“Uscii dalla casa delle zie paterne verso le 18, ripassai da casa di mia madre per rinfrescarmi un poco, sapendo che avevo preso l’impegno di stare a cena da…”
3.
Erano state preavvertite dalla mamma e mi aspettavano tirate a
nuovo, con un contegno alquanto severo. Zia Maddalena e zia Rosaria erano due donne molto tradizionaliste, rispettivamente di 64 e 61 anni, che già vivevano insieme prima che me ne partissi dal paese, la prima perché zitella illibata, la seconda perchè vedova precoce (aveva perso il marito per un grave incidente di lavoro dopo soli tre anni di matrimonio e non si era voluta risposare). Erano le persone istruite della famiglia, essendo entrambe maestre elementari. Per la verità non conservavo ricordi particolari di loro, salvo l’eco di certe dicerie di paese che le dipingevano come puritane all’apparenza e troie di nascosto. Ma all’epoca non avevano buoni rapporti con mia madre e dunque avevo avuto rarissime occasioni di incontrarle per farmene un’opinione.
Appena entrato in casa mi fecero accomodare in salotto e si premurarono subito di prepararmi un caffè, che mi servirono con dei dolcetti tipici. Non avevamo molto da dirci e inizialmente ci scambiammo solo parole di circostanza. A differenza di mia madre le zie parlavano in italiano e si alternavano in un conversare abbastanza attento, anche se poi finirono per immergersi nei fatti di paese; raccontavano di cose che ormai non conoscevo e non le seguivo nei loro ragionamenti, in compenso le guardavo attentamente per farmene una idea.
La più grande, zia Maddalena, era un donnone piuttosto alto e robusto, con una mascella accentuata ed un naso pronunciato. Vestiva in maniera castigata, ma si indovinava una corporatura massiccia, forte soprattutto sul petto e sui fianchi. Per essere una zitella non sembrava propriamente una verginella. Zia Rosaria era un po’ meno alta ed aveva un volto meno arcigno, esponeva una maggiore femminilità , anche per il seno più abbozzato e per il didietro più arrotondato. Sorrideva anche di più e sembrava guardarmi con un po’ di civetteria.
Era passata quasi un’ora di conversazione francamente noiosa, pensai di aver assolto al mio dovere reverenziale e feci per alzarmi e salutarle, quando fui bloccato dalla loro reazione un po’ indispettita:
“Ma come, non ti si vede da vent’anni e già te ne vuoi andare?”.
Restai ammutolito e mi rimisi a sedere:
“Ma no, care zie, volevo togliere il disturbo. chissà quante cose avete da fare!”.
Era una scusa un po’ peregrina, ma non sapevo che dire. Fu zia Rosaria a riaprire il discorso:
“Lo so Gero che due donne anziane non ti possono interessare….. che tu hai a che fare con donne ben più giovani e belle”.
La interruppi per dire:
“Ma che dici zia? io vi ho sempre guardato con ammirazione e vi trovo tuttora di grande interesse”.
Mentivo ma vedevo che la cosa funzionava, perciò rincarai la dose della piaggeria:
“E’ vero, le donne non mi mancano… puttanelle a volontà … ma pensate che sia facile incontrare signore con il vostro portamento e la vostra personalità ?!”.
Colpite in pieno! La mia serenata aveva avuto un effetto immediato, si sciolsero completamente, mi sorrisero senza remore ed esternarono una giovialità fino a qual momento del tutto compressa. Innanzitutto mi invitarono all’unisono a sedere sul divano in mezzo a loro:
“Vieni qui, nipotino caro ….. vieni dalle zie”.
Mi accomodai in mezzo a loro e immediatamente mi sentii sotto assedio: strusciavano le loro gambe contro le mie e le loro mammelle contro le mie braccia, emettendo sospiri e languori inconfondibili. All’inizio ero un po’ imbarazzo, non sapevo che fare. In compenso le due zitelle diventavano sempre più intraprendenti: alla mia sinistra, zia Rosaria aveva messo una mano in mezzo alle mie gambe e piano piano era risalita fino all’attaccatura delle cosce e si era fermata proprio sopra il rigonfiamento del cazzo e dei coglioni; alla mia destra, zia Maddalena mi aveva passato un braccio dietro il collo, mi aveva preso una mano e l’aveva posata in mezzo alle sue cosce.
Era chiaro che mi stavano concupendo e io, da nipote bravo e educato, compresi che non potevo restare lì come un imbranato. Allora decisi di agevolare loro il compito: allargai le braccia e le passai dietro le loro spalle, cominciai a baciarle a turno, prima sulle guance, poi sulla bocca, infine con la lingua in bocca. Era la scintilla che forse aspettavano, perché a quel punto si scatenarono. Mi aprirono la patta dei pantaloni e liberarono il mio uccellone, lo guardarono e sgranarono gli occhi dal desiderio; mi slacciarono convulsamente la camicia e mi denudarono il petto villoso; poi si lanciarono come invasate a baciarmi e leccarmi dappertutto, gridando:
“Oh nipote bellissimo, oh che uomo che sei ….. vieni, lasciati godere un po’ anche dalle zie”.
Lasciai che si sfogassero un po’, poi dissi loro ironicamente: “Mie adorate zie, abbiamo tante cose da dirci ma perché non ci mettiamo più comodi?”.
“Giustissimo!” disse subito zia Maddalena
“abbiamo di là un bel lettone accogliente ….. che aspettiamo?”.
In un baleno ci trasferimmo in camera da letto, ci spogliamo e ci infilammo sotto le lenzuola. Le zie erano bene in carne, anche se l’età stava rendendo i loro corpi un po’ cascanti. In compenso avevano una foia tremenda, una fame di cazzo da far rabbrividire. Non che mi attraessero particolarmente, ma lo sentivo come un atto di rispetto, come un dovere.
Si scatenarono e le feci fare. Zia Maddalena lo voleva subito nella fica:
“Non sai da quanto tempo che non vedo un attrezzo così!”. Zia Rosaria mi si mise dietro e accompagnò con le sue mani l’ingresso del mio cazzo nella ficona della sorella maggiore, poi si mise ad armeggiare con le mie natiche e non resistette dall’inserire un suo dito nel mio culo. Stantuffai zia Maddalena per un bel po’, poi zia Rosaria reclamò la sua parte e passai a pistonare la sua fica. Godevano oscenamente, le loro fiche colavano di umori, dopo un quarto d’ora sentii prossima la sborrata e, per non discriminare nessuna delle due, le feci inginocchiare sul letto, feci avvicinare le loro facce al mio cazzo e, al momento magico, sborrai distribuendo il seme sul loro volto, sulla loro bocca e sulle loro mammelle.
Poi giacemmo insieme nel letto a rinfrancarci, io sempre in mezzo come in un sandwich, e le due che continuavano a strusciarsi addosso a me con la loro ciccia. Erano visibilmente contente e si lasciarono andare ad ogni tipo di confidenza: mi dissero che da tempo non vedevano l’ombra di un uomo e che ormai si arrangiavano da sole, aiutandosi anche con ortaggi e salsicce. Ridemmo a lungo di queste cose, poi ci rivestimmo e festeggiammo la mia visita con dei bei cannoli acquistati la mattina apposta per me.
Uscii dalla casa delle zie paterne verso le 18, ripassai da casa di mia madre per rinfrescarmi un poco, sapendo che avevo preso l’impegno di stare a cena da mia sorella Giuseppina per le 20.
A mia sorella mi sentivo particolarmente legato. Lei aveva tre anni meno di me, ma era la mia principale confidente, anche perché in famiglia eravamo costretti a solidarizzare contro certe intemperanze dei nostri genitori. Lei aveva capito la natura equivoca del mio rapporto con la nonna, ma per il bene che mi voleva non avrebbe mai fatto la spia. Certe volte ebbi la sensazione che si fosse innamorata di me, lo vedevo da come mi guardava; ma, naturalmente, l’ambiente e la morale le impedirono di manifestarsi. Ricordo, però, che quando decisi di partire, pianse disperatamente.
Giuseppina si era sposata con Giacinto, un brav’uomo che faceva il camionista, ed aveva avuto tre figli. Ora, a 36 anni, ne aspettava un quarto. Era cambiata molto, la trascuratezza e le gravidanze avevano slargato e deformato il suo bel corpo: aveva un culone largo, due coscione rotonde e due mammellone cascanti, mostrava dieci anni di più della sua età .
Aveva preparato in mio onore una cena con i fiocchi, mangiammo e bevemmo in grande allegria con il marito e con i suoi ragazzi, raccontandoci le cose più amene. Si erano fatte le 23 e lei aveva messo a letto i figli che dovevamo l’indomani andare a scuola; poco dopo anche il marito si scusò e andò a letto, dato che doveva alzarsi alle 5 della mattina successiva per il suo lavoro di camionista. Volevo congedarmi anch’io, ma Giuseppina insistette perché restassi ancora un poco con lei. Non seppi dirle di no.
Una volta soli, avvicinammo le nostre sedie e ci stringemmo le mani, comunicandoci in quel modo tutto il nostro affetto. Ebbe un cedimento emotivo, di tenerezza, e appoggiò la sua testa alla mia spalla. Vidi che piangeva sommessamente. L’accarezzai e le diedi un bacio sulla fronte. Di rimando lei mi prese la testa e se la tirò verso di sé e cominciò a baciarmi furiosamente sulla bocca.
Sulle prime rimasi sorpreso, poi risposi a quei baci e ricambiai pienamente la sua foga, intrecciando la mia lingua con la sua ed abbracciandola tutta. Non parlavamo, ma ci toccavamo, ci palpavamo per tutto il corpo, con la voglia di rimpossessarci di qualcosa che ci era stato tolto. Aveva un bel pancione, era al sesto mese, ma la cosa non mi impedì di toccarla dappertutto, di stringerle le chiappe carnose e le mammelle piene di latte. Ma lei sembrava fuori di sé, non le bastava baciarmi sul collo e sul petto e manipolarmi volontà il cazzo che si era impennato. Lo voleva dentro di sé, nonostante il pancione. Le feci intendere che il cazzo poteva star bene anche in mezzo a quelle mammelle o a quelle chiappe. No, lo voleva dentro la sua fica.
Si distese sul divano, allargò le coscione e si mise un cuscino sotto il culo per offrirmi un ingresso meno difficile. Il suo pube era ingrossato e palpitante, la foresta di peli neri che lo ricopriva emanava un odore un po’ acre. Indirizzai la mia asta vibrante verso quel bosco e quell’antro e sentii come un risciacquo alla sua entrata, la sua fica era bagnatissima e si strinse intorno al mio cazzo come una murena. Glielo infilai sino in fondo per farglielo sentire bene e vidi che lei godeva in maniera indescrivibile, anche se tratteneva i gemiti per non svegliare marito e figli.
Quando stavo per venire cominciai a tirarlo fuori, pensavo magari di sborrarle sulla pancia o, se preferiva, in bocca. Mi bloccò, trattenendomi per le natiche, e mi attirò ancora più dentro di lei, e, per accompagnare la mia eiaculazione, cominciò a roteare il bacino. Non resistetti molto e le riempii la pancia di sperma. La vidi estasiata. Mi disse sottovoce nell’orecchio che era proprio quello che voleva, voleva che la facessi mia, che la ingravidassi ancora una volta.
Ne rimasi commosso. Ci baciammo a lungo, le dissi che era la persona cui mi sentivo più legato e che ero contento di aver passato con lei una serata così bella.
Tornai a casa di mia madre che era già passata la mezzanotte e andai subito a letto. Per la stanchezza dormii di sasso sino alle 7, quando mia madre mi svegliò concitata. Il taxi era già sotto casa per portarmi all’aeroporto di Palermo.
Lasciavo per la seconda volta il mio paese e chissà quando vi avrei fatto ritorno. I “doveri” di famiglia mi avevano stremato.
Ma ero contento di aver lasciato un po’ di me alle tante donne della famiglia e di aver pagato il conto di una così prolungata lontananza.
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