Dario non è mai stato un tipo ridanciano, propenso all’ilarità, alla risata facile. Ha sempre dimostrato di apprezzare l’umorismo più che la comicità clownesca. Ha un acuto senso dell’humour, ma non broad or heavy, grossolano o volgare, sebbene salty, pungente, e sharp, sottile. A wry humour, era quello che prediligeva, un umorismo ironico.
Gli piace più ascoltare che parlare, specie quando si tratta di semplici ciarle.
Anche i suoi giuochi sono stati sempre razionali, logici.
Non scoppia mai in risate sguaiate, abbozza un sorriso.
Non si ribella ai suggerimenti, ma solo alla loro insistenza.
Lui li valuta, i suggerimenti, e una volta scelto se accettarli o respingerli, é irremovibile.
I compagni e gli amici che, da ragazzo, invitava a casa erano più o meno come lui.
Quando conobbi qualche ragazzina, che certo non gli era indifferente, notai che si comportavano tutte nello stesso modo, cortese, affabile, ma non si poteva definire caloroso.
Non é chiuso in se stesso, ma molto cauto nel socializzare.
Ottimo alunno, e atleta disciplinato.
Non polemizzava con gli insegnanti, ma non ne accettava i principii se non li aveva ben compresi e approvati. Altrimenti, sempre educatamente, diceva di rispettare pensieri e scelte ma non di condividerli.
Nello sport ha sempre preferito quelli per i quali deve far conto principalmente sulla propria preparazione.
Ha una certa predisposizione e attitudine per attività tecnico-scientifiche, ma prima di scegliere la facoltà, chiese il parere di docenti e familiari. Scelse la stessa strada del padre, ingegneria. Solo che optò per quella chimica e non per la specializzazione in idrocarburi.
Questo è Dario, nelle sue linee generali, considerandone il carattere.
Fisicamente è un bel tocco di marcantonio, che si avvicina al metro e novanta, con un personale asciutto e atletico e, per quanto ho potuto accertare visivamente (a una madre non manca mai l’occasione, o se la va a cercare) era tutto in proporzione.
E qui viene spontaneo tirare un lungo sospiro.
Ecco, da quel lato li, non saprei proprio cosa dire.
Ho conosciuto Aron, mio marito, quando frequentava la Scuola Superiore di Idrocarburi. Figlio di un Italiano e di una Norvegese. Ci siamo subito trovati bene, insieme, e l’anno successivo, subito dopo la maturità, ci sposammo, andai con lui ad Oslo, dove fui accolta affettuosamente dai suoi, e tornai in Italia per mettere al mondo Dario, l’anno successivo. E ci sono rimasta.
Aron venne assunto da una Società italiana, ma stava sempre in giro, sulle piattaforme, le drilling platforms, spesso offshore, al largo.
Fu per questo che decisi di seguire i corsi universitari che mi hanno portato a fare la biologa-ricercatrice.
Le brevi soste di Aron, sono sempre piene di amorevolezza, soprattutto di premure, ma la passione amorosa, sensuale e sessuale, che pur non è stata mai travolgente, si è completamente flemmatizzata, riducendosi a una frettolosa ritualità distratta e ripetitiva.
Mi viene da ridere, ogni volta (meglio prendersela ridendo), pensando che la nostra liturgia può ben definirsi a poor missionary fuck, una misera scopatine, anche in considerazione dell’immutabile posizione.
Devo anche confessare che non ho avuto mai il coraggio di accettare le innumerevoli e interessanti proposte che mi sono state fatte, e mi premono ancora.
Ogni tanto, ma non da adesso, mi guardo allo specchio per accertare il mio ‘stato di conservazione’. Sarò illusa e presuntuosa, ma non vedo né una smagliatura, né cellulite e tanto meno indebolimento delle parti normalmente prime a cedere. Ho due tette ben erette, e il mio didietro a mandolino fa a gara con la pietra della panchina dove spesso poggio le terga.
Non per amore di teorie cosiddette avanzate, o di altro, ma da noi la ‘privacy’ è molto relativa. Del resto, Aron è stato educato alla norvegese.
Porte quasi sempre aperte, e Dario, logicamente, ha potuto sempre osservarmi durante i miei numerosi svestimenti.
Lui è stato sempre molto affettuoso, nei miei confronti, mi abbraccia, mi carezza. Sempre e dovunque. E questo mi gratifica.
Mi sembra che sia stato l’anno scorso quando, improvvisamente, mi si parò dinanzi, con tanto di digital camera, mentre ero in uno dei miei momenti di autocontemplazione, , e mi disse che voleva ‘eternarmi’ (sì, disse proprio così, eternarmi) per mostrare ai suoi nipoti come era bella la loro bisnonna.
Mamma, guarda da quella parte. Zac’
Girati appena e dischiudi le gambe. zac’
Spegni tutto, voltati verso me, lascia accesa solo quella luce. zac’!
Foto fatte.
Non sapevo che Dario fosse un bravo e artistico fotografo.
Mi chiamò vicino al PC per farmele vedere.
Indossai la vestaglia e gli andai vicino.
Mi chinai per vedere meglio.
Non stetti a pensare che la vestaglia s’apriva e le tette erano in bella vista.
Per Dario, comunque, non era la prima volta, ed erano state la prima fonte del suo sostentamento.
Mi mostrava le fotografie una per volta, e mentre con la destra armeggiava col mouse, con la sinistra mi carezzava la schiena, indugiando, e molto, sul mio culetto prominente che palpeggiava in modo tale che le sue dita erano spesso tra le natiche.
Ero indecisa sul da farsi, anche perché quella bella manona era dolce e rilassante. No, in effetti era eccitante.
‘Questa mammetta,’ e giù una bella strizzata alle chiappe, ‘sei tu che ti aggiusti i capelli.’
Per allentare la tensione, mi schiarii la gola e azzardai un commento.
‘Mi sembra che la luce sia buona”
‘Non è la cosa migliore, in questa fotografia!’
E sottolineò l’affermazione con una più approfondita esplorazione tra le chiappe.
Non mi dispiaceva affatto.
Era delicato, e il dito mi percorreva lentamente, soffermandosi sul buchetto.
Era normale che i miei occhi cadessero sulle sue gambe.
Ed era da aspettarselo che il suo pisellone fosse più che visibilmente eccitato.
Forse era meglio troncare tutto.
Le altre foto le avrei viste in un altro momento.
Proprio in quel momento sul monitor apparve la seconda.
‘Vedi, ma’, basta un lieve spostamento, cambiare anche minimamente la posa, e si riesce ad evidenziare, anche se non completamente, le preziosità del soggetto.
Vedi, i glutei sono più marcati, e dimostrano tutta la loro rotondità.’
Lui, intanto, la controllava accuratamente con la mano sempre più ardita e’ bene accetta.
‘Si, caro, vedo, ma non è che le mostri ad altri queste foto?’
‘Fossi matto!
Qui è ben evidenziata anche la floridezza del seno”
Mi aspettavo che improvvisamente mi afferrasse una tetta.
Invece no, passò alla foto successiva.
‘Questa luce laterale è magnifica.
Non ti rende pienamente giustizia, ma conferma lo splendore della tua silhouette, l’attrattiva del seno, il ventre liscio e piatto.
Sei proprio uno schianto, ma’!’
Mi chinai appena per sfiorargli la fronte con un bacio.
E gli feci capire, movendomi, che doveva togliere la mano dal mio sedere.
Lo fece, lentamente, pigramente, e in uno strano modo, strusciandola col dorso sul mio pube, e soffermandocisi un po’.
Tornai in camera e sospirai profondamente.
Secondo qualcuno sarebbe stato facile interrompere tutto, magari bruscamente.
Non è così.
Dario è come un bulldozer, quando è in moto solo chi lo pilota può fermarlo, e guai a chi osasse tentare di bloccarlo, ne rimarrebbe travolto, schiacciato.
Va bene la nostra inesistente privacy, la nostra naturistica mescolanza, ma quelle foto, quel volerle fare, quelle’ carezze, mi inducevano a delle considerazioni.
Confuse, però, anche perché volevo sfuggirle.
Comunque, mi ripromisi di osservare meglio il comportamento di Dario. Senza, ovviamente, dare forzate interpretazioni al suo consueto modo di agire.
Pur cercando di rimanere obiettiva, avevo la sensazione che da qualche tempo ogni momento e scusa erano buoni, per Dario, per abbracciarmi, palpeggiarmi.
Ora il deretano, ora il seno, e se mi era alle spalle mi stringeva a sé, afferrandomi per le tette e si fletteva sulle gambe per sistemare il suo ‘malloppo’ virile tra le mie chiappe. Mi baciava sul collo. In silenzio, senza parlare.
Io cercavo di scacciare il pensiero che quel suo modo di fare avesse esclusivamente o prevalentemente contenuti erotici, però le sensazioni che mi trasmetteva e stimolava in me, mi inducevano a ipotizzarlo.
Poi scrollavo le spalle.
Non era possibile che quell’appetibile ragazzone, con tutte le disponibilissime ragazze che gli ronzavano intorno, si riducesse a carezzare lubricamente una donna che aveva venti anni più di lui, e che per di più era sua madre!
Dovevo scacciare quell’idea, che tra l’altro aveva preso a turbarmi.
Dario tornò a casa più presto del solito.
Mi salutò affettuosamente.
‘Ma’, andiamo a cena fuori questa sera?’
‘C’è qualche particolare motivo?’
‘Noi andiamoci, il motivo lo troveremo, lo inventeremo.’
‘Una pizza?’
‘Dai, non fare l’avara, offrimi una cena al Bet Eden.’
‘Vuoi sbancarmi!’
‘Su, vestiti elegante e sexy e andiamo.’
‘Anche sexy!’
‘Via che lo sai che in ogni caso tu sei sempre una sexy whitch, una maliarda affascinante. Vestita’ o meno!’
Sorrisi e andai a prepararmi.
Quando tornai in salotto, lui era già pronto.
Rimase seduto, fece un lunghissimo espressivo fischio.
‘Scusa se resto seduto, ma se mi alzo cado per terra: mi fai girare la testa.’
‘Sciocco!’
‘No, scioccato!’
‘Si’ è la prima volta che mi vedi!’
‘Il fatto è che sei sempre più giovane e più bella.’
‘Ho capito, sei in vena di prendermi in giro. Andiamo!’
‘Mamma, prendiamo il taxi, non mi va di guidare né puoi farlo tu così elegante!’
‘OK. Questa sera sono completamente ai tuoi ordini.’
‘L’hai detto.’
In effetti, quando entrammo nell’elegante e raffinato ‘Bet Eden’ tutti si girarono a guardarci. Il nostro tavolo era proprio dall’altra parte. Fu una lunga e in un certo senso lusinghiera passerella.
Dario fu premuroso e gentile, un ottimo compagno di tavola, anche se sempre misurato nelle parole. Tacitiano.
Il pianista, ottimo interprete di splendide musiche, suonava in sordina, senza disturbare il sommesso brusio che salita dai tavoli.
Poco dopo le undici, chiedemmo il conto, poi, lentamente, ci avviammo alla porta dove era giunto il taxi che avevamo fatto chiamare.
Fummo a casa, in circa un quarto d’ora.
Salimmo.
‘Mamma, è una serata veramente bella.
Hai visto come ti guardavano?’
‘Si. Ho notato anche le donne, ragazze e tardone che ti mangiavano cogli occhi.’
Eravamo fermi vicino alla porta della mia camera.
Entrai, entrò anche lui, andò a sedere nella poltroncina ai piedi del letto.
Lo guardai interrogativamente.
Era serio, con un lieve enigmatico sorriso sulle labbra.
Si alzò un momento, tolse la giacca, la mise su un’altra sedia, tornò a sedere.
‘Spogliati, mamma!’
Nessuna asprezza, nella voce, ma tono deciso, risoluto, sicuro.
Tornai a guardarlo, sorpresa, incredula.
Annuì.
‘Si. Spogliati!’
I suoi occhi mi fissavano, mi sembrava che cambiassero continuamente colore: grigi, acciaio, penetranti.
Mi irretivano, mi toglievano la volontà, sentivo di essere in suo potere, attratta, incantata, affascinata.
Mi avvicinai a lui, mi voltai per farmi abbassare la zip del vestito.
Lo lasciai cadere, restando in perizoma e reggiseno.
Sentii le sue mani, lievi, sulle natiche.
Mi allontanai, andai verso la toletta.
La sua voce non aveva cambiato tono.
‘Il resto!’
Tolsi collana, orecchini, anelli. Li misi sulla toletta.’
‘Tutto!’
Rimasi indecisa per un attimo.
Non riuscivo a disobbedire.
Doveva esercitare su me lo stesso potere del domatore con le fiere.
Anche reggiseno e perizoma caddero.
Rimasi ferma, immobile.
Lui si alzò, senza fretta.
Tolse camicia, pantaloni, boxer, scarpe e calze.
Era magnifico, nudo. Possente, imponente, con una virilità prepotente, impressionante, sconvolgente.
Ero sgomenta e ammaliata.
Si avvicinò a me, lentamente, mi sollevò sulle sue braccia, mi depose sulla sponda del letto.
Giacqui senza forza, abbandonata, con le braccia in alto.
Mi divaricò le gambe, si abbassò a baciare avidamente il mio sesso.
Sentii la sua lingua frugarmi dentro, titillare il mio clitoride.
Nessuna volontà, da parte mia, ma la vagina era tutta un bagno.
Mise le mani dietro la mia schiena, mi sollevò il bacino, portò il suo poderoso battaglio tra le mie piccole e palpitanti labbra, cominciò a penetrarmi lentamente. A mano a mano che il suo fallo mi invadeva, sentivo che tutto in me si rilassava, si contraeva, fremeva, sussultava. Il pisellone del mio bambino pulsava procedendo inesorabilmente. Andava a lambire la volta del mio grembo, si ritraeva, tornava ad riempirmi.
Non riuscivo, né volevo, rimanere passiva.
Ero coinvolta, sempre più. Travolta.
Godevo da morire.
Era un maschione poderoso che mi possedeva, e io possedevo lui.
Per puro caso era mio figlio!
Non immaginavo che potesse accadermi una cosa simile.
Provare una infinità voluttà tra le braccia di mio figlio.
Non so se nel mio inconscio già lo sapevo.
Comunque era bello.
Non stavo godendo un orgasmo, ma l’orgasmo, il vero orgasmo, l’acme del piacere sessuale. La totale perdita d’ogni controllo, l’assoluto abbandono alla beatitudine dei sensi.
Avevo chiuso gli occhi, quasi a gustare di più quei magici momenti, li aprii, era li, magnifico, stupendo, che mi guardava con una passione che non conoscevo, un desiderio quasi sovrumano, e questo mi faceva fremere e palpitare maggiormente. Sentivo, e mi sentiva, che lo stavo mungendo ingordamente, con tutte le mie forze, con contrazioni sempre più forti, che gli imprigionavano il fallo, lo stringevano al solco che sottostava il glande, e il glande s’enfiava ancora, e diveniva immenso, occupandomi interamente. Aveva certamente percepito il mio orgasmo, il mio momentaneo rilassamento, e poi la mia rinnovata peristalsi vaginale.
D’un tratto, mi sembrò che fosse crollata una diga, scoppiato un cratere, e una colata voluttuosa m’invase, mi travolse nella sua ondata, mi fece sdilinquire di voluttà.
Dario giacque su me. Peso meraviglioso.
Mi prese il volto tra le mani, mi baciò a lungo, teneramente.
‘Oh, mamma, non ne potevo più’ non ne potevo più”
Gli carezzai la schiena.
‘Si, tesoro. Ti capisco’ sei travolgente’ come sempre’ ma sei bellissimo’ tesoro mio’ bellissimo’.’
‘Mi perdoni, mammina?’
‘Il mio Dario, il mio bambino, il mio omone che ha voluto fare l’amore con la mamma sua, che ha voluto vibrare nella sua mamma, e che’ ha fatto palpitare la sua mamma’.’
Mi guardò, quasi sorpreso.
‘Si’Dario’ sei stato magnifico’ meraviglioso’ bellissimo’ Hasi sentito come ha goduto la tua mamma? Goduto’ infinitamente’. Per te’ per te’. Ti è piaciuto?’
‘Mamma’ sei splendida’ non mi scacci’. Lo sento che non mi scacci’ mi stringi ancora,’ di nuovo’ oh, mamma’ mamma’.’
Sempre tenendolo tra le mie gambe, mi voltai su un fianco. Sentivo le sue natiche atletiche, gli carezzavo le spalle, i capelli.
Lo stringevo a me, in me.
Un sentimento strano: tenerezza e passione.
Incredibile solo mio figlio mi aveva fatto comprendere cosa mai sia il sesso, quello vero, quello che unisce maschio e femmina, nel desiderio, nella frenesia, nella brama d’essere un tutt’uno, inseparabile.
Il solo pensarlo mi faceva palpitare il grembo e questo rinnovava la sua splendida virilità.
Ormai il dado era stato tratto, definitivamente.
Com’era sua indole, non mi sussurrava paroline zuccherose, quasi imbonitrici.
Mi carezzava, baciava i miei occhi, le mie labbra.
Si chinava a suggermi i capezzoli con dolce voracità.
E questo risvegliava in me il desiderio di ripercorrere la strada che finalmente avevo scoperto. La strada della voluttà, dell’abbandono.
Forse non se l’aspettava nemmeno, Dario, quando sentì spingersi lievemente, per allontanarlo da me. Forse credeva che fosse tutto finito.
Feci in modo che si sdraiasse, sul letto, e mi misi a cavalcioni, prendendo il suo glande e avvicinandolo alla mia tumida vagina, impalandomi deliziosamente, abbassandomi con le tette sul suo petto, e le sue mani mi carezzavano la schiena, i glutei, mi palpeggiavano.
Avrei voluto che quel leggero trotto, presto tramutatosi in cavalcata, sempre più incalzante, durasse all’infinito, ma era troppo bello quello che avevo provato, prima, e dovevo sentirlo di nuovo. Dovevo assaporare il dolce precipitare nell’orgasmo, l’ebbrezza del suo balsamo celestiale.
Alzai il dorso, lui avvicinò le labbra ai miei capezzoli, e mentre mi stava deliziosamente riempiendo sentivo voluttuosamente svuotarmi.
La sua mano frugava tra le mie natiche, si fermava sul buchetto, lo saggiava, esplorava, lo penetrava appena e ne riscuoteva gli effetti nella vagina.
Ripeteva quel giochetto, all’infinito.
E il mio culetto rispondeva, palpitava, si contraeva.
Messaggi silenziosi, com’era suo costume.
Ma la mamma intende il figlio, specie quando l’intendere l’attrae.
Era tutto novità, quella sera!
La ‘verità’ s’era improvvisamente rivelata.
Non avevo mai scopato tanto (è il termine esatto, anche se crudo), in una notte; e non avevo mai scopato così intensamente, e così variamente, in tutta la mia vita.
Dario non cessava di palparmi le chiappe, di essere sempre più audace col mio buchetto che, del resto, madido di tutte le nostre secrezioni, era più che lubrificato e cedevole. Era accondiscendete, invitante, partecipante, curioso e interessato.
In effetti, era un’esperienza di cui avevo sentito parlare con diversi accenti.
Dalle sensazioni che quel prepotente ditone mi dava, accompagnandole con generosi titillamenti di clitoride, ed accurate di ricerche, sempre vittoriose, del mio punto ‘G’, non dovevano essere spiacevoli, salvo che, forse, per un breve momento iniziale.
Certo, però, che sentirsi di dietro un cetriolo di quella portata induceva a riflessioni.
Tutto sommato, conclusi tra me e me, ci avremmo rinunciato, io con gran ‘bruciore’ e lui scaricandosi ancora in ‘natural vasello’!
Come ho detto, con Dario non necessitavano troppe parole.
E’ l’azione quella che conta, per lui. E anche per me.
Quindi, pecoroni, testa bassa e chiappe aperte.
Lui fu molto garbato.
Non si affrettò precipitosamente.
Cominciò a spennellarmi tra le natiche col suo grosso pennello, soffermandosi un po’ alle piccole labbra, entrando appena, ritirandosi, procedendo a scivolo verso il buchetto, provandone la cedevolezza, ripetendo più volte quella discesa obbligata che m’eccitava sempre più.
Poi si concentrò sul buchetto.
Si accertò che fosse bel lubrificato.
Cominciò a spingere piano, tenendosi ai miei fianchi.
Respirai profondamente, cercai di rilassarmi, collaborai con lunghi e insistenti premiti.
Quell’enorme locomotiva stava entrando nella mia galleria che, per la verità, dopo una parvenza di resistenza, cedette improvvisamente e totalmente, ingurgitandolo completamente. Da quella parte li non ne rimaneva fuori neppure un centimetro, e i testicoli battenti lo confermavano.
Sapientemente ci andava cauto, cercando aiuto nel palpeggiar di tette e titillar di clitoride, nonché nella sua magistrale speleologia vaginale.
A mano a mano che lo stantuffare incalzava, ero invasa da questa nuova e insperata sensazione, che mi stava facendo letteralmente impazzire.
Mi ricordai che in alto, sul soffitto, c’erano anche piccoli specchi, guardai in su, alla meglio, lo spettacolo mi eccitò ancora di più.
Gemevo movendo la testa qua e là, con le mani che cercavano di dilatare al massimo le natiche e poi lo prendevano per i glutei e lo stringevano a me.
Era meraviglioso sentire il crespo dei suoi riccioli del pube carezzarmi il sedere.
Quando mi arresi, sia pur ancor vogliosa, crollai, disfatta, ma felice.
Le mie forze mi stavano abbandonando.
Giacqui bocconi, con lui ancora dentro di me, e con le sue instancabili mani che mi carezzavano, e mi addormentai.
Non mi accorsi quando sgusciò da me.
Era giorno, quando mi svegliai.
Dario, che significa ‘donatore di bene’, era supino, col sorriso sulle labbra, soddisfatto.
Lo coprii col lenzuolo, mi alzai per la doccia, per preparargli la colazione.
Quando tornai, in accappatoio, col vassoio, andava destandosi.
Si stropicciò gli occhi.
Mi guardò.
Per la prima volta mi sorrise apertamente.
Allungò la mano, nell’accappatoio, tra le mie gambe, tirò delicatamente i miei riccioletti, avanzò ancora.
‘Ciao, Bet Eden.’
‘Bet Eden?’
‘Non lo sai? Vuol dire ‘casa della felicità”
Mi venne da sorridere pensando al ‘donatore di bene’ nella ‘casa della felicità’.
Consumammo con gusto quanto avevo preparato.
Mi alzai per riportare tutto in cucina.
Mi trattenne per la mano.
‘Metti il vassoio sul comodino. Ho fame!’
E ci sfamammo ancora, entrambi.
Che fortuna le piattaforme petrolifere.
Sollevavano Aron dall’onere delle sue incombenze coniugali.
Consentivano a Dario di sorridere e di elargire il bene; a me di riceverlo entusiasticamente nell’accogliente casa della felicità.
A volte basta così poco nella vita per trovare un equilibrio che si ritiene impossibile.
E’ sufficiente guadarsi intorno.
E’ qui, in casa!
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