lambivano il mio orecchio.
‘Sei bellissima, ma’, grazie.’
E mi strinse di più.
Ripetei ciò che non aveva avuto risposta.
‘Sei contento, tesoro?’
‘Mi sembra di sognare, dimmi che è vero”
Mi voltai lentamente verso lui.
Gli carezzai il volto splendido.
‘E’ vero, bambino mio, sei con la tua mamma, come non eri mai stato.’
‘Ti desidero ancora, più di prima, ora che ho conosciuto cosa sai donarmi.’
‘Vieni, amore. Appoggia la schiena alla testiera del letto.’
Si mise come gli avevo detto, col capo poggiato al letto, le mani un po’ dietro di lui, sul lenzuolo. Il fallo era un monolite, monumento alla passione, che svettava implorante e lusinghiero.
Sedetti sulle sue gambe, strisciando con le natiche, voluttuosamente, andai verso lui. Ad un certo momento, preso il fallo con le dita, alzai il bacino, l’inarcai, lo portai tra le mie piccole palpitanti labbra, e feci in modo di accoglierlo tutto, avvicinandomi sempre più, fino ad abbracciarlo con le ginocchia, mi rovesciai indietro, sostenendomi sulle palme, e il contatto divenne più appassionato che mai.
Iniziai a dondolarmi, ma già il piacere mi sommergeva, ed ero incantata a scrutare il suo volto: era stupendo, una visione d’incanto, mai vista. Ciò procurava le contrazioni che lo mungevano e che mi portavano, ancora una volta a vette eccelse dalle quali mi sentii sprofondare nel mare del più eccelso godimento, che ci cose nello stesso fantastico istante.
Fusione di piacere, e delle nostre linfe che si mescolavano appagate.
Non fu facile deciderci a sciogliere il nodo che ci avvinceva.
Era troppo bello.
Vi riuscimmo tra baci e carezze, e lo convinsi con vaghe promesse, che era meglio fare la doccia ognuno per conto proprio.
Vi sarei andata io per prima, e mentre, poi, sarebbe stato il suo turno, avrei preparata una bella e buona colazione.
Prima d’ogni cosa, telefonai alla colf e le detti la giornata libera, le dissi che saremmo andati fuori.
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Mentre apparecchiavo la tavola, stavo riflettendo che m’ero fatta travolgere da quel vortice che avrei dovuto evitare ad ogni costo.
Era stato tanto bello però.
La tristezza era sparita dal volto di Augusto, e lo specchio mi diceva che ero ringiovanita improvvisamente di almeno dieci anni. Per non parlare dei sensi, appagati, distesi, ma prontissimi a nuovi voluttuosi assalti, e desiderosi di affrontarli.
Non m’era mai accaduto di scoprirmi dotata di un sesso così pieno di pretese e tanto affamato. Fame da lupo. Ecco perché si dice ‘allupata’. Io lo ero!
Era tutto pronto.
Spiucchiavo nei cassetti, senza ragione.
Trovai una confezione di ‘gel’ per esplorazioni mediche. Intatto. Ancora chiuso. Non ricordavo assolutamente perché lo avessimo acquistato, non mi risultava che dovessimo eseguire ‘esplorazioni mediche’, né come mai fosse li. Comunque, non era quello il posto suo.
Lo presi e andai a metterlo, temporaneamente, nel cassetto del mio comodino.
Poi lo chiamai.
‘Augusto’ è pronto!’
Il nume della bellezza e dell’amore apparve sotto le sembianze di mio figlio, ancora in accappatoio. Del resto, io avevo infilato una vestaglia, dopo la doccia, senza null’altro sotto.
Sedette a tavola, io vicina a lui.
Prima di bere il succo d’arancia, mi dette un bacio.
Non l’avevo mai visto così bello, rilassato, seducente.
Mangiavamo lentamente, ogni tanto ci guardavamo, come se avessimo qualcosa da dirci, poi tornavamo alla nostra colazione.
Pian piano finimmo tutto.
Mi venne da sorridere quando accostai quel nostro rifocillarci al noto romanzo: ‘Il riposo del guerriero’.
Riandai con la mente alle nostre meravigliose battaglie, ma soprattutto pregustavo le future.
Il solo pensiero mi rimestava dentro.
I capezzoli si ergevano, il grembo palpitava, la vagina s’inumidiva, si lubrificava; lo sfintere, tra le natiche, si contraeva.
Un altro dei miei collegamenti, che possono anche considerarsi cervellotici: contrazione del’ buchetto’ lubrificazione’ gel’! E, guarda caso, il gel lo avevo messo nel cassetto’ vicino al letto’
Sentivo che tutto quanto stava avvenendo era una chiara indicazione del percorso da compiere.
Rimaneva, però, da accertare la condivisione del mio proposito da parte di chi era, in fondo, il destinatario del’ regalo!
(Ma quanto sono ipocrita! Non vedevo l’ora di togliermi quella curiosità!)
Prima di tutto: lui era, come dire, pronto?
Infilai la mano nel suo accappatoio, per una fugace carezza.
Era prontissimo!
Incontrai subito il protagonista di quanto era accaduto e di quanto anelavo che accadesse.
E la stretta della mia mano, fu così gradita che Augusto pensò bene di darmi una bella strizzata alla tetta che occhieggiava dalla vestaglia.
Mi rivolsi a lui, candidamente.
‘Vado a vestirmi, tesoro, vieni anche tu?’
Cosa poi c’entrasse la sua presenza col volermi vestire, era un mistero.
Comunque, lui non si pose tale domanda, e mi seguì, cingendomi la vita e con una mano ben posizionata sul mio sedere che palpeggiava premurosamente.
‘Siedi nella poltrona, mentre vedo cosa infilarmi.’
La poltrona era ai piedi del letto.
Tolsi la vestaglia e andai verso il comodino, a cercare qualcosa nel vano inferiore. Gli volgevo le spalle, ero chinata e, per la posizione, mostravo in tutta evidenza sesso e sedere.
Sentii, improvvisamente, il suo fallo premere dietro di me, proprio dove più sensibile era qual contatto, e le tette saldamente afferrate.
Mi mossi appena.
‘Cosa vuoi, tesoro’. Ti piace?’
La spinta decisa fu la sua risposta.
‘Non l’ho fatto mai, bambino mio, vuoi divenirne il signore e padrone?’
Spinta ancor più incalzante, prepotente.
C’era da temere che da un momento all’altro tentasse di irrompervi con la forza.
‘Aspetta, amore, aspetta.’
Sempre chinata, aprii il cassetto del comodino, presi quel vasetto, lo trassi dalla scatoletta di cartone, svitai il coperchio, e raccolsi una certa quantità di gel sulle dita. Mi staccai da lui, andai verso il letto, vi salii, mi inginocchiai, carponi. Cosparsi il gel intorno al buchetto, con un dito ne feci entrare anche un po’ dentro.
Non mi dette tempo, di ripulirmi le dita, sul lenzuolo, che il suo glande era già li. Ora era meno precipitoso. Saggiò la resistenza del mio sfintere, spinse dolcemente. Ecco, si stava dilatando. Com’era grosso, però, quel suo glande. Sembrava un pestello infuocato. La resistenza s’allentò di colpo, stava entrando, tutto, molto più di quanto ne avesse accolto la vagina. Sentivo i suo testicoli battere sulle natiche.
Si fermò un attimo.
Meno male.
Solo ora stavo rilassandomi anche io, e stavo iniziando a prendere gusto da quel poderoso invasore che aveva cominciato a muoversi, avanti e dietro, con una mano sulla mia tetta e l’altra che mi frugava tra le gambe, titillava il mio clitoride, s’introduceva nella mia vagina che, in alcuni momenti, era stretta tra il fallo e le dita. Ogni volta che il glande passava per un certo punto, tutto in me palpitava, si contraeva.
Il raggiungimento del piacere fu più rapido e più impetuoso che mai. Era lui che mi sosteneva, perché sentivo mancarmi le forse, e quel torrente caldo, mi faceva impazzire.
Quando riuscii, pian piano, a tornare in me, a riprendermi da quell’estasi che mi aveva annebbiato la mente, scossi la testa.
Ero proprio una madre dissoluta, libidinosa, spudorata.
Non solo s’era accoppiata con suo figlio, e ne aveva tratto gran godimento, ma aveva voluto dedicargli anche ciò che prima d’allora non era mai stato di nessuno, nemmeno del marito!
Tutto vero.
Ma era stato bellissimo.
Avrei voluto eternare quel momento in una foto, una di quelle che tanto bene sa scattare Augusto.
Ciò avvenne solo dopo qualche tempo.
Quando alcuni giorni dopo, rientrò Carlo, mi disse che dov’era stato c’erano dei resti dell’antica occupazione dei Romani, ai tempi dell’Impero.
E lui, sia pure per caso, aveva presenziato all’inaugurazione del foro di Augusto.
‘Anche io vi ho partecipato!’
Gli risposi.
Lui mi guardò, scosse le spalle, non capì.
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