C’è da domandarsi a quale dei genitori, o a chi del parentame, sia venuta in mente l’idea di chiamarli Paolo e Francesca, i famosi amanti di cui Dante ha lasciato indimenticabili versi.
‘Galeotto fu il libro e chi lo scrisse”
Fratello e sorella che si battezzano ‘volutamente’, non per consuetudine di tramandare i nomi dei nonni o degli zii, Paolo e Francesca.
Per di più nello stesso battesimo, perché Paolo e Francesca sono gemelli: entrambi nati, a poca distanza di minuti, il 5 giugno.
Gemelli in tutto, e nati sotto il segno zodiacale dei gemelli.
Gemelli biovuli, o, se più vi piace, dizigoti, eterozigoti: due ovuli fecondati da diversi spermatozoi, sviluppatisi in due placente e in sacchi amniotici. Quindi diversa eredità genetica e caratteristiche differenti.
I due ‘prodotti del concepimento’ avevano condiviso, senza saperlo né poterlo impedire, l’utero materno, proprio da ‘buoni fratelli’, e successivamente il seno che li ha nutriti, la cameretta che li ha accolti.
Sono andati sempre d’amore e d’accordo.
Buono, dolce, tenero, affettuoso, comprensivo e pronto ad accontare la sorella, Paolo; abbastanza vispa, attiva, dinamica ed anche alquanto capricciosetta la bella Francesca, chiamata Franca.
Stesso passeggino, a due piazze; e stessa camera-studio , con due lettini e due scrivanie, fino alla media, poi a ognuno il suo piccolo regno, perché in famiglia vigeva la stretta segregazione dei sessi. Non se ne parlava mai.
Una certa ‘pruderie’, che mi permetto definire ipocrita e analoga alla politica dello struzzo, che nasconde la testa in una buca per ignorare la realtà che lo circonda, pone nel giorno del diciottesimo compleanno, raggiungimento della maggiore età, l’inizio del ‘tutto lecito’ in materia di sesso.
Quindi, sorvoliamo sul come e quando Paolo e Francesca scoprirono il sesso, sulle curiosità, sui turbamenti, sulle sensazioni, che pur furono proprie del loro progressivo sviluppo psico-fisico, e partiamo dalla festa dei loro diciotto anni.
Festa alla quale furono invitati gli intimi, sia come parenti che come amici, e tra essi, logicamente, le ‘simpatie’ dei due festeggiati.
Vigilia dell’ingresso all’Università.
Paolo era indirizzato verso la tematica economica; Franca preferiva storia e filosofia.
Paolo era un ragazzone simpatico, un po’ chiuso di carattere, intelligente e perspicace, piacevolmente attratto dallo studio al quale dedicava molte ore al giorno, senza trascurare, però, il tennis, il nuoto, lo sci.
Franca era sempre frizzante, estroversa, alquanto irrequieta, e dedicava al dovere scolastico il tempo strettamente indispensabile, unendosi al fratello negli sport. Gli stessi praticati da Paolo.
Entrambi conseguirono la laurea nei termini dei corsi frequentati, e con brillanti affermazioni.
Paolo fu subito richiesto da un Istituto Internazionale Finanziario, che lo aveva conosciuto attraverso la tesi di laurea, pubblicata dalla sua facoltà.
Franca ebbe la possibilità di andare ad insegnare in un liceo, dapprima come supplente, di una scuola curata da religiosi. In un capoluogo di provincia non distante da Roma.
I genitori, purtroppo, li lasciarono presto, a distanza di pochi mesi.
Paolo rimase nella vasta casa, e cedette la gestione del grande centro commerciale di proprietà familiare a una società, ricavandone un discreto reddito mensile che divideva con la sorella.
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Ognuno seguiva la propria strada.
Ogni tanto si incontravano, i fratelli, sempre con grandissimo piacere e quando non c’era la presenza di qualche ‘amico’ di Franca, viaggiavano nei ricordi dell’infanzia, dell’adolescenza, della gioventù. Si scambiavano confidenze.
Franca, a suo dire, passava da una delusione sentimentale all’altra; Paolo non parlava mai delle sue episodiche e rapide parentesi erotiche, che, potevano definirsi meramente fisiologiche, puro soddisfacimento dell’appetito sessuale. In quanto a sentimento affettivo non riusciva a lasciarsi coinvolgere.
Erano alla soglia dei quaranta.
Quel sabato sera Franca giunse a casa senza preavviso, un po’ di furia, ed era più che arrabbiata. Si rifugiò tra le braccia del fratello.
‘Mi sono fatta trasferire, Paolo, lì non ci torno più. Basta. Lunedì prendo servizio a Roma.’
Tremava come una foglia.
Paolo le carezzava i capelli, come quando erano bambini, perché per lei ‘fratellone’ era sempre il suo rifugio, la fonte della sua consolazione.
Anche adesso che erano adulti,maturi, con discreta esperienza di vita. Adesso che lui era alto uno e novanta, atletico, prestante, e le misure di lei erano quelle di una top indossatrice: 90-60-90, capelli corvini, naturali, occhi verdi. Una donna particolarmente attraente, affascinante, sommamente desiderabile, con pelle liscia, vellutata, soda, senza difetto, senza un’ombra di cellulite.
Ora, quella magnifica femmina, tremava tra le braccia di Paolo.
Lui le cinse le spalle col braccio, andò vicino alla poltrona, quella bassa, larga, vi si sistemò, fece sedere Franca sulle sue ginocchia, seguitando a carezzarle i capelli.
‘Allora, cucciolo, cosa ti è capitato?’
‘Ho sbagliato tutto’ tutto”
Occhi pieni di pianto, voce un po’ roca, interrotta da piccoli singhiozzi che facevano sobbalzare le splendide tette.
Si abbracciò stretta al fratello.
‘Cosa hai sbagliato?’
‘Tutto!’
‘Cioè?’
‘Ho creduto di aver trovato l’uomo giusto, l’altra metà. L’ho creduto più di una volta. Niente’ Fallimenti completi, su tutta la linea’ disastri totali’ ora basta, voglio tornare nella mia tana a leccarmi le ferite’ posso stare qui? Con te?’
Paolo la cullava dolcemente, la baciò sulla guancia.
‘Ma questa è casa tua, cuccioletto bello, casa tua’ e sarò felice di vederti per casa, come una vota, ricordi? Sentirti cantare al mattino, sotto la doccia”
‘Non canterò più!’
‘Ma si che canterai’ i tuoi trilli’ la tua risata’
Qui c’é molto silenzio, troppo.’
‘Ma sconvolgerò le tue abitudini”
‘Se possiamo chiamare abitudini la monotona ripetizione quotidiana degli stessi gesti”
‘Allora’ mi vuoi?’
‘Che domanda, cucciolo, sei il dono caduto dal cielo’quasi quasi benedico chi è stato causa del tuo trasferimento qui’
Ricordati che siamo stati vicini dal momento del concepimento, ognuno, nel suo guscio, sentiva l’altro, ne percepiva i movimenti, il battito del cuore. Ci dividevamo l’alimento che ci faceva sempre più crescere, sviluppare, per poi nascere.
E’ bello tornare insieme, sapere che tu sei vicina a me, nella tua camera, origliare il tuo respiro.’
‘Mi farai un po’ di compagnia? ‘non mi lascerai sola?’
‘Ci faremo compagnia, non ci lasceremo soli. Vedrai, sarà bellissimo.’
Franca gli carezzava il volto, lo baciava. Piccoli baci, ma fitti fitti, sulla fronte, sulle gote, sul mento, sulle labbra!
Erano belle, morbide, invitanti quelle labbra, avevano qualcosa di diverso da tutte le altre che per un’ora o un giorno, gli avevano fatto credere di aver incontrato qualcosa di giusto.
Tutte, però, erano state sempre e solo partner di breve spazio, rozze o raffinate appagatrici dell’appetito sessuale del momento.
Non era un patito del sesso, Paolo, ma con le sue brave esigenze.
Aveva finito col concludere che le donne, per lui, erano un po’ come i ristoranti: caserecci o sofisticati, con un servizio alla buona o raffinato, comunque ci si va per farsi passare l’appetito; spiluccando o abbuffandosi. In fondo, quello che contava era sfamarsi.
Che splendido profumo, però, emanava la pelle di Franca.
Com’erano salate le lacrime dei suoi occhi verdi e profondi.
Lacrime, manifestazione di uno stato d’animo, di un sentimento. Testimonianza di un’emozione.
Anche il sesso distilla qualcosa, quando è emozionato.
Chissà che sapore avevano le lacrime del sesso di Franca.
Quel pensiero lo fece eccitare.
Si accorse, allora, che sulle sue gambe, sul suo sesso, stavano le splendide, tonde natiche della magnifica Franca.
Ebbe un piccolo movimento spontaneo, cui corrispose quello del bel culo della sorella.
Solo quando sentì la protuberanza del capezzolo, si accorse che la sua mano era avvinghiata su una tetta di Franca, e lei intensificava i suoi bacetti, soffermandosi sempre più sulle labbra,
Ora le gambe di Paolo erano irrequiete, il fallo premeva nei pantaloni.
Le natiche di Franca erano in fermento, sembravano cercare qualcosa che potesse rifugiarsi tra esse.
Avvicinò la sua bocca all’orecchio di lei, mordicchiò il lobo.
‘Cucciolo, forse è meglio che ci alziamo, prima che”
La voce di lei era affannosa.
‘Prima di cosa, Paolino?’
‘Prima che sia costretto a portare i pantaloni in lavanderia.’
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Agata fu assunta dalla Struttura Finanziaria dove Paolo dirigeva il Settore Analisi di Fattibilità, e fu assegnata a lui.
Non aveva molta esperienza in materia, ma il suo curriculum di studi e di precedenti occupazioni faceva ben sperare.
Fu accolta cordialmente, logicamente nei limiti che il carattere alquanto taciturno e chiuso di Paolo consentiva.
Aveva qualche anno meno di Paolo, ma le fu subito proposto di scambiarsi il ‘tu’, perché in effetti erano tutti colleghi.
Agata ne fu entusiasta, e quel bel tocco di marcantonio del suo ‘capo’ le sembrava bello e attraente come un nume greco.
Lei era alquanto piccolina, circa un metro e sessantatré, e aveva tutto in proporzione, attirando l’attenzione degli uomini che certamente la immaginavano senza quegli inutili indumenti che indossava.
Seno prospero ma non eccessivamente, e sotto la gonna polpose e sode natiche si muovevano deliziosamente
‘Si sposata? Fidanzata?’
‘Single. E tu?’
‘Lo stesso.’
Non era loquace, Paolo, ma sapeva farle comprendere chiaramente cosa ci si attendesse da lei, coinvolgendola e motivandola.
Agata, come accennato, era sempre in muta ma non inerte contemplazione di Paolo.
Quando doveva mostrargli qualche documento, specie se chiedeva dei chiarimenti, gli andava accanto, vicina alla megapoltrona manageriale, di quelle con spalliera alta, e mobilissima sulle quattro rotelline a stella.
Culetto quasi sul braccio di lui, che poggiava sull’apposito sostegno della poltrona, tanto per fargliene comprenderne la consistenza. Poi si chinava, per indicare qualcosa sul foglio, e per fargli vedere che nella blusa, scarsamente abbottonata, le tette, pur se rigogliose, non avevano bisogno di alcun sostegno, erano sode e ‘ autoreggenti.
Le cose andavano avanti da alcuni giorni, l’intesa professionale era perfetta, e c’era anche una certa cordialità. In Società guardavano sorpresi Paolo e Agata che andavano insieme a prendere il caffè.
‘Senti, capo, se non hai impegni, perché non vieni ad assaggiare come faccio i vermicelli alla puttanesca?’
Paolo alzò gli occhi verso lei che era quasi seduta sul bracciolo della poltrona.
Rifletté un momento.
‘Mi inviti a cena?’
‘Certo!’
‘OK, a che ora?’
‘Che ne dici se andiamo a casa mia quando usciamo? Così mi dai un passaggio perché la mia auto è dal meccanico.’
‘OK’
Appartamentino non molto grande, civettuolo, arredato con gusto e semplicità, senza ammasso di mobili o cianfrusaglie.
Ingresso.
A destra la porta immette in un vano adibito a soggiorno-tinello-studio, con TV, comodi mobili, pochi soprammobili, e alcune tele moderne e interessanti alle pareti. Da qui si può accedere alla camera da letto, abbastanza ampia, con un grande letto di fronte al balcone, armadio a più ante, con specchio interno, comò, toletta, un tavolino con una piccola TV, due comodini, una poltroncina, due sedie da ciascuna parte del letto. Un uscio conduce nel bagno, con vasca e doccia separate e tutti gli altri sanitari. Un’altra porta fa ritornare all’ingresso.
A sinistra, una bella cucina, abitabile, dotata di ogni necessaria attrezzatura per cucinare e lavare i piatti. Ripiano con forno a micro-onde, plurimix, tostapane. Un tavolo stretto e lungo, che si può ribaltare, in alto, agganciandolo al muro, o abbassare per usarlo. E’ possibile anche regolarne l’altezza dal pavimento, per cui vi sono due sgabelli e due sedie normali. Una porta scorrevole conduce in un vano adiacente con doccia, water e bidet, nonché lavabiancheria e stenditoio verticale.
Paolo guarda tutto con compiacimento e si complimenta con Agata
‘Andiamo nel tinello, prendiamo un aperitivo, poi vado a cambiarmi mentre tu sfogli una rivista, o guardi la TV, o vai curiosando.
Perché la cena sia pronta ci vorrà poco più di mezz’ora.
Se vuoi puoi fare una doccia. Nel bagno c’è tutto il necessario, anche accappatoi.’
Aprì uno sportello di un mobile che conteneva il frigo-bar, prese due bicchieri, li depose sul tavolino dinanzi al divano dove Paolo era seduto.
‘Amaro’ Whisky’ Cognac’ Analcolico?’
‘Meglio analcolico, grazie.’
Agata tolse i tappi a corona da due bottigliette, versò il contenuto nei bicchieri, andò a sedere accanto a Paolo.
‘Alla tua salute’ spero, però, che assaggerai un po’ di ‘corvo’, lo facciamo noi, per la famiglia e per gli amici!’
‘Certo che lo berrò.’
‘Adesso ti lascio,vado a cambiarmi.’
Paolo finì di bere l’aperitivo, andò verso un ripiano, accanto alla scrivania, dove erano alcuni libri. Guardò i titolo, ne prese uno: ‘Criteri per i piani di fattibilità aziendale. Norme dei singoli Stati. Direttive Comunitarie’. Lo prese andò a sedere di nuovo sul divano, cominciò a sfogliarlo.
Agata entrò, con una mini plissata, e una blusa annodata sul fianco. Gambe nude, scarpe comode, a tacco basso. Capelli sciolti, appena un’ombra di rossetto sulle labbra.
Si avvicinò a Paolo.
‘Non tralasci occasione per tuffarti in argomenti di bottega.’
Lui alzò gli occhi, le sorrise. Chiuse il libro e rimase a fissarla.
‘Però, dottoressa Catani, non finisci mai di sorprendermi. Lo sai che sei un vero schianto?’
‘Non mi sarei mai aspettata da lei una frase del genere, professore.
Ti piace?’
Fece una piroetta che alzò la già corta mini e mostrò il resto delle pregevoli e ben tornite gambe.
‘Te lo detto, sei uno splendore. Non mi piace soltanto la ‘mise’, mi piaci tu.’
‘Adulatore!’
Si chinò appena per stampargli un bacione sulla guancia.
Paolo l’afferrò per la vita, la trattenne un istante.
‘Non siedi vicino a me?’
‘Vado a cucinare’ a dopo.’
Le dette una amorevole pacca sul sedere ‘era la prima volta che lo faceva- e scosse la testa, in segno di approvazione, constatando che quel contatto gli stava rivelando i veri pregi di Agata.
Cena deliziosa, degna della migliore arte culinaria.
Vino ‘giusto’, per colore, sapore, profumo, temperatura, gradazione alcolica. Adattissimo al cibo.
Incantevole la visione delle gambe, parte superiore, di Agata, appollaiata sullo sgabello. Doveva certamente indossare un perizoma, lo si intuiva facilmente, come pure si capiva che non era di quelle fissate per la depilazione del pube e dintorni.
In effetti, Paolo era attratto dalla donna nature, accettava di vedere le ascelle glabre, ma preferiva la ricchezza spontanea e incolta che ornava il basso ventre e il sesso del genere umano. Gli era capitata qualche femmina alquanto glabra, per caratteristica razziale, ma prediligeva un prato riccioluto da carezzare, un folto bosco dove cercare il pozzo della felicità.
Ottimo caffè, forte, aromatico.
Andarono a prenderlo sul divano.
Agata sprizzava gioia dagli occhi, era felice che Paolo avesse gradito e apprezzato quanto lei aveva preparato.
‘Sei perfetta anche come maestra di cucina, brava.’
Si chinò su lei e le sfiorò la bocca con le sue labbra.
Lei gli si attaccò al collo, con tanta foga che la blusa si slacciò, si aprì, mostrò due bellissime tette, tonde e prepotenti, che, unitamente al resto, provocarono la immaginabile reazione di quanto Paolo non riusciva a trattenere nei calzoni.
Lei lo guardò con occhi lampeggianti, con nari frementi, labbra tumide e tremanti.
Si alzò, lo prese per mano, si avviò verso la sua camera.
Gli indicò il letto.
‘Sono da te fra un istante.’
Paolo si spogliò, rimase completamente nudo, entrò sotto le coperte.
Agata apparve sulla porta.
Meravigliosa, così come l’ha fatta la mamma.
Un corpo molto più attraente e seducente di quanto si potesse immaginare vedendola vestita.
Visione che incanta, pensò Paolo, e il suo fallo era eretto come un obelisco.
Tette meravigliose, fianchi splendidi, un culetto da dipingere’ anche!
Agata si avvicinò, sorridente, tirò via la coperta, lo scoprì, lui era supino.
Spalancò gli occhi.
‘Minchia che amanita cesarea!’
‘Cosa?’
‘Che bedda fungiazza di minchia, amanita cesarea, fungo reale!’
Aveva allungato la mano e abbassato il prepuzio. Lo fissava ammaliata.
Paolo pensò di allentare la tensione, di scherzare.
‘Che fa, lo sai cucinare?’
‘Mizzica!’
Non perse tempo in preliminari od altro.
Salì sul letto, gli si mise a cavallo, sostenendosi sulle ginocchia.
Prese il glande, se lo portò vicino alla vagina.
‘Sapìa, sapevo, che sei lungo, Paolino, ma ora vediamo quanto ce n’entra nella mia pentola!’
‘In fondo, sono solo venti centimetri”
‘Venti centimetri di palo!’
Si abbassò lentamente.
Era eccitata, la vagina era rugiadosa, pronta e ansiosa di accoglierlo.
Infatti fu una impalatura meno difficile de previsto e molto più piacevole di quanto sperato.
A mano a mano che entrava, il grosso glande, che però era molto appuntito, proprio come l’amanita caesarea, si faceva strada, la dilatava dolcemente, la spianava, la carezzava, le provocava voluttuose contrazioni che, a loro volta, mungevano stupendamente il sesso di Paolo che stava provando sensazioni veramente soavi.
Agata era inebriata, quasi non capiva nulla, sentiva, però che stava per essere sopraffatta da un orgasmo travolgente e sconvolgente, che fu abbondantemente condito dall’elisir di amanita cesarea che l’invase.
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Dopo quella sera, Paolo e Franca non avevano più veduto la TV insieme, seduti sul sofà.
Erano stati a cinema,vicini. Lei gli aveva chiesto di tenerle la mano, si era appoggiata alla sua spalla.
Ogni tanto, a casa, lo carezzava, gli dava i suoi bacetti’
Franca, terminata la cena, andò a sedere sul solito divano, di fronte alla TV. Sapeva perfettamente che il fratello aveva dovuto mandare in lavanderia ‘quei’ pantaloni, e ci pensava continuamente.
Suo fratello aveva avuto una tale reazione sessuale solo perché lei gli si era messa in braccio.
Però’ lei si era mossa’ e come’
Perché si era agitata in quel modo?
Perché aveva ben sentito il pisellone fraterno tra le sue chiappe e le era piaciuto. Le sue mutandine non erano state mandate in lavanderia, se le era lavate lei!
Del resto, lei sapeva di non essere niente male, come donna, e Paolo era veramente un bell’uomo, molto attraente.
Forse era stato un errore essergli stata lontana per tanto tempo.
‘Paolo, vieni qui. Devo parlarti.’
Paolo la raggiunse,rimase in piedi, di fronte a lei.
‘Siedi qui, per favore.’
Lui sedette, un po’ pensieroso, e anche preoccupato perché non appena fu vicino la sorella sentì che andava eccitandosi. Era certo il ricordo della volta precedente.
‘Paolo, noi abbiamo sempre parlato chiaramente, a volte crudamente. Possiamo seguitare a farlo?’
Lui annuì, senza parlare.
Poi, si schiarì la gola.
‘Cosa devi dirmi, cucciolo?’
‘Che ti voglio tanto bene.’
‘Anche io te ne voglio,bambina bella.’
L’abbracciò, l’accostò a sé.
Lei si rannicchiò.
‘Ma io te ne voglio in modo speciale.’
‘Cioè?’
‘E credo che anche tu me ne voglia allo stesso modo.’
‘Che sarebbe?’
‘Paolino, quando mi hai tenuta in braccio’ ti sei’ eccitato?’
Paolo si irrigidì.
‘Vedi, certe sensazioni non stanno a pensare se la bella donna che ti sta vicino sia tua sorella o meno. Il sesso non distingue, non conosce i limiti imposti da certi uomini”
‘Lo capisco, Paolino, anche io ho provato ciò che hai provato tu.’
Paolo la guardò. Non era sorpreso per l’accaduto, ma che Franca lo confessasse.
Lei gli prese il volto tra le mani, lo baciò appassionamene, ricambiata focosamente dal fratello.
Gli prese la mano la portò sotto il vestito. Non aveva le mutandine, allargò le gambe.
Gli sussurrò all’orecchio.
‘Senti’ è bagnata!’
Era bellissimo il sesso di Franca, tiepido,accogliente,vibrante.
Lei seguitò,a voce bassa,roca.
‘Noi ci amiamo, Paolo, ci desideriamo, perché cercare lontano quello che abbiamo vicino?
Andiamo a letto, dormiamo insieme”
Paolo la seguì, come un automa, un po’ imbambolato.
Quando furono in camera, Franca lasciò cadere sul pavimento i suoi indumenti e gli fu di fronte in tutto il suo splendore: 177 centimetri di femmina, 90 di petto, 60 di vita, 90 di fianchi. Ventre piatto, petto sostenuto, magnifici glutei, lunghi capelli sulle spalle, che terminavano dove cominciava l’ammaliante e invitante morbida villosità del pube.
Gli sbottonò la camicia, lo spogliò. Lentamente. Lo condusse sul letto.
Si sdraiò accanto a lui, si baciarono teneramente, poi appassionatamente, si cercavano, si esploravano, si guardavano negli occhi, ognuno inebriato dall’altro.
Fu una unione incantevole, e poi un’altra ancora, e ancora.
Non sapevano che si erano desiderati da sempre.
Dormirono abbracciati, profondamente.
Fu lui a svegliarsi per primo.
Ancora un’erezione prepotente.
Franca gli voltava la schiena, nuda.
Si mise dietro lei, col suo pisellone tra le natiche della donna.
Lei percepì quella deliziosa invasione, allungò la mano, lo carezzò.
Il glande premeva sul buchetto di lei.
Lei voltò un po’ la testa.
‘Lo vuoi, amore?’
La risposta fu una spinta più decisa.
‘Non l’ho fatto mai,ma voglio esaudire ogni tuo desiderio. Ti amo, pazzamente, il mio sesso stilla desiderio. Bagnalo nella mia vagina e poi”
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