“All’ ingresso in Puglia l’ autostrada si fece ancora più scorrevole, abbandonandoci a noi stessi per lunghi tratti e la situazione si era scaldata: Dalia si…”
Un sorso di caffè dal thermos, finestrino socchiuso per far uscire il
fumo della sigaretta tra le dita, Virgin Radio ad accompagnarmi lungo l’ autostrada semideserta: ho sempre adorato viaggiare di notte, lontano dal traffico e dal sole cocente dell’ estate inoltrata; mi aspettava un lungo viaggio fino in Basilicata dove ci attendevano mia madre, i miei suoceri e Jasmine, e poche ore di sonno avevano preceduto la partenza nel pieno della notte.
All’ altezza del nodo di Bologna mi soffermai qualche istante a guardare Dalia al mio fianco, che aveva mantenuto per poche ore la consueta promessa di tenermi compagnia prima di assopirsi sullo schienale leggermente reclinato: il viaggio che ci attendeva era lungo e ci avrebbe accompagnato un caldo umido e appiccicoso, pertanto indossava una minigonna di jeans e una mia canottiera; già, la canottiera… Dalia è alta 1.70 per 55 kg, mentre io sfioro i 1.90 e supero i 100kg, per cui le mie canottiere le potrebbero fare da abito; ciononostante lei adorava indossarle, aveva preso il vizio di rubarmene un paio quando eravamo fidanzati e le indossava come pigiama, per sentirmi su di lei anche quando non dormivamo insieme… tenera… Alcune le usava così come sono, senza nulla sotto, come vestito da casa; altre le indossava con gli shorts, pertanto le tagliava appena sopra l’ ombelico: per questo viaggio, in tappa unica solo io e lei e in gran parte notturno, scelse la comodità e optò per una di queste; adesso, addormentata ed inerme in balia delle curve e delle oscillazioni del veicolo, non coprivano un bel nulla, dato che un seno era sbucato fuori quasi completamente dalla spallina sinistra e l’altro faceva capolino al centro; al di sotto del taglio sartoriale (non più di 5 dita dallo scollo, in effetti questa l’aveva tagliata molto in alto, sembrava quasi un reggiseno, ma molto più largo e senza sostegno) il mio sguardo seguì il suo ventre oltrepassando l’ ombelico decorato da un piercing con pendente di cristallo, e giungendo alla minigonna, che era risalita lungo le cosce al punto da far intravedere le grandi labbra scoperte da ogni genere di mutandina, ormai abolite del tutto; le sue meravigliose gambe tornite ed abbronzate si abbandonavano lungo la seduta fino a scendere ai piedi, curati, smaltati di rosso e decorati da cavigliera, anellino al secondo dito e tatuaggio, che erano evasi dagli zoccoletti tacco 10 di vernice rossa che giacevano sul tappetino.
La conoscevo ormai da quasi 20 anni, l’avevo vista in tutti i modi, scopata in tutti i buchi e vista sbattuta da chiunque sotto i miei occhi, eppure non riuscii a non ritrovarmi in un istante con un’ erezione poderosa; diedi uno sguardo fugace all’ autostrada mentre gettavo il mozzicone dal finestrino, poi con la mano destra la accarezzai dolcemente il seno, continuai sulla pancia e arrivai all’ orlo della minigonna, che sollevai un po’ fino a scoprire completamente la sua fica, che aveva accuratamente depilato prima della partenza lasciando solo un piccolo triangolino di pelo sul pube: era meravigliosa, azzerai il volume della radio per ascoltare il suo respiro esalato tra le labbra socchiuse mentre i lampioni illuminavano a intermittenza il suo magnifico corpo seminudo; quasi andai a sbattere contro un camper che viaggiava a lentezza disarmante, frenai di colpo e scartai alla sua sinistra, sorpassandolo; la brusca manovra sembrò svegliarla, ma dopo un mugugno voltò il viso dall’ altra parte, cambiò leggermente posizione e riprese a dormire; così era ancora meglio: adesso i seni erano entrambi quasi completamente usciti dalla canottiera e le cosce, ora più divaricate, offrivano un’ occasione troppo allettante; mi inumidii il medio della mano destra e cominciai a passarglielo delicatamente tra le grandi labbra, allargandole sempre di più; quando le sfiorai il clitoride ebbe un sussulto e, non prima di un altro mugugno, chiuse le gambe e si girò sul fianco, dandomi le spalle; certo, il suo fantastico culo era nudo almeno per metà sotto l’ orlo della mini rialzata e sembrava chiamare la mia mano con insistenza, ma decisi che era meglio lasciarla dormire e concentrarmi sulla guida.
Purtroppo, concentrarmi non era la cosa che mi riusciva meglio da qualche giorno, dopo la cena aziendale e il discorso del boss il mattino seguente, anzi, a dire il vero non riuscivo a pensare ad altro; nel corso dell’ ultimo anno avevo lasciato che mia moglie venisse scopata da negri, pensionati, camionisti, mio cognato, mio nipote e innumerevoli clienti del pub di Salvatore, quindi non è che potessi fare tanto il sofisticato: ma il pensiero che mia moglie lavorasse nella mia stessa azienda e che diventasse la troia personale del mio capo, sotto gli occhi di tutti i miei colleghi, era una faccenda ben differente e proprio non riuscivo a digerirla; d’altra parte Giacomo era stato estremamente chiaro: o così, o licenziato, e sfruttando le enormi conoscenze che aveva, verosimilmente senza lavoro per chissà quanto tempo; cos’avrei fatto nel caso? Dalia prendeva cazzi in ogni buco 5 giorni alla settimana portando a casa meno di mille euro, che non sarebbero mai bastati per tirare avanti in tre; l’alternativa sarebbe stata due stipendi fissi per un totale di quasi tremila euro, con mia moglie a disposizione di un porco solo, il mio capo.
Cominciavo quasi a pensare che la situazione non fosse poi così tragica, quando venni destato dal suono della spia del carburante: mi accorsi solo in quell’ istante che stava per albeggiare ed eravamo ormai quasi a Rimini; mi fermai pochi chilometri dopo alla prima area di servizio, scesi dalla macchina lasciando Dalia ancora addormentata e, dopo aver chiesto al garzone di fare il pieno e dare una pulita ai vetri, mi recai all’ Autogrill per comprare le sigarette e recarmi alla toilette; quando dopo 10 minuti fui di ritorno, vidi il garzone che indugiava col panno di daino sul parabrezza, sul lato del passeggero, mentre la pompa del gasolio era ancora inserita nel serbatoio; avvicinandomi alla vettura notai che Dalia, illuminata dai neon della stazione, aveva nuovamente cambiato posizione e adesso era tornata supina, con i seni fuori dalla canottiera e le gambe oscenamente aperte sotto la mini arrotolata in vita; il garzone era quasi spalmato sul parabrezza, mentre con una mano puliva sempre lo stesso punto e con l’ altra si toccava energicamente il gonfiore sui pantaloni della tuta; come biasimarlo, pensai tra me e me lasciandogli ancora qualche istante per riempirsi gli occhi di tutto quel ben di Dio offerto in maniera così plateale, quella troia di mia moglie si era messa in mostra in tutto il suo splendore; mi chiesi se davvero l’avesse fatto nel sonno o se invece non l’avesse fatto apposta.. Sarei rimasto lì ancora ad ammirare la scena, a dire il vero glie l’avrei anche fatta inculare sul cofano, ma non avevamo tutto il giorno e l’ alba avrebbe riempito le autostrade dei viaggiatori giornalieri. “Tutto a posto?” squarciai il silenzio giungendo alle sue spalle, “Eh? Si, si,…” replicò il garzone inebetito come se fosse stato destato da una secchiata d’acqua gelida; “la pompa?” aggiunsi io maliziosamente, “Scusi?” mi rispose confuso dopo un’ altra occhiata all’ interno dell’ abitacolo; “la pompa del gasolio, dico, che fa? La toglie o me la porto via?” spiegai sorridendo; “Ah, no, mi scusi, la tolgo subito…” sbuffò avviandosi verso lo sportello del serbatoio, lato destro, senza perdere occasione di ammirare Dalia da un’ altra angolazione attraverso il finestrino; risalii in macchina e ripartii, godendomi nel retrovisore la scena di lui che con una mano si sistemava il gonfiore nei pantaloni e nell’ altra reggeva ancora la pompa del diesel.
All’ altezza di Ancona il sole era ormai sorto da un pezzo e cominciò a baciare il volto della mia mogliettina, che finalmente aprì gli occhi e si alzò dallo schienale; si guardò intorno con aria confusa, poi imprecò contro il sole che l’aveva svegliata e, dopo un’ occhiata alla sua mise e un apparentemente infastidito “Ma sono nuda!”, si abbassò la minigonna e raddrizzò la canottiera; “Buongiorno dormigliona. Caffè?” l’unica cosa in grado di svegliarla e farle togliere quell’ adorabile broncio da bambina viziata dalle labbra; “Mmm si grazie…” rispose stiracchiandosi, “ma dove siamo?” aggiunse prendendo il thermos. Che davvero lo spettacolo offerto al garzone sia stato del tutto casuale? Ancora oggi non lo so.
Il viaggio procedeva liscio, senza code né incidenti, alle 8 eravamo all’ altezza di Pescara, circa a metà strada, e ci eravamo lasciati alle spalle le affollate mete della riviera adriatica: Virgin Radio aveva lasciato il posto a Radio Italia e Dalia cantava a squarciagola con i piedi appoggiati sul cruscotto; era euforica, finalmente vacanze anche per noi, sole, mare e relax; le chiesi di togliersi la canottiera e mi accontentò senza esitare: com’ era cambiata la mia mogliettina che fino a un anno fa era tutta un “no, ma sei matto?” e adesso cantava e ballava con le tette al vento mentre sorpassavamo macchinate di famiglie con le biciclette dei bambini sul portapacchi.
All’ ingresso in Puglia l’ autostrada si fece ancora più scorrevole, abbandonandoci a noi stessi per lunghi tratti e la situazione si era scaldata: Dalia si era appoggiata con la schiena alla portiera e mi fissava con lo sguardo di Satana mentre si masturbava a cosce larghe rivolta verso di me; “Che puttana che sei diventata..” mi complimentai appena prima che prendesse una bottiglia di birra dalla borsa frigo e cominciasse a passarsela sui capezzoli e sulla fica rabbrividendo al contatto con la condensa; l’ aprì e ne sorseggiò a lungo, lasciando volutamente colare alcune gocce sul suo seno nudo; adesso avevo rallentato considerevolmente, perché va bene che la strada era sempre dritta, ma proprio non riuscivo a guardarla; fu circa un paio di minuti dopo che Dalia si chinò su di me estraendomi il cazzo ormai gonfio dai bermuda per un maestoso pompino, che venni nuovamente destato dal suono di una spia; “Ancora in riserva? Ma non è possibile!” pensai tra me e me; e infatti no, non era il carburante, quello sarebbe stato sufficiente per arrivare in Sicilia; era la spia rossa dell’anomalia motore, quella generica, quella che vuol dire tutto e niente, ma che solitamente non promette nulla di buono.
“Cazzo..” esclamai mentre Dalia non smetteva di succhiarmelo; “Che c’è amore?” prima di dedicarsi con maestria alle palle, “C’è qualcosa che non va, D” e un secondo dopo il botto, un rumore improvviso e assordante, seguito da una fumata nera avvistata nel retrovisore; “Porca puttana impestata” sibilai decelerando rapidamente mentre mi indirizzavo lungo la corsia di emergenza e Dalia tornò sul suo sedile ormai consapevole che non si trattava del gasolio in esaurimento; mi chiusi la zip dei pantaloni e scesi dal veicolo, aprìì il cofano come se avessi potuto anche solo lontanamente comprendere il motivo del problema, figuriamoci risolverlo, poi tornai sconsolato in macchina.
“Che cazzo ne so, qualcosa nel motore!” risposi nervoso alle richieste di chiarimento di Dalia che mi guardava con quegli occhi da cerbiatta impaurita, ancora a tette di fuori e con la patatina umida; “Dai, passami il libretto dell’ assicurazione che chiamo il carro attrezzi..”
Arrivò dopo una buona mezzora, nella quale la temperatura nell’ abitacolo, con l’aria condizionata spenta, aveva raggiunto livelli insopportabili; salimmo a bordo del carro attrezzi e l’ autista non staccò gli occhi un secondo dai capezzoli di Dalia, ormai sfacciati sotto la canottiera madida di sudore, e dalle sue cosce nude, nonostante lei facesse di tutto per tenere giù l’ orlo della minigonna (quando c’è un problema la preoccupazione la assale e spazza via la troia che è in lei); io stesso ero troppo concentrato sul danno alla macchina che ci seguiva appesa al gancio per godermi la scena di quel panzone con la barba sfatta e i capelli unti incollati sulla fronte, che si mangiava con gli occhi le forme di mia moglie seduta a pochi centimetri da lui; finalmente arrivammo all’ officina convenzionata, in un paesino nell’entroterra della provincia di Foggia, e scendemmo dal carro attrezzi con un senso di sollievo.
Avanzammo nel deserto dell’ officina per qualche metro prima di scovare il titolare che stava con la testa immersa nel cofano di un furgone malandato e quando questi ci degnò finalmente di uno sguardo mi resi conto che quel sollievo era quanto di più effimero: un omone di almeno 150 chili, con enormi baffi neri e pochi capelli che partivano dalla metà del cranio, ma che nel compenso scendevano unti fino alle spalle (ricordava vagamente il pornoattore anni ’80 Ron Jeremy) emerse dal cofano stringendo un mozzicone di sigaro tra i denti; avrà avuto tra i cinquanta e i sessant’anni e indossava una salopette lurida e malconcia a coprire il corpo più peloso che abbia mai visto; mi fissò con un’ espressione di enorme scocciatura, poi si accorse di Dalia: le fece una radiografia completa, analizzando minuziosamente con lo sguardo ogni centimetro del suo corpo, dagli occhi alle labbra carnose, dalla canottiera umida e troppo scollata alla minigonna inguinale, dalle lunghe gambe affusolate ai piedi ornati sugli zoccoli di legno; “Apperò…” esclamò senza alcun contegno, “cosa volete?”. Gli spiegai la situazione e acconsentì quasi come se mi stesse facendo un favore a dare un’ occhiata alla mia macchina; gli spiegavo nel dettaglio cosa era successo, ma non mi ascoltava nemmeno e fissava continuamente il culo di mia moglie che camminava mezzo metro davanti a noi; arrivati alla vettura aprii il cofano, ci infilò le mani più sporche di grasso che abbia mai visto in vita mia e tirò un paio di bestemmie in dialetto foggiano. “E’ la testa”, sentenziò. “Mi scusi?”, lo interrogai dal basso della mia totale ignoranza in fatto di motori, “La testa, dottò, s’è rotta la testata del motore.”, aggiunse spazientito; “Ah…” pur non capendone nulla, compresi che la situazione non era rosea “e adesso?”; “E adesso bisogna spedirla alla casa, che proverà a sistemare il danno, ma è molto più probabile che dovrà fare il motore nuovo…”. A parte il pensiero della spesa, mi concentrai sull’ immediato: “Come spedirla alla casa? Ma noi dobbiamo andare in Basilicata, ci aspettano oggi!” esclamai allarmato; “Eh, oggi…” rispose piccato il meccanico, “è sabato pomeriggio di metà agosto, quel cornuto di mio fratello se n’è andato al mare e io sto qua da solo! E poi cosa pensa, che è come cambiare una gomma? Qui, a lavorare a cottimo, ci vogliono almeno 2 giorni. E io non ce li ho!”.
Mi rivolsi a Dalia che mi stava fissando in silenzio, eravamo a più di 200 km dalla destinazione, in un posto sconosciuto e senza nessuno che potesse venirci a prendere: cosa potevamo fare? Mandare la macchina alla casa madre avrebbe significato perdere l’ intera giornata per le pratiche, raggiungere la Basilicata in treno, fare la ferie a piedi (i suoceri, mia madre e Jasmine erano scesi in pullman) e tornare in treno, nell’ attesa di sapere quando e come recuperare la macchina, con chissà quale spesa astronomica complessiva.
“Mi scusi, voglio capire se ho capito bene” tornai all’ attacco, “ma a quanto mi dice il danno sembra riparabile, giusto?”, “In teoria si..” rispose sbuffando, “Ecco, la prego, stiamo raggiungendo i nostri familiari al mare, c’è anche la nostra bambina, non potrebbe provare a sistemarla?”, domandai in tono quasi supplichevole; “Ma voi siete pazzi” controbattè immediatamente, “ammesso e non concesso che riesco a ripararla, dovrei stare qui fino a stasera e pure tutto domani, che, vi ricordo, è domenica! E c’è il grosso rischio che la riparazione non tenga e tra qualche tempo siete punto e a capo. No, non se ne parla neanche!” sentenziò agitando la mano unta e scappando verso l’ ufficio.
“Insistiamo, amore…” mi implorò Dalia. Lo raggiungemmo nel gabbiotto che era il suo ufficio e ci accolse con una smorfia di chi non ne può proprio più, “Mi scusi se insisto, ma siamo davvero nei guai; non importa se la riparazione è provvisoria, dobbiamo arrivare in Basilicata, appena siamo lì la porto a sistemare per bene, ma adesso dobbiamo levarci da qui. Lo so che le chiedo tanto, lo so che è un week end di agosto e fa un caldo infernale e lei vorrebbe essere con le palle a mollo come quel cornuto di suo fratello, ma le chiedo di aiutarci, siamo nella merda fino al collo e dipendiamo da lei” rintuzzai quasi venerandolo. Il meccanico ci fissò a lungo in silenzio, poi ricominciò: “E quindi secondo lei io dovrei stare qui, con 40 gradi, tutto oggi, stasera fino a tardi e tutta la domenica per fare un favore a voi?”, “Si, la prego..” risposi. “E perché mai dovrei farlo?” indugiò; “Perché farebbe una buona azione e le saremmo enormemente grati” ribattei senza troppa convinzione; “Della buona azione non mi passa nemmeno per il cazzo” scoppiò a ridere sardonicamente, poi spostò nuovamente gli occhi bovini su Dalia che stava in piedi accanto a me, squadrandola nuovamente da testa a piedi, “Della gratitudine invece potremmo anche parlarne…”.
“Cosa intende?” domandai sapendo ormai perfettamente dove sarebbe andato a parare; “Beh, vede dottore…” rispose alzandosi dalla sua poltrona scorticata e aggirando la scrivania ricoperta di scartoffie impolverate, “è da quando siete entrati che guardo sua moglie… è sua moglie, vero?”, chiese girandole attorno per squadrarla meglio, “Si, è mia moglie…” ammisi assecondandolo; “Ecco, sua moglie… dicevo, è da quando siete entrati che guardo sua moglie.. e più la guardo più mi sembra un grandissima zoccola” sentenziò senza mezzi termini fermandosi dietro di lei e annusandole il collo; Dalia restò in silenzio con gli occhi chiusi, avvertendo il fiato torrido dell’ animale sulla sua pelle.
Io non risposi e lui continuò: “Perché per andare in giro vestita, si fa per dire, in questo modo, una dev’essere proprio una grandissima zoccola, non crede?”, insistette appoggiando le sue mani grassoccie e ricoperte di grasso sul ventre di Dalia per poi risalire lentamente fin sotto la canottiera afferrandole i seni nudi; “Perché non mi risponde, dottore? E’ una zoccola o no?” proseguì a mungerle le mammelle a piene mani mentre cominciò a passarle la lingua sul collo fino alle orecchie; “Si, è un gran zoccola” ammisi.
“E lo sapevo io” continuò, “io le zoccole le riconosco subito. Ma questa zoccola qui è pure una zoccola di prima qualità..” si complimentò mentre si inginocchiava e le afferrava l’ orlo della minigonna, “E secondo me è talmente zoccola che scommetto che non tiene nemmeno le mutande…”, si sbilanciò mentre sollevava il tessuto di jeans rivelando le natiche nude di mia moglie; “E che avevo detto io? Una zoccola senza vergogna, in giro con tutto di fuori, pronta per essere fottuta da tutti, giusto?” adesso si era rialzato e si rivolgeva direttamente a Dalia, mentre una mano si era insinuata tra le sue cosce dal davanti e l’altra le tirava indietro la testa per i capelli; “Si…”, rispose mia moglie con un filo di voce, “sono una zoccola e mi piace farmi scopare dal primo che capita” ammise per la soddisfazione del meccanico, che non mollò la presa: “E tuo marito che dice? E’ contento di avere per moglie una zoccola del genere?”, domandò infilandole un dito in fica e uno nel culo, “Mio marito mi fa scopare da tutti” gemette Dalia assaporando il piacere di quei salsicciotti che si facevano strada nelle sue carni, “mi guarda mentre mi faccio sfondare il culo e si masturba come un porco!”
Il meccanico la spinse per la schiena e la fece mettere a 90 gradi con le mani appoggiate alla scrivania, “E bravo! Lo sapevo che mio fratello non era l’ unico cornuto qui!” si rivolse a me con uno sorriso di beffa, “e adesso glie lo sfondo pure io il culo alla tua signora” continuò abbassandosi la salopette bisunta.
“Fermo!” intervenni con voce decisa, tanto da farlo arrestare di scatto e fissarmi con espressione sorpresa, la stessa che notai sul volto di Dalia accasciata sulla scrivania, che si stava già allargando le natiche con le mani; “Quindi me la sistema la macchina? Anche a costo di stare qui stasera e domani?”, incalzai controllando un’ eccitazione spaventosa; “Si, si, te la riparo la macchina, cornuto che non sei altro, appena mi svuoto i coglioni nel culo di tua moglie…” mi rassicurò spazientito estraendo quello che sembrava un capitone dalle mutande ; “E a me chi mi assicura che dopo che ti sei fatto mia moglie poi il lavoro me lo fai lo stesso, lo fai bene e lo fai in fretta?” continuai fermandolo per un braccio mentre Dalia mi guardava con lo sguardo pieno di voglia di farsi sbattere per bene da quell’ orso in quell’ ufficio fatiscente. Il meccanico mi fissò attonito, quasi ridicolo con quel cazzo enorme in mano, senza trovare alcuna risposta.
“Allora facciamo così”, continuai, “per ora ti accontenti di un bel bocchino, e ti assicuro che mia moglie fa dei bocchini da far resuscitare i morti. Poi, lunedì mattina, quando mi consegni la macchina riparata, te la scopi come vuoi. Siamo d’accordo?”. Il meccanico mi fissò un istante, poi guardò Dalia ancora piegata sulla scrivania, che aveva chiuso gli occhi e si stava infilando un dito davanti e uno di dietro, infine capitolò: “E va bene, vaffanculo…” concordò con non poco disappunto.
“Avanti, zoccola, fatti guardare bene, mettiti in piedi e spogliati nuda”, ordinò accasciandosi sulla poltrona; mia moglie non se lo fece ripetere due volte, si alzò in piedi e si sfilò la canottiera, poi sbottonò la minigonna e la lasciò scivolare alle caviglie, restando davanti a lui completamente nuda sugli zoccoli di legno rossi. “Che femmina che sei, mi fai impazzire così tutta nuda” esclamò con la voce rotta dall’ eccitazione mentre si masturbava dopo essersi abbassato la salopette fino alle caviglie; “adesso sdraiati per terra e allarga bene le cosce, puttana!”; Dalia fece immediatamente quanto richiesto, adagiando il suo corpo nudo sul pavimento lercio e spalancando le gambe il più possibile, ricominciando a infilarsi le dita in entrambi i buchi sotto i suoi occhi; “Così, brava, non vedi l’ora di farti infilare da un paio di bei cazzoni, vero? Sono sicuro che tuo marito te li troverà presto, ma per adesso vieni qui, mettiti in ginocchio e prendimelo in bocca!”; Dalia si sfilò gli zoccoli, si mise in ginocchio e cominciò ad avanzare a quattro zampe verso di lui, nuda come mamma l’ha fatta, e quando lo raggiunse prese in mano quel bastone di carne ancora mezzo molle e cominciò a succhiarlo con gusto; a volte mi interrogo sulla sottile linea che separa il voyeurismo dal cuckoldismo, forse nemmeno esiste, ma so per certo che la componente voyeur, in me, è anche superiore alla componente cuckold: restai estasiato da quell’ immagine di mia moglie, così bella e sexy, inginocchiata nuda tra le gambe di quel porco schifoso che si godeva la sua meravigliosa bocca mentre la teneva per i capelli e le maneggiava un seno imbrattandolo di grasso, e dalle due dita con cui lei non smetteva di penetrarsi la fica che facevano capolino tra il suo meraviglioso culo rotondo e le piante dei suoi piedi neri per la sporcizia raccolta dal pavimento di quel torrido ufficio dalle pareti ricoperte di calendari raffiguranti donne nude: non persi un altro istante ed estrassi il cazzo per masturbarmi e il telefonino per immortalare l’attimo in un video con cui mi sarei masturbato chissà quante altre volte.
Il porco grugniva e la incitava continuando a darle il ritmo su e giù con una mano mentre con l’altra le schiaffeggiava un seno facendolo sballonzolare di qua e di là; lei, dal canto suo, aveva le due dita sempre piantate in fica e ondeggiava il culo in segno di richiamo: “Amore…”, gemette con un filo di saliva che le collegava le labbra al cazzo del meccanico, “sto impazzendo, mettimelo nel culo”; la raggiunsi e la accontentai, inculandola a pecorina mentre l’ altro le scaricava in gola il suo fiotto di seme bollente; le diedi pochi colpi decisi, sia io che lei eravamo ampiamente eccitati e sull’ orlo dell’ orgasmo, che giunse devastante nel giro di un paio di minuti.
“Che vacca magnifica!” si complimento il meccanico divaricandole le natiche mentre Dalia si ripuliva dal mio seme che le colava tra le cosce, ottenendo il risultato di imbrattare anch’esse di grasso; poi si avvicinò al suo viso e le infilò la lingua in bocca, mulinandola con la sua con grotteschi rumori di risucchio; per fortuna il mio telefono era ancora a portata di mano e riuscii a cogliere l’istantanea di mia moglie nuda che con le mani del buzzurro che le allargavano le chiappe mostrando il suo culo appena usato da cui colava un filo di sperma, mentre accoglieva con remissione la sua lingua nella bocca. “Allora, che dice? Vale la pena fare un po’ di straordinario domenicale per lei?” gli chiesi mentre mi sistemavo i bermuda; rispose con un grugnito e tirò su la salopette, poi sbuffando tornò in officina “Va bene, va bene, mi metto subito al lavoro; ma lunedì mattina te la sfondo per bene quella cagna”; “Non vediamo l’ora” risposi con Dalia sottobraccio.
Restava un ultima piccola questione da sistemare: “Mi scusi, l’ultima cosa: ma noi dove stiamo questi due giorni? C’è un albergo, un motel, qualcosa del genere da queste parti?”, mi informai seguendolo in officina; “Ma quale hotel, dove pensate di essere, a Portofino? Qui non è zona turistica, non c’è un cazzo in giro e quel poco che c’è è chiuso per ferie. Al massimo, guardate, posso indicarvi una fattoria a 2 km da qui sulla linea del bus, fa un po’ anche da agriturismo, ma non ci va mai un cazzo di nessuno. Non è il Grand Hotel, ma per dormirci due notti va più che bene.” Non potemmo far altro che rassegnarci e, dopo aver salutato il nostro nuovo amico che spostava la nostra auto sul ponte di lavoro, incamminarci verso la fermata del bus.
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