Di Libertà e Schiavitù – Cap. 2 – La Stanza

STACK….STACK…Il tipico suono delle luci al neon che si accendono la risvegliò dal sonno disturbato in cui si era assopita. Uno dei pochi impegni rimastigli tra un risveglio e l’altro. Dopo tante ore di silenzio, il ticchettio delle lampade al neon appese al soffitto pareva un tuono, tanto forte da romperle le orecchie, e la sua luce bianca, dopo giorni di buio, risultava così forte da farle male, obbligandola a ripararsi gli occhi con le mani. Cercare di coprire la sua nudità d’altronde era inutile, visto che qualcuno l’aveva pur spogliata e messa li. E in ogni caso, sporca com’era, immaginava di essere tutto fuorché eccitante. Sbagliando. Ovviamente si vergognava ad apparire in quello stato, ma questa era l’ultima delle sue preoccupazioni ora. In realtà le frullavano per la mente tutta una serie di domande; dove sono? Perché sono qui? Cosa posso avere mai fatto? A chi poi? Non aveva nessun ricordo particolare della sera prima del suo risveglio in quel posto. Ricordava soltanto di essere uscita a fare jogging alla solita ora, verso le 19.00. Si, era l’ora dell’aperitivo, o dell’apericena come va di moda dire oggi, ma a lei non piaceva molto la vita mondana e in ogni caso, essendosi trasferita da poco, non conosceva nessuno o quasi. Così verso sera, preferiva estraniarsi dal mondo, con le sue AirPods nelle orecchie e la sua playlist su Spotify. Indossava le sue scarpe da Running ed il suo completo sportivo, tutto rigorosamente Nike, con la scritta nera “Just do it” sul top aderente bianco, portato senza reggiseno, a lasciar intravvedere il segno dei capezzoli e gli shorts neri che mostravano le gambe ben tornite e la base delle sue chiappe scolpite . Non era una civetta ma ci teneva al suo corpo e non le dispiaceva mostrare i frutti dei suoi allenamenti. Non era una ragazza facile, aveva avuto pochi compagni e tradire non era nel suo stile, ma non le dispiaceva sentire gli sguardi dei ragazzi che incrociava quando usciva. L’ultima cosa di cui si ricordava comunque era l’inizio di “Shape of you” di Ed Sheeran lanciato nelle sue orecchie dall’iPhone XS che teneva nella fascia al braccio sinistro.

>

L’ordine e la voce autoritaria la fecero trasalire. Persa nei suoi pensieri, accecata e stordita dal rumore delle lampade e dalla luce, non si era accorta che fosse entrato qualcuno nella stanza. E infatti non era entrato nessuna, sentì il rumore di passi avvicinarsi fin dietro alla porta, che finalmente riusciva a vedere. Con fatica, cercò di raddrizzarsi nonostante le ossa e le giunture indolenzite per la posizione scomoda e l’aver dormito sul pavimento bagnato dalla sua stessa urina. Nel farlo cominciò a guardarsi intorno. La stanza non era affatto piccola, ed era parzialmente arredata, certo non come avrebbe arredato casa sua. Si trovava non lontano dalla parete alle sue spalle, opposta a quella in cui c’era la porta. Se solo fosse riuscita ad allungare le gambe altri 10 cm l’avrebbe toccata. Era tutto bianco, mobili, pareti, soffitto e pavimento. Questo non era in pietra come aveva pensato sentendolo ruvido al tatto, sembrava più un grès porcellanato con una lavorazione che ricordava la pietra naturale, realizzata con piastre rettangolari molto grandi e fughe pressoché inesistenti. Era quasi impercettibile, ma c’era una leggere pendenza del pavimento che portsvs verso la linea in cui incontrava la parete alle sue spalle, dove c’era una grata di scolo che si sviluppava per tutta la parete. Qua e là nel soffitto oltre alle luci al neon erano appese delle docce. La parete alle sue spalle era disseminata di anelli in ferro di varie dimensioni, disposti in ogni dove. Contro la parete alla sua destra vi era un lungo banco da lavoro con tanto di morsa, e trapano a colonna. Sopra a questo era appesa al muro una rastrelliera chiusa con un inferriata da un lucchetto con all’interno ogni sorta di attrezzo da lavoro, chiavi inglesi, cacciaviti, brugole, martelli, ed oltre a questi, altri tipi di attrezzi, manette, dildi, plug, palline, fruste, bastoni e altre cose di cui non conosceva ne il nome, ne l’esistenza, ne la funzione. Nulla di promettente in ogni caso. Vicino la parete opposta, a sinistra, vi era una sedia di legno, grezza, priva di qualsiasi imbottitura, non era nemmeno verniciata, e il legno presentava varie macchie, fori e graffi, dovuti ai vari ospiti che aveva servito. La seduta presentava un grosso foro al centro e sotto di questo vi era un vecchio secchio di ferro, ammaccato in più punti. Subito capì che si trattava del bagno. Sempre meglio che farsela addosso, pensò. Fissato al muro vi era anche un rubinetto ed un piccolo ripiano. C’era inoltre, nell’angolo tra la parete sinistra e quella di fronte, un futon di quelli giapponesi, dall’imbottitura quasi inesistente, con sopra quello che sembrava un vecchio e logoro sacco di iuta. La parete frontale infine, oltre alla porta in ferro posta esattamente al centro, era completamente spoglia, eccetto le telecamere poste nei due angoli contro il soffitto, una bocchetta d’aerazione in alto a destra e quello che sembrava essere un piccolo speaker. Qui, vicino al muro, vi era inoltre un vecchio attaccapanni a treppiede di legno. Laura pensò che la cosa fosse quantomeno bizzarra visto che non indossava nulla, ma forse non sarebbe servito a lei. Nessuna finestra.

>
La voce proveniva dallo speaker in alto a destra.
> lo interruppe lei >
Una scossa fortissima la fece cadere a terra, tremante, facendola finire con le gambe tra le sue feci del giorno prima.
> riprese la voce
> riuscì malapena a dire prima che una nuova scossa proveniente dal collare e dalla catena le percorresse tutto il corpo facendole battere i denti.
>
Piangeva Laura, non riusciva a capacitarsi di quanto le stava accadendo. Perché? Era l’unica parola che continuava a ronzargli in testa. Quasi non riusciva neanche a sentire quello che gli veniva detto attraverso l’interfono. Le due scosse che aveva subito erano state fortissime e ancora gli doleva il collo. Con l’ultima scossa gli spasmi erano stati così forti che si era pisciata nuovamente addosso. Non che la cosa ormai facesse una grande differenza. Si udì uno “sclang”, come un meccanismo che veniva sbloccato.
>
Laura guardò perplessa la porta
> iniziò a protestare. Subito un’altra scossa più forte delle precedenti la fece contorcere nuovamente a terra. Nel suo contorcersi arrivò col suo ventre sui suoi escrementi e allora capì che il suono di prima era la catena che veniva sbloccata. Scoprì che la catena non era fissata al pavimento come le era parso e che la piastra a terra aveva un foro di dimensione inferiore a quella dell’anello più grande che fungeva da fermo. Dal foro della piastra era possibile far scorrere la catena in entrambe le direzioni essendo quest’ultima ben più lunga di quanto aveva creduto. Poteva quindi essere rilasciata, bloccata o ritirata a piacimento. Si avviò carponi verso la porta cercando di non inciampare nella catena e lasciando una scia di sporcizia sul suo percorso. A causa delle scosse, delle giunture indolenzite e della debolezza causata dal digiuno e dalla fame non riusciva a reggersi in piedi.
>
Si sentì un rumore metallico, uno sfregamento di ferro su ferro seguito da un cigolio. Il suo aguzzino aveva aperto un passa vivande, nella porta, all’altezza della cintura e le stava mostrando il suo sesso, diritto, tenuto saldo da una mano nodosa. Indossava dei pantaloni e camicia scuri e le mani se pur grandi e nodose erano curate.
>
Laura raggiunse la porta, sentiva l’odore del sesso eretto dell’uomo, era un odore forte e pungente. Riusciva a sentirlo nonostante quello che si portava addosso. Chiaramente non voleva farlo, ma di sopportare un altra scossa come l’ultima proprio non se ne parlava. Le serviva tempo. Doveva capire come uscire da quella situazione e come c’era finita. Lo prese tra le mani.
>
Subito Laura ritrasse le mani. Iniziò quindi a lavorare di bocca, leccando la cappella turgida dell’uomo con finta passione e desiderio, ad un certo punto, iniziò a sentire un involuto prurito alle parti basse. Possibile che la cosa la stesse in qualche modo eccitando? Anche i capezzoli parevano risvegliarsi, stando diritti e puntando alla porta come fossero attirati da essa.
>
Senza chiudere la bocca, Laura iniziò a piangere, il suo ex ragazzo gli aveva già chiesto di metterglielo in gola, ma lei non c’era mai riuscita per davvero. Appena arrivava alla giugolo, le venivano i coniati di vomito ed iniziava a tossire. L’uomo le afferrò la nuca stringendole i capelli e la tirò a sé, ficcandole tutto il sesso in gola. Tenendola ferma iniziò a scoparla violentemente entrando ed uscendo ripetutamente senza ma uscire dalla bocca. Laura iniziò a salivare copiosamente cercando di deglutire la saliva in eccesso e respirando nei pochi momenti in cui il sesso dell’uomo si infilava a lato, tra le mandibole e le guance. Si accorse che nonostante la situazione, l’interno delle sue cosce grondava piacere. Si vergognava di se stessa. Lui continuò a penetrarla con violenza mentre la insultava. Verso la fine, mentre gli ansimi dell’uomo aumentavano, le tenne con due mani e le affondò il sesso in gola, premendole forte con le sue palle pelose contro il mento. Il suo sesso era di dimensioni generose e lo sentì pulsare sulla lingua ed in gola. Mentre urlava di piacere, i suoi succhi le fluivano direttamente nello stomaco. Il sapore del suo sperma, misto salato dolciastro , lo sentì soltanto alla fine, quando lasciando riposare il sesso nella sua bocca attese che lo ripulisse per bene succhiando e leccando. Un pò per disperazione, un pò per fame, e un pò per il fatto che erano tre giorni che non mangiava nulla, riuscì a non vomitargli addosso.
>
Laura ci rimase malissimo. Credeva di essere riuscita a fare quanto le era stato chiesto.
>
Laura riprese a piangere.
>
Singhiozzando Laura esegui, assumendo senza saperlo la posizione della schiava. D’un tratto iniziò a scenderle sul volto un fiotto di liquido caldo e puzzolente. Le stava pisciando addosso! Non poteva crederci!
>
Le disse mentre continuava a pisciare indirizzandone il getto dai capelli alla bocca.
>
Farfugliò lei con la bocca piena di piscio.
>
E così dicendo si fece pulire il pene dalla bocca di Laura e lo rimise nei pantaloni.
>
L’uomo finse un certo disappunto nella voce. Si stava completamente prendendo gioco di lei. Aveva fame. Fame da morire.
>
La guardò facendo alcuni passi indietro attraverso il passa vivande, nascosto nel buio della stanza adiacente, attese che lei rispondesse alla domanda con lo sguardo, come insegnatole poco prima. Laura cercò di pensare a casa sua e ai suoi genitori, una realtà che le sembrava ormai anni luce lontana da quella che stava vivendo ora. Si commosse e tentò un timido sorriso mentre cercava invano il suo volto nel buio dello spazio fuori dalla sua stanza. O doveva chiamarla cella?
>
E così dicendo si allontanò. Per un attimo Laura pensò di disubbidire alla folle richiesta ma si ricordò subito delle telecamere appese alle pareti. Si sarebbero sicuramente accorti della sua disobbedienza e non voleva nemmeno pensare a quale potesse essere la punizione se non avesse obbedito all’ordine. Si ritrovò quindi china a succhiare il piscio di quell’uomo dal pavimento pur di ottenere il cibo avanzato dal cane. Aveva fatto carriera! Pensò tra se e se. Il senso dell’umorismo non le era mai mancato. Ma questo era veramente troppo anche per lei e riprese a piangere, ritrovandosi a leccare piscio e lacrime. Salato per salato. Si disse da sola.
>
Era tornato. L’uomo sputò nella ciotola di latta e la gettò all’interno della stanza, facendo fuoriuscire parte dei resti della cena del cane. Laura cercò di raccogliere quanto era finito sul pavimento a mani nude, ovviamente non aveva altri mezzi a disposizione. Lui riprese a parlare.
>
L’uomo se ne andò senza un cenno di saluto. Dal trattata di primo non si aspettava molto di più. Aveva appena terminato di raccogliere gli avanzi e rimetterli nella ciotola che si spense nuovamente la luce. Risuonò un rumore metallico e la catena fissata al suo collare cominciò a ritirarsi, mossa da un motore elettrico che emetteva un leggero ronzio, sovrastato dal rumore. Della catena che scivolava sul pavimento e attraverso l’imboccatura della piastra, riportandola verso il giaciglio dei giorni precedenti. Perdette l’equilibrio e cercò disperatamente di salvare il salvabile della sua cena mentre veniva trascinata per il collo ad un metro dalla piastra a terra. Fortunatamente, la cena del cane era composta a sua volta dagli avanzi della cena di qualcuno e non da croccantini e bocconcini per cani. Si trattava di un trito di pollo, pasta e verdure, freddo, unto e mezzo masticato. L’idea che ci avesse infilato il muso un cane sbavandoci dentro non la faceva certo impazzire ma non potè fare a meno di iniziare a toccarsi ripensando a quanto era successo, a quel cazzo nella sua bocca, al suo sperma, a lei nuda e sporca, chinata a raccogliere il piscio di quell’uomo dal pavimento.
Raggiunse l’orgasmo, venendo copiosamente, umori tra le sue dita e la catena, lo fece, senza rendersi conto di essere nuovamente salita sull’anello che faceva da fermo alla catena, scopandoselo. Infine, sfinita, si addormentò.


Visualizzazioni:
328

Dominazione

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Promoted Brunette Cosplayer OnlyFans Model Luna
Promoted Blonde MILF OnlyFans Model Amy