Appena rientrato in casa, ebbro di eccitazione, mi metto a messaggiare sul telefono in maniera frenetica. Sono in preda ad un raptus eccitato e, deciso a tempestarla, le scrivo una marea di oscenità. “Ciao bella puttana… Ho una voglia matta di sfondarti quel bel culo tosto…”. Mi chiudo in bagno e riprendo a smanettarmi il cazzo. Sono completamente in balia della mia furia sessuale e decido di scattarmi una foto della mia nerchia stantuffata dalla mano che, afferrata l’asta, si agita impazzita su e giù. Le invio la foto e mi dedico alla pugnetta, deciso a completarla con una bella e liberatoria sborrata, quando ecco che squilla il telefono di casa, ed è lei!
Amalia mi chiede se posso andare lì a controllare perché sia saltata la corrente. Dice di aver controllato il contatore ma le sembra tutto come sempre; dice di non capirci granché di queste cose e non vuole mettere le mani dove non sa e fare casini. Io, al pensiero di rivederla ancora, accantono il proposito della sega nel bagno rimandandola a dopo e mi avvio deciso. Mi dico che passando altro tempo con lei avrò occasione di sbirciarla ancora e questo aumenterà poi la potenza della prossima sborrata. Già rivedo con la mente il suo culo morbido e sporgente ondeggiarle sinuoso ad ogni passo e vedo le sue tette di quarta taglia sporgere dall’ampia scollatura del top elasticizzato. Queste visioni fanno aumentare ancor più il volume del mio cazzo che ora mi gonfia il cavallo della tuta in maniera oscena e poco nascondibile. Ma poco me ne frega, anzi, pur conscio del casino in cui potrei finire ho sempre il folle desiderio che lei mi riconosca come il suo molestatore telefonico, e il solo pensarci si traduce nel tendere ancora la mia varra, tanto che mi procura un piacevole dolorino all’inguine. Dolorino che non è niente in confronto allo scuotimento interiore che provo quando la vedo aprirmi la porta in accappatoio.
Con un gesto veloce della mano mi invita ad entrare ed immediatamente chiude la porta poi fa segno indicandomi la strada per il contatore. Percorriamo il breve tragitto con il mio cazzo che svetta dritto gonfiando oscenamente la tuta e lei che, con una voce strana, bassa e roca, mi racconta che appena rientrata dall’aver gettato la spazzatura le è venuta l’idea di mettersi sotto la doccia per poi accorgersi del blackout quando era nuda e pronta ad entrarci. Io fissavo impalato il quadro generale senza capirci una minghia, troppo distratto com’ero da Amalia che, nuda sotto l’accappatoio, mi stava alle spalle, adesso silenziosa.
Ci ho messo un po’ per riprendere un minimo di controllo e notare che era semplicemente ‘stato abbassato’ l’interruttore primario. Stavo per toccarlo e ripristinare la corrente quando mi bloccai di colpo, con il braccio a mezz’aria, e mi sentii scosso sulla parte esterna della coscia. L’ho subito riconosciuto per ciò che era: il mio cellulare che vibrava ed emetteva un ronzio. Mi si è gelato il sangue nelle vene quando però ho realizzato che non era sul numero primario che qualcuno mi stava chiamando, ma sul numero ‘nascosto’, quello che uso solo per Amalia. Stavo infatti molestando la donna che si era messa alle mie spalle quando, proprio lei, ha telefonato a casa chiedendomi di raggiungerla, ed io, preso dall’eccitazione e dalla voglia di fiondarmi qui, l’ho infilato nella tasca della tuta senza ricordarmi di spegnerlo.
GIU’ LA MASCHERA, PORCO!
Il cellulare continua a vibrarmi sulla coscia ed arrivo pure a sentirmi solleticare il cazzo. Deglutisco imbarazzato senza avere il coraggio di prenderlo, poi mi sento toccare ed è lei che infila una mano nella tasca estraendolo. Mi sta accanto ed oltre al mio cellulare in una mano vedo che ha il suo nell’altra, con una chiamata in corso. Per infilarmi la mano in tasca si è dovuta sporgere in avanti e ho potuto vederle il petto nudo e il solco tra le tette bianche.
Ero imbarazzatissimo ed eccitatissimo allo stesso tempo; era quello che volevo, farle scoprire il mio gioco osceno, ma avevo una paura matta che mi prendesse per un depravato sporcaccione e mi sbattesse fuori e rendesse pubblico, alle nostre famiglie, il mio comportamento.
Quando il mio sguardo inavvertitamente incrociò il suo vidi che mi fissava impassibile, aveva le narici tese ed il respiro lento e pesante per la rabbia. Capii che stava per esplodere e prendermi a schiaffi. Stava lì davanti a me, con la faccia severa, mostrandomi i due cellulari che continuavano a chiamarsi tra loro, poi me li infilò nelle tasche della tuta e dopo afferrò l’orlo elastico e con un gesto deciso me li abbassò fino alle ginocchia.
Era un gesto deciso e rabbioso; mi abbassò tuta e mutande insieme e il cazzo svettò ritto e lungo. Una mazza di oltre venti centimetri con una cappella rossa e gonfia che le oscillava davanti al muso. Si mise in bocca la cappella che mi pulsava e prese a succhiarla con una straordinaria avidità. Si era gettata sul mio randello carnoso con voracità. Non aveva iniziato come fa Monica, che prima me lo bacia e me lo accarezza con leccate delicate e poi aumenta gradatamente il ritmo. No, Amalia se lo era immediatamente infilato in bocca fino al palato, succhiando come un’ossessa e senza il minimo ritegno. Io, incredulo, vedevo le sue guance incavarsi tanto era l’avidità nel succhiarmi il cazzo; me lo sentivo tirare e sentivo la lingua spennellarmi la cappella e l’asta.
Stavo in silenzio, avevo l’affanno tanto che ero rapito dal suo pompino. Mentre mi ribollivano nella testa tutte le oscenità che le ho scritto per settimane, Amalia si sfila il cazzo di bocca e prende fiato dopo la lunga apnea, passa a menarmi furiosamente il cazzo con la mano e, con la voce roca, mi sussurra: “Dai, guaglio’, dimmele adesso a voce le cose che mi hai scritto. Dimmi: che sono io? eh!”. “Sei bella… sei una donna bellissima…”, farfuglio io, con la voce rotta dal piacere per la sega che mi sta facendo. “No!”, incalza lei decisa, mentre continua imperterrita a smanettarmi il cazzo sempre più duro: “No no. Devi dirmi le cose che mi scrivevi, altrimenti urlo e dico che volevi violentarmi! Dimmele!”.
AMALIA LA TROIA
Io mi scuoto, spronato dalla sua minaccia, e inizio a dirle che è una gran fica e voglio scoparmela e così facendo ho un ulteriore moto di eccitazione e le sussurro: “Sei una troia e voglio fotterti proprio qui, nella tua bella casetta. Ti piace succhiare il mio bel cazzone, eh? Ho sempre desiderato sbatterti come una puttana… Perché tu sei una puttana, e godi solo se ti trattano da puttana!”.
Glielo dico mentre la afferro per i capelli. Lei mi fissa come sorpresa, è eccitata e annuisce poi aggiunge che sì, è una puttana. Stringo forte nel pugno le ciocche dei suoi ricci bagnati e gliele tiro all’indietro piegandole la testa, poi guido il mio cazzo tra le sue labbra schiuse e do una spinta col bacino ficcandoglielo di nuovo in bocca. “Dai, succhiamelo. Puttana! Bagnamelo per bene che voglio ficcartelo nella tua bella sorca. Fammela vedere!”.
Do uno strattone col pugno chiuso fra i suoi capelli e lei si slaccia la cinta dell’accappatoio e se lo apre mostrandomi tutto il suo ben di dio. Il corpo bianchiccio e morbido punteggiato di lentiggini; le tette grosse e bianche con i capezzoli bruni e le areole belle grandi e rotonde, poi la pancia morbida, i fianchi burrosi e, più giù, si intravvede un bel cespuglietto di pelo color rame scuro.
Stava inginocchiata sul pavimento nel corridoio dove sta il contatore, con la fica nascosta dalle cosce serrate, allora la afferro per un braccio e la aiuto ad alzarsi e, una volta in piedi, le faccio divaricare le gambe e piazzo la mano tra le sue cosce palpandole avido la fica. Ha le labbra carnose e bagnate, io prendo a infilarci prima un dito, poi il secondo ed il terzo mentre col palmo le strofino il clitoride, e lei asseconda il mio frugarla così oscenamente agitando il bacino e mugolando estasiata.
FINALMENTE LA SCOPATA
Dopo, sempre tenendola per i capelli, la guido nella cucina e la faccio sedere sul bancone, lì allarga le cosce e mentre io continuo ad insultarla lei si dirige il mio cazzo, sempre più duro e tirato, tra le labbra gonfie e sporgenti per l’eccitazione. “Sììì… così, bella zoccola che non sei altro, ficcatelo dentro… ti piace, eh…”, le dico assestandole finalmente dei decisi colpi nella fregna. “Sì, mi piace… mi piace mi piace! Entrami tutto, fammi godere come una cagna!”, rispondeva lei sussultando ad ogni mia penetrazione e inarcando la schiena.
Il bancone tremava, con tutti gli oggetti che stavano sopra, Amalia, la mia vicina di casa nonché lontana parente acquisita, ansimava e mugolava come una cagna in calore, incitandomi a ficcarle dentro tutto il mio ‘arnese’.
“Mmm, sfondami dai… Lo voglio tutto dentro il tuo bel cazzone… Sììì!”, ripeteva mentre io continuavo a tenerle reclinata la testa e le strizzavo avidamente le tette che ballavano per le mie stantuffate nella sua figa, colante umori lungo il bancone. Sentivo prossima la sborrata e allora mi avvinghiai le sue gambe ai fianchi e diedi dei colpi più decisi che le fecero uscire dei gridolini malamente soffocati, poi sfilai il cazzo dalla sua fica. “Inginocchiati, troia! Dai che ti riempio la bocca di sburro! Sentirai finalmente il sapore di un vero maschio… altro che quell’idiota cornuto di tuo marito…”, le ho detto mentre la aiutavo a scendere dal bancone.
“Fammelo sentire, dai. Ho una gran voglia di farmene una bella ingoiata…”, ha risposto lei ingolosita, e dopo avermelo succhiato mentre le sborravo in bocca si leccava le labbra soddisfatta e commentava: “Mmmh, era dai tempi del liceo a Napoli che non ne ingoiavo tanta! Cazzo, sei nu cavallo, guaglio’!”, disse sorridente. Io le chiesi dei vicoli che aveva citato, mentre mi sistemavo, e lei precisò: “Eh… bello mio, io a 14 anni ne facevo di pompini. Ai miei compagni più fichi; a un paio di ragazze gliela leccavo in cambio delle copie dei compiti; anche al prof di Matematica gliel’ho succhiato per farmi alzare il voto! Che ti credevi?…”, disse con fare divertito ed orgoglioso, “che coi tuoi messaggi osceni mi avresti scandalizzata e indignata? Io sono ‘na puttana vera! E tu, guaglio’…”, mi disse sprezzante e impettita mentre si sistemava l’accappatoio, “…hai solo levato il coperchio che teneva chiuso il mio essere troia!”. Mi strinse il cazzo da sopra la tuta e ammiccò facendomi capire che prefigurava altre focose scopate come quella, io tornai a casa ancora eccitato per come erano andate le cose ed intrigato per il proseguo che si preannunciava.
UNA PUTTANA VERA
Da quando era nata la relazione con Amalia, avevo preso a passare più tempo con il figlio Antonio. Mi trovavo sempre più spesso a casa sua e non certo per il piacere della compagnia di questo nerd sfigato, ma per godere della presenza di quella troia della madre a cui lanciavo occhiate cariche di desiderio e che svelavano osceni pensieri su di lei.
Lei all’inizio si è mostrata sorpresa e contraria a questa iniziativa, mi scriveva sms dandomi del pazzo e dello stupido, poi ci si è abituata e ci ha preso gusto mettendosi a rispondere alle mie occhiate con eguale lussuria.
Ho mantenuto, facendola diventare un’abitudine, l’uso di andare da loro in tuta, le volte che sto più infoiato del solito senza neanche le mutande; giravo attorno alla padrona di casa e ad ogni occasione mi piazzavo in modo che non potesse non notare il cazzo in tiro che gonfiava il pantalone, e lei non perdeva occasione per sbirciare e ammiccava, facendomi capire che era pazza dal desiderio di averlo fra le mani, in bocca, nella fica.
Un giorno ero appunto più infoiato del solito, stavo a casa mia a fare pesi nello stanzino che avevo adibito a palestra privata, ma il pensiero andava fisso su Amalia; su questa MILF figa che stava nella villetta accanto. Il cazzo era dritto e duro e ho deciso che dovevo andare da lei, se proprio non doveva uscirci niente di concreto almeno volevo mi vedesse; vedesse quanto era gonfio e duro il mio cazzo, per lei. E così andai lì per sfidare Antonio a qualche stupido videogames (e lui naturalmente non si tirò indietro), ma prima di raggiungerlo al piano superiore era d’obbligo fermarmi sotto e salutare, da bravo ospite. Contavo molto sul fatto che Arturo non fosse in casa (lavorava come tuttofare in una grossa ferramenta della zona e non sottostava a nessun orario prestabilito).
Quando la moglie aprì la porta mi accorsi, dalla sua espressione, che lui non c’era ed entrando chiesi di Antonio. Naturalmente, da sfigato NERD qual era, stava rintanato nella sua stanza rincoglionendosi davanti ad uno schermo e con le cuffie alle orecchie per spararsi la musica tutta urla e grida che piace a lui, ma nonostante la sicurezza che non potesse sentirci ho pronunciato con tono normale i saluti di rito: “Ciao Amalia, come stai? Antonio ci sta? Ah, sta sopra… Bene, vado un po’ da lui. L’ho sfidato a un videogioco, vediamo se mi batte pure stavolta,” dissi sorridendo, mentre con uno sguardo eloquente le facevo capire che me la mangiavo con gli occhi e tenendo sollevato l’orlo della maglietta le indicavo la vigorosa erezione che montava nei pantaloni.
“Succhiamelo!”, le bisbigliai, “inginocchiati e succhiamelo!”. Lei mi guardò sbigottita. “Sei pazzo!? Se dovesse scen…”, la interruppi: “No che non scende!”, ribattei duro, a quel punto ero troppo eccitato e vederla con indosso una maglietta leggera estiva senza reggiseno sotto e i leggings neri aderenti mi fece perdere la testa. “Dai, cazzo, lo sai meglio di me che da quel computer non lo smuove neanche un bombardamento. E poi, guardati… che troia arrapante che sei…”, le fissavo le tette che risaltavo strette dal tessuto poi la tirai a me palpandole il culo bello morbido anch’esso risaltato dal tessuto elasticizzato dei suoi leggings. “L’hai fatto apposta per farmi arrapare, eh?”.
Continua…