“Porca miseria, sempre con quella voce di persona abituata a decidere…”
Amiche e amici, vi racconto quello che è accaduto la settimana prima
di partire per una vacanza, mentre ero ancora un’impiegata della compagnia di navigazione.
Dovevo sostituire la collega che faceva il turno ai moli per l’imbarco delle merci, era un venerdì, ancora un giorno e poi, finalmente, basta con il lavoro, almeno fino a mercoledì mattina.
Faceva un caldo da morire, a metà agosto, che altro poteva fare.
Minigonna, camicetta bianca con lo stemma della compagnia sul taschino, mutandine e un paio di sandali, in poche parole la divisa da impiegata.
Più leggera di così non potevo vestirmi.
Purtroppo dovevo indossare il camice bianco, come quello dei medici e in testa l’obbligatorio casco.
Ma giuro mi sarei messa nuda, almeno sotto il camice, tanto picchiava il sole, ma si sarebbe visto troppo, meglio non stuzzicare certe voglie.
Va bene che ero più che al sicuro, tutti mi conoscevano e guai se qualcuno mi avesse importunato, l’avrebbero buttato a mare.
Otto ore su quel molo, non erano uno scherzo è non ero che a metà del lavoro, ma andiamo avanti.
Avevo una meravigliosa squadra di caricatori, i miei angeli custodi, c’era un mucchio di roba da caricare.
Il cargo doveva partire la mattina successiva, per le isole Canarie, per poi proseguire, rotta Sudamerica e precisamente, Argentina.
Tassativamente dovevamo terminare prima di sera.
La nave batteva bandiera Spagnola ecco perché c’ero io a comandare le operazioni da terra.
Mio padre aveva avuto la brillante idea di sposare una Spagnola,(a dir la verità, Andalusa) pertanto, per me, lo Spagnolo, era come una seconda lingua, ne ho una perfetta padronanza, perciò, ogni nave battente bandiera di un paese di lingua spagnola, toccava a me.
Finalmente la pausa pranzo.
Al ritorno, il sole era passato sopra ai capannoni, ora eravamo almeno all’ombra.
Era dal primo mattino che lo intravedevo, il bagliore dl sole me ne impediva la vista, finalmente potevo distinguerlo, sempre lì immobile sul ponte di comando.
Incurante del sole e del caldo, osservava con occhio critico le varie fasi dell’imbarco, ogni tanto dava degli ordini, che venivano immediatamente eseguiti, anche se non mi sembrava li desse in modo tagliente, anzi li avrei considerati più suggerimenti che ordini, ma dati con voce decisa, da persona abituata al comando.
Lo guardai ancora un po’, poi mi concentrai sul lavoro.
Ma era come un magnete, non passava mezz’ora che alzavo gli occhi a guardare se era sempre li.
Sembrava una polena, non si muoveva.
Da quaggiù, immaginavo un uomo attraente, anche se ne vedevo solo la metà, cioè la parte superiore, capelli sul biondo cenere, appena mossi dalla leggera brezza che proveniva dal mare, portava occhiali scuri, cercai di indovinarne l’età, difficile da questa distanza, azzardai sui 50.
Dovetti distogliere l’interesse su di lui e in fretta, dovevo spuntare la merce che passava, altrimenti sarebbero stati guai, la lista doveva combaciare con quella dell’incaricato allo stivaggio.
Cercai di concentrare tutta l’attenzione sul compito che dovevo svolgere, ma era più forte di me, con la coda dell’occhio, ritornavo a guardarlo, ad un certo punto, sembrava mi avesse sorriso.
Lo aveva fatto veramente?.
O era una mia illusione?
Impossibile, ero una formica per lui
“cretina che stai facendo?”.
“che male c’è a salutarlo?”.
“gli fai capire che sei cotta di lui”.
“ora non esagerare”.
“non esagerare?, ma guardati sembri una collegiale”.
“per uno sguardo ogni tanto?”.
“uno sguardo ogni tanto?, ma se lo stai mangiando con gli occhi, scommetto che se potesse salterebbe giù”.
“ora basta, sei esagerata, scommetto che non mi vede nemmeno e poi, lasciami lavorare”.
Oddio stavo parlando a me stessa, il caldo faceva brutti scherzi.
La cosa più preoccupante era, il costatare che quell’uomo mi piaceva, mi attraeva, mi intrigava.
Probabilmente a lui facevo lo stesso effetto, beh! un po’ di presunzione ed amor proprio, non guasta, non siete d’accordo pure voi?.
Con sforzo, mi dimenticai del comandante, o meglio lo misi in un angolino
Fu lui a porre fine al mio tormento, sparì dal ponte di comando, probabilmente sarà andato a mangiare, so che gli spagnoli sono abituati a pranzare nel tardo pomeriggio.
Mi concentrai solo sul lavoro.
Come detto, avevo a disposizione una bravissima squadra di ragazzi, finimmo per le cinque, due ore prima del previsto, mi feci un appunto, di comunicare alla direzione la cosa, meritavano una gratifica, se l’erano meritata, da parte mia, un bel grazie.
Salii sulla nave, scesi nella stiva, dovevo fare un’ultimo controllo, una cosa ritenuta inutile da chi era incaricata/o all’imbarco, ma doveva essere fatta, avrei attaccato l’ultima bolla, poi finalmente sarei andata a casa, basta navi fino a mercoledì, c’era il ponte di ferragosto.
Non mi ero nemmeno accorta di essere sola nella stiva.
Avevo quasi finito il giro, stavo per staccare l’ultima bolla, quando una voce mi fece sobbalzare.
“¿buenos días señorita, acabado de almacenar la mercancía?”.
Mi girai.
Davanti a me in tutta la sua statura, nel senso che c’era anche il pezzo che non potevo vedere dal basso, il comandante della nave.
Risposi alla sua domanda, con un pò di ritardo.
“echa el ancla este y luego he acabado”.
“muy bien”
Da questo momento il colloquio ve lo scrivo in Italiano, altrimenti ho paura non capireste nulla.
Mi giro per attaccare la bolla di consegna sul container, purtroppo non ci arrivavo a dove doveva esse incollata,purtroppo non sono una pallovolista,anche se mi piace guiocarci.
Sento la sua presenza dietro di me.
“posso aiutarla signorina”
“grazie, non riesco ad attaccare la bolla”.
Faccio per dargliela in modo che possa farlo lui,invece mi sento prendere per i fianchi e come se niente fosse mi solleva in modo che comodamente possa incollarla.
Mi aveva alzata in modo da aver il naso sul fondoschiena, sentivo il suo alito sulle cosce.
“fatto può rimettermi giù”.
Mi fece scendere lentamente, molto lentamente, tenendomi aderente al suo corpo.
Mi abbassava cm dopo cm.
Il camice e la gonna, a causa, dell’attrito si stavano arrotolando verso l’alto.
Guardai verso il basso, le cosce oramai erano allo scoperto e cosi il culetto.
Mi fece strusciare col sedere sulla sua eccitazione.
Lo fece lentamente, molto lentamente.
Voleva farmi sentire quanto era dura.
Un brivido, una scossa lungo la spina dorsale.
Dovevo reagire, non potevo rimanere inerme.
“cosa fa comandante?, mi metta a terra per favore”.
Sinceramente non so se dissi quelle parole, o se le pensai solamente.
Continuò a farmi sentire la protuberanza, come non avesse sentito le mie parole.
Finalmente mi ritrovai con i piedi in terra.
Provai a staccarmi.
Le mani mi tenevano saldamente per i fianchi.
Non riuscii a staccarmi nemmeno di un cm.
Forse non lo volevo nemmeno.
Gonna e camice erano arrotolati alla vita.
Mi spinse verso il container, bloccandomi contro.
Il suo bacino tornò ad appoggiarsi al deretano.
Nuovamente l’eccitazione si fece strada fra le chiappe.
Muoveva il bacino in modo che si adattasse al solco.
Unica protezione, ultimo baluardo di difesa, le mutandine.
Trovò la posizione.
Tolse le mani dai fianchi.
Mi prese per i polsi, alzandomi le braccia verso l’alto, facendomi appoggiare le palme sul container.
Appoggiò il mento sulla spalla destra.
Sentivo l’alito sull’orecchio.
Un sussurro.
“non muoverti”.
Cominciò un su e giù lentissimo, di una lentezza esasperante.
L’eccitazione tendeva il tessuto dei pantaloni, e strusciava sulle natiche.
Mi liberò una mano.
“non toglierla, tienila appoggiata al container”.
Lo disse con voce decisa, da comandante abituato a dare ordini e ad essere ubbidito.
La cosa mi dette un po’ fastidio, non mi piace essere comandata, ma la situazione mi intrigava.
Con la mano, ora libera, si sbottonò i pantaloni, facendo uscire il pene, lo sentii appoggiarsi al culetto con tutto il suo calore, e durezza.
Non era abbastanza.
Abbassò le mie mutandine fin quasi alle ginocchia.
“toglile senza usare le mani”.
Sempre con quella voce quasi tagliente, ma nello stesso tempo calda, arrapante.
Le tolsi, muovendo solo le gambe.
La cosa ebbe un magnifico effetto sul pene, se possibile si irrigidì ancor di più, ma la cosa più bella che si accomodò ben bene nel solco che divide le natiche.
Sentivo i testicoli strusciare appena sotto, il membro che occupava tutto il solco.
Confesso, mi lasciai andare, era troppo bello, quella maschia carezza al culo, impagabile.
Rimise la mano sopra la mia.
“allarga le gambe”.
Porca miseria, sempre con quella voce di persona abituata a decidere.
Stavo godendo, ubbidìi, in fin dei conti mi stava facendo felice, al diavolo la sua autorità.
Mi fermo il seguito alla prossima puntata, non ditemi che sono una sadica, ma scrivere questi ricordi, mi fanno venire la voglia di… beh!, potete immaginarlo.
… continua…
Il mio solito lungo bacione
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