“Sentivo l’eccitazione crescere in lui, mentre io mi stavo abituando alla situazione…”
Mi chiamo Diana, ho 21 anni e sono di Roma; sono alta
circa uno e sessanta, capelli biondi non lunghi, occhi castani, una 3 scarsa di seno, minuta ma ben fatta, insomma. Sono iscritta all’università, 3° anno di lettere e filosofia, mi piace molto leggere e scrivere; sono fidanzata da 2 anni con Fabio, conosciuto all’università e, finora, anche se senza particolari entusiasmi, va tutto per il meglio.
Ho un fratello più piccolo, Andrea, 18 anni, alto 1.80 (chissà dove arriverà), capelli castani un po’ lunghetti, occhi marroni: un bel ragazzo, anche se ancora molto bambino… Quando è iniziata questa storia, Andrea frequentava il 3° liceo classico (è stato bocciato un anno) nella stessa scuola in cui andavo io: per un anno, lui faceva il primo e io il quinto, siamo andati praticamente a scuola insieme.
Io non ho mai avuto problemi a scuola; ho sempre raggiunto con non troppa fatica la media del sette e mi sono diplomata molto bene. Mio fratello, al contrario, non era una cima: raggiungeva sempre a stento la media del 6 e in secondo superiore è stato bocciato. Per questo motivo (e con mia “grande gioia”…), mi tocca spesso dargli ripetizioni private, soprattutto in matematica e latino; ma d’altra parte, sono la sorella più grande e assolvo i miei compiti.
L’avventura che voglio raccontarvi risale al marzo di due anni fa; Andrea avrebbe avuto l’indomani un compito in classe di matematica e, come al solito, a me toccava farlo ripassare. Nonostante i miei aiuti, in matematica non era mai andato oltre il 6 e mezzo (è proprio un caso disperato), anzi, spesso viaggiava sul 4, 4 e mezzo. Quel giorno lo stavo aiutando a fare le disequazioni, quando ad un tratto lui col suo solito sorriso di sfida (è nell’età in cui crede di spaccare il mondo…) mi disse:
– Scommetti che domani al compito in classe prendo almeno 7?
– Sì sì, come tutte le altre volte – feci io, avendo già sentito quella frase almeno una decina di volte.
– Stavolta me lo sento, è la volta buona – mi rispose sempre più convinto.
– Guarda che se vai bene in matematica io sono contenta, mica te la sto tirando. Il fatto è che se prendi 7 tu mi sa che viene giù la neve! – prendendolo un po’ in giro.
– Allora facciamo così – disse facendosi serio – se prendo meno di 7 tu non mi devi più aiutare a fare i compiti, se prendo più di 7 mi fai un pompino!
– Ma che stai dicendo!!! Ma ti sei ammattito? (Anche se l’idea di non doverlo più aiutare a fare i compiti era molto allettante…)
Lo vidi dagli occhi che affilava le sue armi, le caricava, mirava e sparava.
– Allora io dico a mamma e papà che tu alle superiori, in gita, ti sei fatta una canna!
Mi aveva colpito.
L’episodio a cui si riferiva risaliva alla gita che avevamo fatto in quinta superiore; una sera girava una canna in camera e io avevo voluto provare, ma niente di più; tanto più che non mi era neanche piaciuto e da allora non ho provato più niente di simile (neanche una sigaretta). La frittata l’aveva fatta una mia amica (deficiente) che un giorno all’uscita di scuola, con mio fratello presente, se ne era uscita con un “Perché non vi ricordate quando ci siamo fatte tutte una canna in gita?!”; io ero trasalita e speravo che Andrea non avesse sentito e così avevo pensato fino a quel giorno. Ma non era così: aveva tenuto in serbo questa cartuccia sapendo che avrebbe potuto usarla contro di me in qualsiasi momento.
– Non è vero – tentai un’estrema difesa.
– E’ vero, lo ha detto Alessandra, la tua amica!
Si ricordava anche i particolari.
– Ho solo provato! Poi basta – ribattei io, anche un po’ stupidamente.
– Allora lo vedi che è vero! Stasera quando tornano glielo dico proprio!
Io già mi vedevo sul banco degli imputati; sapevo di essere quasi del tutto innocente, ma ero anche convinta che il tarlo del dubbio (“Abbiamo una figlia drogata?”) avrebbe roso le menti dei miei. Forse mi avrebbero controllato, pedinato… Il mondo mi stava cadendo addosso e io non potevo spostarmi.
– Sei un bastardo! – cercai di cambiare strategia.
– Ma guarda che se tu accetti la scommessa io sarò una tomba, non uscirà una parola dalla mia bocca! – disse con aria di vittoria.
Aveva raggiunto il suo scopo; non avevo più scelta. Allora cominciai a pensare al dopo; tutto sommato, le probabilità che avesse preso almeno 7 in matematica erano basse, il rischio di perdere, per me, era basso. E poi non avrei dovuto più aiutarlo! All’altra eventualità non volevo neanche pensare…
– Va bene, accetto. Ma se prendi meno di 7 giurami che non dovrò più aiutarti.
– Giuro! Sapevo che avresti accettato, sorellina… – disse sogghignando.
Ci demmo la mano in segno di accordo e me ne andai, non prima di averlo apostrofato duramente (“Stro…!”).
I giorni seguenti, ero più io che avevo paura della correzione del suo compito, che lui. Lo vedevo tranquillo, spensierato, troppo sicuro di sé.
Finché un giorno, a cena, calmo e tranquillo se ne uscì con un:
– Mamma, ti ho detto che oggi la prof ci ha riportato i compiti di matematica?
Il sangue mi si gelò; era arrivato il momento della verità. La mia vita, pensavo, era davanti a un bivio. Smisi di mangiare, lo stomaco mi si era chiuso.
Lui tornò dalla camera con il foglio in mano e lo porse a mia madre. Io chiusi gli occhi.
Pochi secondi, i più lunghi della mia vita: poi sentii risuonare la voce di mia madre come il prete che pronuncia l’omelia:
– SETTE PIU’ !!! – mia madre non credeva ai propri occhi.
Io invece non credevo alle sue parole. La spada di Damocle che pendeva sulla mia testa era caduta.
Anche mio padre era rimasto sbalordito; avrebbe voluto festeggiare, ma l’unica cosa che disse fu:
– Adesso vai a ringraziare tua sorella che ti ha aiutato! – senza sapere che io ero tutt’altro che felice, anzi…
Andrea venne da me sorridendo e, palpandomi come per incidente tra il braccio e il seno, mi diede un bacio sulla guancia.
Finimmo di cenare (anzi finirono, a me era passata la fame); mia madre e mio padre felici come una Pasqua, Andrea ancor di più.
Quella notte non dormii: pensavo a come, per una stronza di amica, mi ero “rovinata” la vita. Pensavo a quando avrei dovuto scontare la “pena”, alle modalità; volevo non pensarci, ma non ci riuscivo.
Passarono due, tre giorni; e mi illludevo e cresceva in me la vana speranza che mio fratello stesse scherzando, oppure si fosse dimenticato; ma non era così.
Una mattina ero sola in casa. Io avevo lezione all’università il pomeriggio, i miei erano al lavoro, Andrea era scuola. Ne approfittai per fare una doccia; almeno la mattina mi sentivo al sicuro. Ma, evidentemente, tutte le mie certezze erano destinate a cadere.
Ero uscita dalla doccia, quando suonò il campanello. Lasciai perdere, credendo che fosse il solito venditore (la mattina mi era già capitato di averci a che fare). Ma il campanello risuonò.
Mi diressi verso la porta in accappatoio facendo attenzione a non farmi sentire; guardai dallo spioncino: Andrea!
Il cuore mi si fermò per un momento; caddi in una sorta di trance.
Mi risvegliarono le parole di Andrea che da fuori la porta disse:
– Diana, lo so che ci sei, aprimi!
Feci finta di arrivare da un’altra stanza e aprii.
– Che ci fai tu qui? – dissi non poco turbata.
– Oggi non mi andava di andare a scuola, volevo tanto stare con la mia sorellina…
– Hai fatto sega?! – lo sgridai.
– Per una volta! E poi ricordati che sono in credito con te…
In quel momento realizzai. Voleva il premio della scommessa. E visto che erano le nove di mattina aveva tutto il tempo che voleva; aveva studiato tutto nei minimi particolari, il bastardo!
– Vedo che ti sei già preparata?! – disse ridendo.
– Preparata per cosa? – risposi vagamente.
– Non fare la scema! Lo sai benissimo – mi rimproverò.
Ero una nave in balia del vento.
– Dove vuoi farlo? – mi chiese.
Non risposi.
– Va bene andiamo in camera mia, e sciogliti, sei tesissima, mica devi andare a morire?!
A me pareva di sì, che la morte fosse vicina.
Salimmo in camera.
– Siediti sul letto, io vado un attimo in bagno – disse.
Eseguivo meccanicamente i suoi ordini. Lo sentii tornare dal bagno.
– Allora, sei pronta? – chiese.
– Sì – risposi senza esserlo, ormai rassegnata.
Si sedette sul letto accanto a me.
– Inginocchiati – mi guidò.
Mi inginocchiai come di fronte ad un altare con le gambe tremanti. Andrea si calò i pantaloni, se li tolse, poi si tolse le mutande. Il suo membro era in piena erezione di fronte a me.
– Prendilo – mi disse.
– Non ce la faccio! – era più forte di me.
– Devi farcela! – gridò alterato.
Cercai di farmi coraggio, pensai al mio ragazzo; avevo rapporti orali con lui, quindi dovevo essere preparata, ma stavolta era diverso. Comunque, cominciai ad abbassare il viso. Non appena vide il movimento, Andrea mi cinse la testa con le mani e mi facilitò. Mancava poco al contatto; finché non aprii la bocca e introdussi quell’arnese pulsante in me. Andrea emise subito un gemito di piacere, mentre mi spingeva la testa a sé. Lo avevo inghiottito per metà, sentivo le sue vene battere, la sua carne calda, la sua cappella ingrandirsi; temevo di strozzarmi. Tenevo gli occhi chiusi per alleviare il mio disgusto; poi Andrea mi disse:
– Muovi la lingua, dai!
Cominciai a passare la lingua su quel membro che pareva non finire mai di crescere e che oramai mi riempiva la bocca completamente. Andrea era in estasi, lo sentivo, doveva essere il suo primo rapporto orale e, forse, il suo primo rapporto in assoluto.
Aprii gli occhi e mi vidi come quelle attrici dei film porno. Solo che quello che stavo facendo era un incesto! Continuavo a succhiare, quando sentii le mani di Andrea abbandonare la mia testa e armeggiare su di lui; realizzai che si stava spogliando nudo. Dopo di che portò le mani sulle mie spalle e cominciò a togliermi l’accappatoio. Io mi fermai immediatamente e lo guardai, lui mi fece cenno di continuare. Ero riuscita a infilarmi le mutandine mentre uscivo dal bagno, ma per il resto, sotto l’accappatoio, ero nuda. Mi dava fastidio il fatto di mostrarmi nuda (o quasi) davanti a mio fratello, ma mi sottomisi anche a questa tortura. Rimasi in mutande, lui era nudo.
Con una mano mi teneva la testa, con l’altra aveva iniziato a palparmi il seno. Sentivo l’eccitazione crescere in lui, mentre io mi stavo abituando alla situazione. Dopotutto, pensai, non c’è niente di male.
Ad un tratto, mentre continuavo a succhiarglielo, lo sentii tremare, capii che stava per venire. Istintivamente tirai indietro la testa, ma lui con le sue mani me lo impedì, stringendomi a sé mentre evidentemente aveva perso il controllo, stava godendo tantissimo, aveva il viso sfigurato dal piacere, mentre stava per eruttare il suo sperma dritto nella mia gola.
Il mio ragazzo non mi era mai venuto in bocca, sapendo che la cosa mi infastidiva. Per cui cominciai ad avere paura; riuscii ad allentare un minimo la sua stretta, finché non sentii la voce di Andrea riecheggiare nella stanza:
– Mamma mia che bello!
Uno, due, tre, quattro fiotti di sperma calda mi inondarono la bocca. Rimanemmo così per qualche secondo: Andrea esausto con le mani intorno alla mia nuca; io, in ginocchio davanti a lui, con il suo membro in bocca e con lo sperma che mi colava dal labbro inferiore. Lui non so a che stesse pensando, ma sicuramente doveva sentirsi in paradiso; io stavo riflettendo che tutto sommato il sapore dello sperma maschile non era poi così male e che, in ogni caso, potevo sempre sputarlo se non volevo ingoiarlo.
Mi rialzai, vidi Andrea sdraiato di traverso sul letto, esausto. Aveva un sorriso stampato sul viso, e io ero soddisfatta di averlo fatto felice. Anzi: a dire il vero ero contenta, alla fine non mi era neanche dispiaciuto.
Andai in bagno per ripulirmi: avevo la bocca sporca di sperma ed era colato anche sulle tette.
Cominciai a sciacquarmi sulla vasca, quando sentii Andrea entrare nel bagno. Istintivamente mi girai coprendomi il seno con l’asciugamano.
– Mi hai appena fatto un pompino e ora ti vergogni di farmi vedere le tette? – mi disse.
Gli sorrisi come meglio mi riuscì, dopotutto mi sembrò di esser stata brava, a fargli avere una esperienza del genere, che suppongo poi per lui fosse la prima.
– Volevo ringraziarti, sei stata fantastica – continuò – non avevo mai provato niente di simile…
– Grazie, anche tu non sei stato male per essere la prima volta… – e lo vidi arrossire un po’.
Poi ritornando spavaldo:
– Senti Diana, ti posso chiedere un altro favore?
– Cosa c’è?
– Devo farmi la doccia, la faresti con me? Ti prego, con tutto il cuore…
– Però ho già pagato pegno, ora non sono obbligata! – dissi d’impeto, senza ragionare, ma sentendomi un po’ in colpa.
– Ti prego, se lo fai, giuro che per quest’anno non devi più aiutarmi a fare i compiti…
Sapeva come tentarmi, e poi io già ci stavo pensando. E oltretutto l’offerta era piuttosto interessante. Pensai che avrei fatto un’altra azione bella, che in fondo non mi costava niente (anzi…) e che avrei avuto molti più pomeriggi liberi e senza pensare troppo dissi:
– Va bene, però ricordati che hai promesso!
– Sì, sì, prometto!
Andrea, ancora nudo, entrò nel box doccia ad aspettarmi.
– Devo togliermi anche le mutandine? – chiesi ingenuamente e non so se con una speranza o col suo contrario.
– Tu che dici? – rispose aprendo l’acqua.
Mi tolsi quel che restava e con la farfallina coperta di una lieve peluria bionda entrai nella doccia.
Andrea mi vide, trasalì e disse: – Sei stupenda, Fabio è davvero fortunato.
– Grazie – dissi, piena di me.
Poi prese una spugna, la riempì con del doccia-schiuma e cominciò a massaggiarmi la schiena; mi piaceva, devo dire che ci sapeva fare. Continuò a massaggiarmi, le cosce, le gambe, il seno, il ventre, poi passò alla figa. Oramai eravamo senza freni, anch’io sentivo crescere l’eccitazione in me e probabilmente Andrea lo sentiva, tant’è che il suo arnese cominciò a tornare duro; me ne accorsi perché mentre mi massaggiava la schiena lo sentii strusciarmi il sedere.
A quel punto, Andrea fece un passo estremo, strusciandomi il membro tra le natiche fino a che, sentendomi mugolare, non prese a baciarmi sul collo mentre le sue mani mi toccavano dappertutto, con la destra mi stringeva un seno mentre con la sinistra mi cercava la farfallina; e io non ero da meno, lui si strusciava e io lo stringevo a me, con una mano gli cercavo il membro e con l’altra lo spingevo contro la mia schiena.
Poi mi girò di fronte a lui e mi baciò in bocca, le nostre lingue si intrecciarono per una ventina di secondi almeno, mentre il suo membro strusciava sui peli del mio monte di venere. Eravamo pazzi l’uno dell’altro, in quel momento non eravamo fratelli; ci guardammo e quello sguardo valse più di mille parole. Uscimmo dalla doccia e ci asciugammo. Poi Andrea mi prese in braccio, nudi tutti e due, e mi portò nella camera da letto che trasudava della nostra eccitazione. Mi stese sul letto con cura, poi salì sopra di me e iniziammo a baciarci; era affamato.
La sua lingua passava sul mio corpo, mi leccò tutta finché non arrivo al frutto del piacere. Guardò la mia passerina ancora umida di doccia e ci si tuffò a capofitto; iniziò a mordicchiarmi il clitoride e a leccarmi le grandi labbra. Poi infilò la sua lingua con decisione e mi fece sussultare; strinsi le mie gambe intorno alla sua schiena e cominciai a gemere. Mi stava facendo impazzire con la sua lingua, sentivo che non avrei retto a lungo. E infatti dopo l’ennesimo colpo di lingua venni nella sua bocca: Andrea ingurgitava famelico. Esausta lo vidi inginocchiarsi sul letto, mi guardò, vidi il suo arnese completamente eretto.
– Vuoi? – mi disse.
Appoggiai la testa da un lato con un sorriso languido, e gli bastò come risposta.
Si prese il pene con una mano e lo appoggiò sulla mia fessura.
Allargai al massimo le gambe per facilitarlo finché lui, con estrema dolcezza, entrò dentro di me. Mi avvinghiai a lui allacciandogli le gambe dietro la schiena, mentre iniziava a pompare. Spingeva, e ogni volta il suo cazzo arrivava più in fondo e la mia eccitazione raggiungeva limiti inimmaginabili. Cercava di penetrarmi sempre più a fondo, io venni un’altra volta e, vedendolo sfiancato, gli dissi di fermarsi.
Lo feci stendere, il suo membro puntava ancora in alto, come un missile in rampa di lancio. Mi misi in piedi sul letto con i piedi intorno ai suoi fianchi; poi cominciai a scendere. Gli tenni quell’arnese con una mano e lo introdussi dentro di me; feci più fatica ad introdurlo completamente a causa della posizione, ma riuscii nell’intento. A quel punto cominciai a dimenarmi su di lui, prima lentamente, per poi crescere sempre di più; il ritmo divenne forsennato, ci muovevamo in sincronia come due pazzi; io rivenni quasi subito, ma continuai a pompare.
Ad un tratto vidi il viso di Andrea paonazzo; stava per venire anche lui. Lo sentivo pulsare dentro di me, finché non mi venne nella figa e io con lui. Mi stesi sopra di lui completamente e rimanemmo così, abbracciati, per molti minuti; di tanto in tanto, Andrea dava ancora qualche colpetto, spingendosi ancora a fondo e facendomi sentire piacevolmente intorpidita.
Poi Andrea si rialzò. – Grazie, è la cosa più bella della mia vita – mi disse. Si lavò, si rivestì, e riuscì perché avrebbe dovuto far finta che ritornava da scuola quando sarebbe tornata mia madre. Io mi ricomposi e ripensai a quello che avevamo fatto. Non andava bene, non poteva andare… io così giovane, e lui pure! E pure fratelli… era grave, è vero. Ci pensavo e ci ripensavo sopra, ero rosa dai sensi di colpa, ma anche… dal desiderio di riaverlo. Ed ero preoccupata.
Per tutta la giornata e nei giorni seguenti temei di essere rimasta incinta; feci il test, negativo. La vita tornò a sorridermi.
Da quel giorno, però, come dire… diciamo che non ho poi smesso di dargli delle ripetizioni, anzi: io e Andrea abbiamo rapporti sessuali ogni volta che ha successo a scuola, e devo dire che da quel giorno di marzo in poi è molto maturato. Probabilmente sono io che sono diventata più pazza; lui è per me il convivente e l’amante ideale.
Per festeggiare il suo Diploma, anche se il voto non valeva molto la pena, siamo andati un giorno al mare, ma poi il mare non lo abbiamo quasi visto. E adesso che va all’università, a ogni esame superato ci dedichiamo a noi per tutta una notte, tutte le volte che vogliamo. Quando mi sono laureata, mi sono concessa quasi venti giorni di vacanza in Sardegna: la prima settimana con Fabio, che poi però doveva tornare a Roma a lavorare; e allora, gli ultimi dieci giorni…
A parte le volte che semplicemente ci prende di amarci senza altre questioni, poi. Ogni tanto, ad esempio, se non c’è lezione o non vogliamo andarci (sto studiando per la specialistica), dopo colazione andiamo a salutare il papà e mamma che vanno a lavoro: e appena chiudiamo dietro la porta, lui è già dentro di me, fino in fondo, fino all’ultima spinta.
Poi, io personalmente adoro farlo a letto, magari nel letto dei nostri genitori, adoro quando lui è sopra di me e spinge in modo delicato ma deciso, con forza ma senza violenza, fino a che non sgorga per depositare dolcemente tutto ciò che ha dentro la mia grotta… O adoro le volte che voglio esser presa in modo deciso, le volte che voglio sentirlo in tutta la sua forza, quando gli dico: – ti prego, sfondami… – e lui per tutto il tempo mi dà dei colpi addosso con tutta la forza di cui è capace il suo bacino. O quando gli dico di punirmi perché io desidero solo il mio fratellino.
O ancora, quella volta che ho voluto che mi legasse le braccia alla spalliera del letto e che mi possedesse a lungo in una sola posizione, quella volta lì ho sofferto per non poterlo stringere a me, mentre vedevo la sua faccia stravolta dal piacere, mentre mi veniva dentro; infatti poi, senza farlo uscire, mi sono fatta slegare e siamo rimasti fermi così, io sotto e lui sopra, mentre lo abbracciavo a me e mentre vedevo lui, col membro spinto fino in fondo dentro di me, con il culetto tutto contratto, che dava ancora qualche colpetto, contraeva le natiche per spingere fuori il suo seme con più forza, i muscoli delle gambe contratti dal piacere mentre io lo stringevo a me con tutti gli arti, le braccia che gli carezzavano le spalle mentre le mie gambe rimanevano attorcigliate sulla sua schiena. Lui usciva un poco il cazzo da me, giusto un qualche centimetro, e poi lo rimetteva tutto dentro con decisione, come a spingere lo sperma ancor più dentro di me, io che sono ormai il suo amore, il mio amore…
Neanche io capivo come mai non lo avevo fermato prima e come mai non lo fermavo questa volta, e come mai lasciavo che lui stesse ancora dentro; finché lui non mi disse di non aver mai goduto così tanto, che il mio corpo era meraviglioso e che era fatto per il piacere; correvamo un grosso rischio, ma per lui era divino sentire i fiotti del suo sperma schizzare dentro il mio utero, e per me era fantastico sentirmi riempita in quel modo, sentire il suo desiderio di me mentre mi era dentro, sentire il modo in cui il suo seme si adagiava dentro la mia passerina, sembrava quasi che lui ce lo depositasse con cura.
E l’idea che lui, il corpo e il ragazzo che amo di più, l’uomo per il quale il mio corpo è stato fatto per il piacere, – per il tuo piacere – gli dicevo, il fatto che lui potesse inseminarmi rendeva tutto ancora più eccitante.
E poi quella volta che l’abbiamo fatto nel box doccia mentre papà e mamma erano a casa e mentre lui aveva fatto finta di uscire; lui si preoccupava del fatto di venirmi dentro, ma fu quella la volta che gli dissi apertamente di non farsi problemi, perché io volevo solo sentirlo dentro e sentire il suo sperma allagarmi dentro, e che tanto, per il resto e per qualsiasi problema, c’era Fabio (ormai sono cinque anni che stiamo assieme, e l’idea di sposarsi si sta facendo strada). E poi, e poi… e così via.
In un primo tempo ho anche preso la pillola per non avere rischi; ma poi, da quando Andrea si è diplomato, ho smesso di prenderla, è molto più rischioso ma bello così, perché così io e lui ci amiamo del tutto, in modo completo; e fatto sta che Fabio non mi viene dentro quasi mai (quelle rare volte, è giusto per dargli una scusa), per Andrea invece è la regola…
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