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L’indomani mattina presto si ripetè il solito rituale…”
Tra la Contessa Annette Juliette De la Colonnec e il suo inserviente
Pierre Trumeaux non correva buon sangue.
Annette non stava vivendo un buon periodo, era depressa. Il recente divorzio dal marito l’aveva messa in seria difficoltà economica. Il Conte Sebastienne De la Colonnec l’aveva lasciata per la giovane figlia di una loro comune amica che frequentava spesso la loro villa padronale di Éze en Provence. A rendere il tutto più umiliante, però, erano le motivazioni, rese pubbliche dal Conte, per le quali lo stesso rivendicava la ragione della separazione e quindi ogni diritto a riappropriarsi in toto di ogni sua proprietà. Motivazioni di causa con responsabilità univoca che, se riconosciute in sede legale, avrebbero costretto la Contessa Annette a lasciare Villa Frambois e trovarsi una qualsivoglia altra, più umile, sistemazione. Queste motivazioni si riconducevano tutte, sostanzialmente, ad una umiliante, diffamante, calunniosa, accusa: la frigidità di lei. Il loro matrimonio, secondo quanto sostenuto pubblicamente, in prima udienza, dal Conte Sebastienne De la Colonnec, non era mai stato consumato a causa della perdurante renitenza della consorte. Così, vista la lunga astinenza, Il Conte Sebastienne prese la giovane adolescente Annalise Nompar de Caumont, mentre giocava sull’altalena, in mezzo ai campi viola di lavanda fiorita di Gordes. Ad Annette, in principio, non sembrò vero di avere così, servita su un piatto d’argento, l’occasione di arricchirsi e, allo stesso tempo, dividersi dal mai amato marito senza dover sottostare ai propri doveri coniugali. Ebbe presto modo, però, di pentirsene, visto la piega che stavano prendendo le cose. Il nobile marito stava, poco nobilmente, chiedendo l’annullamento del matrimonio cui – a differenza del divorzio da lei auspicato – non le avrebbe lasciato che una piccola, insignificante, buona uscita. Un grazie e un arrivederci a mai più. Nient’altro.
Naturalmente lei si oppose, indignandosi, negando, in sede legale, ogni addebito di incapienza sessuale, individuando invece la causa della separazione nell’infedeltà del fedifrago marito. Alla sentenza d’appello, la Corte, non senza destare sconcerto, stupore e un certo scandalo tra la pubblica opinione, prese l’inaudita decisione di accogliere la richiesta dell’autorevole accusa e apporre a discriminante del giudizio l’eventuale comprovata verginità della Contessa, come prova incontrovertibile della sua colpevole renitenza sessuale. Una decisione insolita – per un’altrettanto precorritrice causa, per quei tempi – sbalorditiva e dagli aspetti alquanto morbosi che aveva scatenato la prurigine popolare e l’inevitabile, altrettanto morbosa, ondata di pettegolezzi tra la gente e messo la Contessa con le spalle al muro.
Durante il periodo concesso alla Contessa Annette come tempo limite per sottoporsi all’ispezione ginecologica legale, gli avvocati del potentissimo Conte Sebastienne chiesero e ottennero di porre un tutore legale al fianco della Contessa al fine di verificare che la stessa non si auto-privasse, all’ultimo momento, strategicamente, della propria virtù. Fu designata allo scabroso compito Marie Dechampe, una giovane magistrato tirocinante presso la Corte di Avignone, la quale doveva seguire la Contessa ovunque, perfino in bagno. Pierre Trumeaux, fedelissimo inserviente del Conte, ebbe l’incarico, informale, da Sebastienne, di vigilare che, tra le due, non si stabilisse una sorta di complicità. Per questo motivo – intuito dalla Contessa, aggiunto a una certa avversione all’obbedienza acuita dalla segreta autorità acquisita dall’incarico del Conte, e ad una troppo spiccata personalità dell’uomo – tra i due non correva un buon rapporto interpersonale, per usare un eufemismo, per cui, spesso, ogni piccola osservazione dell’una nei confronti dell’altro sfociava in una vera e propria, violenta, schermaglia verbale. Un giorno la Contessa Annette e la sua ormai inseparabile Marie stavano ispezionando la stalla, dove Pierre stava mungendo le vacche, per controllare che il garzone avesse adempiuto ai suoi doveri di corvée, oltre a quello che stava appunto svolgendo. A Marie venne un improvviso crampo intestinale per il quale non poteva esimersi di recarsi urgentemente in bagno. Delegò allora Pierre di dare un’occhiata alla Contessa durante la sua forzata assenza. Pierre annuì alla richiesta e aspettò che il magistrato uscisse frettolosamente dalla stalla per rivolgersi, senza neanche degnarla di uno sguardo, ad Annette:
– “La mossa della purga funziona sempre. Brava, complimenti.”
– “Quale mossa? Scusi, cosa intende dire?”
-“Gliel’hai messa tu la purga nel cibo, vero?”
-“Io non ho messo nessuna purga da nessuna parte.” – rispose stizzita.
-“Certo, certo. Come no… Ti ha tolto tutto ciò che avesse un manico dal bagno, vero?” – sogghignò.
-“Lei è un impertinente. Come si permette?”
-“Io sono tanto impertinente quanto lei frigida, Contessa. E fra pochi giorni saremmo tutti e due poveri. Incredibilmente qualcosa ci accomuna.”
-“Lei pensi agli affari suoi, io non ho nulla a che spartire con lei. Lei è solamente uno zotico villano.”
-“Uno zotico villano, come dice lei, al cospetto di una povera Contessa decaduta, senza arte né parte, per di più frigida. Chi se la prenderà più una come lei?”
-“Vigliacco bastardo! Io la …” – urlò, scagliandosi alle spalle del cafone, il quale però, prevedendo la sua reazione, si alzò di colpo, lasciando cadere a terra il suo sgabello mono-piede, sì girò e afferrò i polsi della Contessa impedendogli di infierire.
-“Ascoltami bene, petulante cornacchia vestita della festa: quel bastardo di tuo marito ha intenzione di disfarsi di te e subito dopo di disfarsi di tutta la baracca, me compreso: lo capisci questo, vero?”
-“E allora? Cosa c’entra lei in tutto questo? Non sono affari che la riguardano.”
-“Venderà tutto a un fondo finanziario che ha intenzione di cambiare destinazione d’uso e costruire alloggi popolari per gli operai della fonderia di Grenoble. Ciò significa: finita! Per tutti e due. Ecco cosa c’entro io.”
A quel punto lasciò i polsi di Annette che non avevano più bisogno di essere trattenuti e caddero mollemente ai fianchi della Contessa.
-“Per quale motivo, mio marito, dovrebbe fare questo?”
-“Davvero sei così ingenua? Annalise Nompare de Caumot. Dovrebbe dirti qualcosa questo nome.”
-“Sì, è una sgualdrina!”
-“Può darsi, ma non solo. È anche la figlia di Philippe Nompare Caumot e, soprattutto, di Nathalie d’Arpajon, figlia di Francois d’Arpajon, proprietario di suddetta fonderia. Piccolo particolare: Annalise è minorenne e la famiglia Nompare Caumot chiede un “piccolo” risarcimento in cambio del silenzio pubblico e dell’imene sfasciato della figlia. Lo sa qual è il piccolo risarcimento?”
-“La Tenuta… Poteva scegliere un modo meno brutale di descrivere una semplice deflorazione.”
-“Cosa si aspetta da uno zotico villano? Ma, aspetti, la mia villaneria non ha ancora raggiunto l’apice. Le faccio una proposta.”
-“Lei fa una proposta a me?” – disse assumendo un’espressione tra lo schifato e il perplesso.
-“So che lei non è frigida, in realtà è solo lesbica.”
-“Ma lei è… Come?…”
-“La smetta di recitare, per favore, non è questo il momento, e poi Marie potrebbe tornare da un momento all’altro. L’arrivo di quella giovane magistrato deve essere stato una rivelazione per lei. Quando ha accettato che le passasse la spugna sulla schiena, mentre faceva il bagno, anzi, facevate il bagno… Insieme!”
-“Ma come…?”
-“Inutile mentire…Vi ho viste. Ho avuto l’incarico di osservarvi, da suo marito. Cosa ha provato quando la spugna è scesa lentamente, insaponandole laddove pensava di non provare nulla? Come è stato? A giudicare dalla sua espressione direi…”
-“La smetta maiale… Lei e quel porco di mio marito.”
-“Niente male la ragazzina, eh? Secondo me, lei le piace… dovrebbe dirglielo. Ma torniamo alla proposta.”
Lei abbassò stizzosamente lo sguardo girando la testa a destra, senza muoversi.
-“Lei mi intesta metà della sua azienda e la svergino io.”
La Contessa sussultò, strabuzzando gli occhi. Barcollò incredula.
-“Che cosa? Vuole ripetere, scusi?”
-“Facciamo a metà di tutta questa tenuta e io la svergino, così vincerà la causa con il suo ex marito, anche stanotte, se crede. Metà è pur sempre meglio di niente, non trova?
-“È incredibile! Mi dica che non sto sentendo quello che ho appena sentito.”
Portò due dita alla fronte.
-“Come vuole! Se preferisce perdere tutto… “
Marie fece ritorno in quel mentre. Pierre era già seduto, di spalle, con le calde mammelle bovine tra le dita. Le due uscirono insieme.
-“Hai bevuto il latte stamattina a colazione?” – chiese Annette a Marie.
-“Sì. Me l’ha portato Pierre. Appena munto.”
Quello della sera alle 19 stava diventando un vero e proprio rituale.
A quell’ora, regolarmente, la Contessa faceva il bagno e Marie la assisteva, ma questa volta non le era permesso di aiutarla.
Pierre si era organizzato, non doveva più arrampicarsi pericolosamente sul maestoso glicine. Si era costruito una scala rudimentale, ma efficace, che rendeva l’accesso alla finestra del bagno decisamente più agevole.
Protetto dal fogliame e dal buio, spiare la Contessa e la sua tutrice legale era un gioco da ragazzi. Poteva vederle senza essere visto, discutevano animatamente, ma non riusciva ad udirne i discorsi.
La mattina si ripetè la scena della stalla. Marie affidò di nuovo Annette alle cure di Pierre prima di correre in bagno.
-“Le ha portato il latte anche oggi, immagino.” disse seccata la Contessa.
-“Le fa uno strano effetto.”
Ribatté laconicamente il ragazzo.
-“Vedo!”
-“Ha riflettuto sulla mia offerta?”
-“Ma mi faccia il piacere. La chiama offerta quella?”
-“Guardi che sto finendo la purga, e lei il suo tempo a disposizione.”
-“Piuttosto che accettare perdo tutto.”
-“Ah!… Lo farà senz’altro!”
Annette sussultò.
-“Lei non toccherà mai nemmeno un centimetro del mio corpo, per tutto l’oro del mondo. Mi creda. È una promessa!”
-“Sa cosa penso? – disse il fattore mirando lo sguardo sulla Contessa, senza smettere di mungere la florida giumenta – Io penso… e mi dica se mi sbaglio, che lei abbia scoperto da poco di essere lesbica. l’ha scoperto grazie al magistrato e alla sua spugna. Penso che anche al magistrato non dispiaccia la cosa e quando lei l’ha capito ha colto subito l’occasione cercando di farsi deflorare proprio da colei che, invece, avrebbe dovuto controllare che ciò non avvenisse fraudolentemente…”
-“Lei è un farneticante maniaco sessuale…”
-“Peccato per lei che Marie non riesca a derogare dalla propria deontologia professionale e sessuale. Una donna tutta d’un pezzo! Ne esistono ancora? Incredibile…”
-“Devo ammettere che lei dispone di un linguaggio piuttosto forbito per essere un rozzo villano porco e schifoso!”
-“E Lei è troppo scurrile per essere una nobile sgualdrina di corte. E se una sgualdrina di corte perde…la corte, rimane solo una sgualdrina e basta. A questo giro le è andata male mia cara, e non le resterà proprio nulla in tasca. Invece che con becere invettive e squallidi insulti, nei mie confronti, avrebbe dovuto riempirsi bocca con ben altro, per ottenere quello che si era prefissata. Come tutte le sgualdrine che si rispettino.”
Marie tornò in quel mentre, la Contessa si trattenne a fatica dall’esplodere d’ira: – “Tutto bene?…” Esclamò guardando prima l’uno e poi l’altra.
-“Sì…Sì… Tutto bene, tutto bene!”, rispose poco credibilmente, con rabbia trattenuta, Annette.
Dopo pranzo Annette ripensò ossessivamente alle parole del giovane impertinente. Offrirsi carnalmente allo zotico oppure perdere l’intero podere che rappresentava tutto ciò che aveva, un patrimonio di milioni di franchi, e tutta la rispettabilità che la ricchezza conferisce a chi la possiede. Angosciata al pensiero di entrambe le ipotesi, sudava in preda all’ansia, tanto da bagnare di sudore le lenzuola e il cuscino di piume. Si alzò dal letto e passeggiò nervosamente per la stanza, cercando inutilmente una terza soluzione al suo problema. Tutto, però, sembrava portare all’unica disgustosa soluzione possibile: Pierre e il suo viscido “coso” penzolante. Non riusciva neanche a pensarci senza provare un senso di ribrezzo profondo.
Marie, che riposava accanto a lei, si svegliò, disturbata dal tramestio di Annette sul pavimento di cotto fiorentino. Le chiese, pur intuendolo, cosa la turbasse in quel modo. Al che la Contessa crollò in preda ad una crisi nervosa e si sfogò piangendo. Marie le si sedette al fianco cingendole le spalle come fanno due amiche di lunga data:
-“Perderai la causa e tutti i tuoi averi. È questo che ti angoscia, vero?”
-“Marie, posso chiederti una cosa da donna a donna, senza il magistrato di mezzo?”
-“Formalmente no, ma… penso che l’inevitabile intimità stabilitasi tra noi possa consentirmi di aprire una breve parentesi, in camera caritatis.”
Sorrise.
-“Ti prego, solo tu puoi aiutarmi in questo momento…”
Marie la interruppe portandosi l’indice alla bocca in segno di non aggiungere altro:
-“Da donna a donna, ti dico che esistono donne e donne. Per un atto di cameratismo, probabilmente lo farei… Ma…”
-“Ma?”
-“Te l’ho appena detto, ci sono donne e donne: quelle che per denaro e potere non esitano a barattare la propria dignità e…quelle che moriranno povere. La differenza tra le une e le altre sta nel coraggio con cui riescono a guardarsi allo specchio.”
-“La povertà mi terrorizza, più della solitudine.”
-“Infatti la ricchezza è solitudine. Dovrai sbrigartela da sola, Annette. Non ti aiuterò a rimanere la persona che sei, o che forse, visto la tua situazione, aspiri a rimanere.”
Detto questo, Marie uscì dalla stanza lasciando Annette sola con la sua unica soluzione rimasta. Si avvicinò alla finestra e la aprì di scatto:
-“Non ti vedo ma so che ci sei. Ho valutato la tua proposta. Ne parliamo domattina in stalla. Preparale la solita colazione.”
L’indomani mattina presto si ripetè il solito rituale. Annette, alle sue spalle, osservava in silenzio la maglia di lino grezzo, sudata, di Pierre. Marie scappò in bagno cominciando a farsi delle domande sul perché la stalla le facesse quello strano effetto. Annette le lanciò uno sguardo alle terga accompagnato da un silenzioso ghigno ironico, poi tornò con lo sguardo su di lui.
-“Ti offro il dieci per cento!”
Pierre continuò il suo lento lavoro di strizza tette senza dare segni di reazione alcuna.
-“Va bene. Facciamo il venti.”
Il mungitore non reagì.
-“Senti, brutto zotico che non sei altro, il cinquanta te lo scordi, è un’offerta esorbitante, fuori da ogni logica! Ti offro il venti per cento. Prendere o lasciare!”
A quel punto, le mani del mungi-vacche si fermarono stringendo rabbiosamente i capezzoli della povera bestia che reagì con un muggito e un colpo di coda in faccia parato previdentemente dal suo aguzzino.
-“Il cinquanta per cento, se per lei è troppo, per me non è più abbastanza. Ho cambiato idea!”
-“Come sarebbe che ha cambiato idea?” – balbettò incredula la Contessa.
-“Ho deciso che aggiungerò una richiesta ad ogni giorno che passa senza avere una sua risposta. Il cinquanta era la mia proposta di ieri, oggi è il sessanta.”
-“Il sessanta per cento? Lei è completamente fuori di senno. È una proposta inaccettabile, un vero e proprio strozzinaggio. Non accetterò mai una proposta del genere!”
-“Si tenga la sua verginità allora. Mi permetta di darle un consiglio, però: se dovesse decidere per la…perdita della propria…virtù, faccia in fretta. Dovrà dare alle lacerazioni il tempo di cicatrizzarsi, non so se mi sono spiegato. Non mi sembra che le resti molto tempo per decidersi, Contessa. Se proprio non vuole darmi il sessanta per cento, va bene il cinquanta ma…i buchi da deflorare dovranno essere due.”
-“Pensa che il mio imene possa rigenerarsi forse?”
Commentò sarcasticamente Annette.
-“Non sono così sprovveduto, Contessa. E lei non faccia la finta tonta, sa meglio di me a quali buchi mi riferisco.”
-“Lei… non ha il minimo ritegno e nessuna educazione. Lei è un cafone, e…”
-“Sì, sì, certo! Ha tempo fino a stasera. Mi vedrà sull’aia scaricare il carro della paglia. Finita la paglia, finito il suo tempo. Ah! Se non vuole prestarsi con entrambi gli orifizi, ne chieda uno in prestito alla sua controllora.”
Detto questo, il “terrone”, si dileguò ridendo a squarciagola.
Marie venne convocata d’urgenza da Annette nella sua camera da letto.
Contessa.
-“Siediti Marie, non abbiamo molto tempo.”
-“Tempo per cosa, Contessa?”
-“Quanto guadagni al mese Marie, per…per quel tuo lavoro di procuratore.?”
-“Magistrato, Contessa.”
-“Sì, esso, appunto…Quanto?”
-“Cinque soldi, Contessa.”
-“Cinque soldi? Ah! Una miseria. Ce lo compri il pane con cinque soldi?”
-“È un buon stipendio…”
-“È una miseria, in alcune province il pane è arrivato a otto soldi al chilo, lo sai? C’è chi parla addirittura di rivolta per questo motivo. Con cinque soldi non ci mangi neanche.”
-“Non si vive di solo pane.”
-“Smettila con queste puerili scempiaggini e ascoltami bene. Ti offro un’occasione, una di quelle che ti capitano una volta sola in tutta la vita.”
-“Un’occasione?”
-“Sì, un’offerta. Ti offro il trentatré per cento dell’intero podere.”
-“Come, il trentatré per…per cosa?”
-“Ascoltami bene. Il garzone, quel porco schifoso, sarebbe disposto a …”
-“A…?”
-“A sverginarmi, ma vuole il cinquanta per cento della proprietà. Una richiesta inaccettabile, ma non è questo il punto.”
-“Contessa, lei… lei ha appena ammesso la sua colpevolezza davanti a un pubblico ufficiale e adesso, come se non bastasse, sta tentando di coinvolgermi in un atto fraudolento. Sta tentando di corrompermi.”
-“Ma smettila con questo manierismo da contradaiola, con questa etica da educanda smutandata, con questa moralità da monaca claustrofila, smettila con questo perbenismo á la carte, questo zelo d’accatto. Ma lo sai cosa ti aspetta, là fuori? Ne hai la più pallida idea di quello che realmente t’aspetta là fuori? Quello che ti offro io è un cambio di vita. Da una miserabile, povera vita da accattona governativa tutta d’un pezzo alla sfarzosa, opulenta e agiata vita di corte. Il trentatré per cento della mia proprietà a te. Il trentatré al maiale e il restante trentaquattro a me. Capisci? Poi, se noi due restiamo unite, facciamo il sessantasette per cento della proprietà, il che vuol dire maggioranza, il che vuol dire che liquidiamo lo spargi-letame in men che non si dica. Esattamente quel che si merita, il bastardo. Adesso lo sai. Fai la tua scelta, ma falla in fretta: arrestami, fammi perdere tutto e torna a fare la pezzente povera ma bella. Oppure accetta e…viviti una vita degna d’essere vissuta.”
…
-“E cosa dovrei fare io? Chiudere un occhio?”
-“…E aprire le cosce.”
-“Al garzone?”
-“Chi se no?”
-“Mi sembra una situazione talmente assurda da essere surreale.”
-“È un sì o un no?”
-“Devo rifletterci!”
-“Hai tempo fino a domattina a colazione. Procuratore pezzente o ricca proprietaria terriera.”
-“Magistrato!”
-“Quello che è! A domani.”
La Contessa si dileguò nelle sue stanze.
La mattina seguente Marie si presentò dalla Contessa comunicandole che avrebbe accettato la proposta della sera prima. Le due si diressero dall’inserviente e gli comunicarono i nuovi accordi. La quota del trentatré per cento era sì di molto inferiore alle sue attese, ma egli sapeva bene di averla sparata grossa e lo spazio di contrattazione che aveva pronosticato veniva adeguatamente gratificato dalla prospettiva dell’amplesso con due donne contemporaneamente. Tuttavia rilanciò chiedendo, in cambio del corposo ridimensionamento della quota parte, la libera e inoppugnabile scelta sulle modalità con cui sarebbe svolto l’amplesso. La Contessa e Marie si scrutarono perplesse, posero il veto su ogni forma di violenza fisica o azione che avrebbe potuto recare loro dolore, poi accettarono. Le parti si accordarono. Venne redatto un contratto scritto e informale, ma legale sotto tutti gli aspetti, in cui si stipulava quanto accordato dalla giovane Magistrato, che venne sottoscritto da tutti.
L’incontro venne fissato per la sera stessa, nella camera da letto della Contessa.
Annette si era lavata nella tinozza e profumata con acqua di Colonia. Marie si stava preparando nell’altra stanza.
Quando entrambe furono pronte convocarono Pierre, il quale si presentò ancora sporco e sudato. Puzzava di letame di mucca e sudore stantio.
-“Potevi almeno lavarti!” Sbottò rabbiosamente la Contessa.
-“Siamo nervosette eh?” Ribatté ironicamente Pierre. Che poi aggiunse, indicando la giovane Marie:
-“Mi laverà lei. Visto che è così brava. Ho bisogno di essere preparato, non funziono a comando.”
Marie ebbe un sussulto e fece un passo indietro guardando velocemente prima uno e poi l’altro. Poi il garzone, indicando Annette, aggiunse:
-“Prima legala!”
-“Oh no! Brutto zotico. Tu non legherai un bel niente!” Intimò perentoriamente Annette.
-“E invece ti farai legare eccome – ribatté lui – è tutto a contratto, le modalità, ricordi? Se rifiuti perderai tutto, a nostro favore, naturalmente.”
-“Menzogne. Non é possibile!”
Marie, dall’angolo della stanza, silenziosamente annuì. Annette sbottò di rabbia. Sbuffò, imprecò rabbiosamente, maledì il villano con tutti gli epiteti di cui disponeva. Urlò a squarciagola. Poi si rivolse violentemente verso Marie e intimò:
-“Fallo!”
Marie assicurò polsi e caviglie della Contessa ai quattro pilastri del letto a baldacchino. Poi si diresse lentamente verso Pierre, che nel frattempo si ergeva nudo, in piedi, al centro della tinozza di acqua ormai diventata quasi fredda.
-“Preparami!” Le ordinò Pierre.
Marie si avvicinò lentamente al giovane nudo senza mai staccarle lo sguardo dagli occhi. Il corpo muscoloso, ben definito, di lui, si ergeva superbamente dritto, teso e arrogantemente attraente, al centro della piccola tinozza di legno di acero. La ragazza si fermò al suo cospetto. Lui le afferrò i polsi e guidò le sue mani sui suoi glutei marmorei, la fece inginocchiare davanti al suo membro ancora non abbastanza duro, ma per nulla flaccido.
Lei esitò un istante, così la mano di lui premette sulla nuca di lei a rompere ogni indugio e la bocca di Marie fu invasa dal membro nerboruto dello stalliere. La Contessa Annette non poteva esimersi dal guardare la scena che si svolgeva ai piedi del suo letto.
Legata, imprecava contro Pierre, lo insultava:
-“Fai pure, maiale! Credi di potere eccitarmi? Non serve a nulla quel patetico spettacolino. Non avrai il mio piacere, bifolco. Non ti darò la soddisfazione di vedermi godere. Fai quello che devi farmi e vattene.”
Marie continuava a succhiare lentamente il villano, il cui membro si era fatto duro e maestoso, indugiava sotto il prepuzio, ne vedeva il glande esulare abbondantemente dall’asta turgida, e si era portata la mano destra sotto la lunga gonna. Profondamente eccitata, godeva anch’ella della suo stesso tocco. Poi prese a massaggiargli i testicoli, sempre tenendolo saldamente in bocca. Quando lui, dopo un rantolo, la fermò.
-“Allora? Avete finito con questa pagliacciata? Te l’ho detto, zotico. Non mi ecciti per niente. Devi continuare per molto questa pantomima? Il tuo coso mi sembra abbastanza duro. Fai quello che devi e vattene.”
Pierre, che l’aveva preso di principio, voleva fare gridare di piacere la Contessa, in una guerra di sottomissione psicologica che si stava facendo esacerbata. Così prese Marie, la chinò ai piedi del letto di Annette, la fece sorreggere ai due pilastrini cui erano legate saldamente le caviglie della Contessa e le disse:
-“Guardala negli occhi!”
Così lei fece. Pierre le alzò velocemente la gonna, infilò appena il glande nella vagina di Marie, che socchiuse gli occhi di piacere. Una, due volte. Marie piegò dolcemente la testa da un lato gemendo. La terza volta, a sorpresa, l’asta di lui si sfilò dalla vagina e si infilò prepotentemente nel sedere di Marie che urlò di dolore spalancando gli occhi.
Istintivamente, empaticamente, la Contessa tentò di serrare le gambe ma le corde glielo impedirono.
Marie, prima in preda al dolore, cominciò ad urlare di piacere, mentre lo stalliere stantuffava nel suo deretano.
Poi si fermò.
-“Tutto lì? – Esclamò Annette – Se la tua intenzione era quella di spaventarmi o eccitarmi, sappi che hai appena ottenuto l’effetto contrario, schifoso bastardo. Contento adesso?”
-“Per farti bagnare mi basta una leccata.”
Disse Pierre con il bastone ancora infilato nel sedere di Marie, sfinita dal piacere.
-“Sbagliato! La tua lingua da maiale non sortirà il benché minimo effetto su di me.” Rispose rabbiosamente la Contessa.
-“Non ho detto che la lingua che ti leccherà sarà la mia, brutta lesbica repressa.”
-“Tu sei un lurido… Tu sei un… Non puoi farlo!” imprecò Annette rabbiosamente e poi aggiunse:
-“Bastardo ti odio!” Urlò ancora Annette. Mentre la tenera bocca carnosa di Marie si appoggiava alle sue grandi labbra, Annette tentava disperatamente di evitarlo serrando le cosce per incastrare la testa di Marie. Urlava ed imprecava a squarciagola, poi sempre più pacatamente, fino quando i suoi insulti sfumarono in gemiti di piacere. Poi i gemiti diventarono rantoli rauchi e brevi urla prodromiche all’orgasmo che venne interrotto sul nascere da Pierre, il quale sottrasse la morbida vulva gonfia di Annette alle bramose labbra di Marie e, con un balzo, fu sopra la Contessa e il suo glande dentro di lei, la quale non aveva che flebili forze e nessuna possibilità di resistergli. Raccolse così le ultime forze per dirgli:
-“Non mi farai godere, bastardo!”
Così lui scattò velocemente spingendo tutto il suo bastone dentro di lei che urlò di dolore. Un dolore lancinante mai sentito prima. Lui se ne compiacque e ne trasse ulteriore eccitamento.
Lei sentiva il grosso membro di lui scivolare fin troppo facilmente dentro la sua vagina lubrificata da Marie. Sentiva che quel suo membro non poteva durare a lungo in quello stato di eccitazione. Sentiva e sperava che lui capitolasse a breve. Sperava che il porco venisse prima di lei. Ma, sotto i suoi colpi poderosi, la sua resistenza cominciava a vacillare, quei colpi che lei stessa aveva contribuito a far diventare rabbiosi e lo stalliere aveva trasformato in veemenza. La rabbia che lei stessa gli aveva fatto accumulare dentro e che ora egli stava riversando dentro di lei. Ad ogni colpo dei suoi testicoli sul perineo, la resistenza e la lucidità di lei venivano meno, il dolore iniziale era scomparso del tutto per lasciare spazio ad un caldo piacere sempre più maledettamente intenso e, purtroppo presto, irresistibile. Poi un grugnito di lui la fece ben sperare di ottenere la sua vittoria. Ma, a quel punto, la velocità del contadino aumentò inaspettatamente, più veloce e ancora più veloce. Lei fece inutilmente respiri profondi, serrò i pugni, distese le dita dei piedi, tese tutti i muscoli della schiena e del basso ventre nel vano tentativo di resistere. Gridava: “No! No! No! Bastardo No! Fermati!… Fermatiiiii!”. Peggiorò la situazione perché facendo così esplose proprio quando avvertì il primo violento fiotto dentro di lei, sarebbe stato un lievissimo stimolo sul collo dell’utero, una leggera spintarella, ma sufficiente per lei che si trovava in bilico sull’orlo del baratro e che la proiettò in un vortice di godimento estatico, violento, convulsivo, assolutamente sublime, acuito dalla simultaneità dell’orgasmo, dalla sincronia delle loro contrazioni e dalla loro discrasia. Gli spasmi l’assalirono come un branco di licaoni affamati, le quattro funi che la legavano si tesero quasi a spezzarsi, facendole urlare la propria palese, involontaria, quanto sublime, sconfitta. Proprio insieme all’ultima persona con cui avrebbe mai voluto condividere questo volo. L’ultima delle persone a cui avrebbe voluto concedere la soddisfazione di vederla capitolare.
Ora Annette condivide la sua tenuta di Villa Frambois del valore di milioni di luigi, con Marie Dechamps.
Pierre morì a causa della sifilide contratta in un bordello di Gardanne due anni dopo.
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