“Mi accarezzai il seno, la mia mano fu impietosa nello stringere la sua inconsistenza e poi scesi tra le cosce e anche lì la mano non poté che constatare una…”
In quei giorni di libertà e vacanza, Giulio si era sempre comportato
da galantuomo, ma una nuova prova per questo giovane maschio stava per arrivare.
Venerdì arrivò una famiglia di francesi con la loro procace figliola di nome Justine.
Non serve dire che questo fiore di Francia appena ventenne, raccolse più sguardi che raggi di sole, tant’è che restava spesso sotto l’ombrellone perché la sua fragile pelle di porcellana bretone, arrossiva subito sotto questo luminoso cielo mediterraneo.
Era molto castigata, aveva una folta chioma castano chiaro con qualche sfumatura rossa, sempre ben legata con elastici di diversi colori e si sapeva vestire elegantemente ,senza scadere nelle grandi firme, qualità che apprezzo molto sia negli uomini che nelle donne. I suoi occhi blu erano sempre nascosti dietro grandi occhiali scuri che abbassava sapientemente sopra la punta del naso solo quando voleva darsi un tono; aveva lunghe mani affusolate con un solo anellino d’argento fino, non si capiva se fosse promessa a qualcuno,un regalo della mamma o solo un bluff per ingannare tutti e lei se ne guardava bene dal rivelarlo, lasciando tutto all’immaginazione di chi l’avvicinava.
A quell’età i seni stanno su da soli e il reggiseno è solo un modo per dargli un taglio diverso, lei aveva due enormi seni e la pelle così tesa che faceva invidia a tutti sulla spiaggia e i commenti degli uomini si sprecavano su come avrebbero torturato tra le loro mani quella meraviglia.
Erano grandi e sodi, si appoggiavano con tutto il loro peso su quel esile torace e il bikini sembrava faticare a tenersi legato, le braccia e le spalle fini, accentuavano le forme di quel seno procace.
Se uno di quei porci sulla spiaggia, le si fosse messo sopra, come sentivo dire, tra un ombrellone e l’altro, per approfittarsi di tanta morbidezza, probabilmente le avrebbe spaccato due coste al primo colpo di reni.
Le gambe erano ancora quelle di una adolescente, ne muscolose, ne grasse, ma agili e lei le teneva sempre serrate senza mai scivolare in pose volgari o imbarazzanti.
Il culetto era pronunciato ma asciutto. Sodo e invitante ma sempre coperto agli occhi famelici degli uomini in spiaggia, da uno slip adeguato e coprente. Aveva sandali sobri e dalle linee eleganti calzati da un bel piede greco e con le unghie ben curate, segno che la ragazza ci teneva a sottolineare la sua femminilità come si suol dire, dalla testa ai piedi.
C’era anche sua madre, una donna grosso modo della mia età , capelli corti, formosa ma sempre coperta da camicie arabeggianti e scure, fino alle ginocchia, quasi a voler nascondere le proprie forme ormai non più piacenti pensai e portava sempre occhiali scuri, senza toglierseli mai.
Ma questo è quel poco che notai da uno sguardo sommario e affrettato, nei primi due giorni della loro lunga permanenza; perché appena quel cornuto di suo marito se ne andò, probabilmente per tornare in Francia a curare gli affari, le due donne cambiarono atteggiamento.
L’indomani mattina, scesero tardi in spiaggia e non sembravano più quelle di prima.
La ragazza aveva la metà del bikini del giorno prima, i capelli raccolti in un concio dal sapore caraibico come a suggerire una particolare “presa” in certe situazioni piccanti. Vistosamente truccata con colori accesi e un pareo sottile come la seta lasciava passare tutti gli sguardi che piovevano su di lei. Anche il modo di porsi era diventato più aggressivo e provocante e aveva perso proprio quella delicatezza che ai miei occhi l’aveva distinta dalle altre ragazze della sua età .
I ragazzi durante tutta la giornata, cercarono di coinvolgerla in diversa attività senza riuscirci, salvo che per l’appuntamento serale dell’aperitivo, cui generalmente non mancava nessuno.
La madre finalmente mostrava ai mariti delle signore dell’albergo, cosa celasse sotto quelle lunghe camice africane e devo ammettere che la signora si difendeva bene, anche se le linee molto mediterranee le davano più un aspetto volgare, da donna dalle mille fatiche extra-coniugali piuttosto che da moglie devota.
Naturalmente anche la signora ,che però di signorile aveva poco, cominciò ad avere intorno a se le attenzioni dei mariti più baldanzosi e affamati, i così detti “mariti da spiaggia”, quella particolare fauna estiva di uomini, che si lanciano in corteggiamenti grossolani e senza senso del ridicolo, che popolano le nostre italiche spiagge.
Aurine, così si chiamava la baldracca francese, con questo nome da analgesico, era ovviamente preparatissima a raccogliere sguardi e complimenti all’italiana e al momento dell’aperitivo serale,
la vidi in atteggiamenti molto intimi con un giovane maritino, fresco di matrimonio, cui la moglie evidentemente, aveva inteso la vacanza, in senso anche di vacanza dall’intimità .
La ragazza invece, sembrava non aver ancora scelto chi rovinare e la cosa cominciò a preoccuparmi perché avevo notato che Giulio, pur non avendola mai avvicinata, l’aveva sempre osservata con tanto interesse. Ma Giulio era mio.
Erano passati due giorni, da quel momento di passione con lui, tra noi c’era ancora una tensione, fatti di sguardi e sorrisi di complicità , che non aveva spento quel desiderio, quella voglia che non avevamo ancora assaporato appieno.
L’arrivo delle francesi, mi obbligava ad accelerare i tempi, così cominciai a mandare brevissimi messaggi a Giulio, quando le straniere facevano qualcosa di buffo.
“Che classe…” gli scrissi quando a tavola la signora succhiava gli spaghetti, sporcandosi rumorosamente e lo vidi sorridere dall’altro capo della tavolata.
“Vive la France!” quando la ragazza uscendo dal mare perse il mini-kini e dovette tornare in albergo, coprendosi alla meglio, scandalizzando le mogli mentre i maritini presero a fargli delle foto col cellulare, mentre lei imbarazzata raggiungeva la sua stanza.
Giulio rispondeva sempre divertito e anche lui di rimando, scrisse qualcosa di spiritoso, aveva capito il gioco. Averle messe in ridicolo, mi dava ancora qualche possibilità di averlo tutto per me.
Ma quei brevi messaggi, non potevano bastare e così alzai la posta e appena tornata dalla parrucchiera, gli mandai una foto, a torso nudo ma di spalle, con un braccio a coprire il seno che poteva vedere sfocato nel riflesso dello specchio davanti a me.
“Ti piace il mio taglio?” scrissi allusivamente e attesi la risposta per cinque lunghi minuti.
Pensai che forse non gli fosse arrivato, ma non potevo certo mandargliene un’altra, avrebbe perso di forza erotica se ne avesse avute due e poi avrebbe pensato che fossi così vecchia, da non saper usare questi maledetti smartphone. Aspettai altri dieci minuti. Seduta sul bordo del letto, con il telefono davanti a me, in attesa della risposta come una ragazzina di 16 anni.
Tornai in bagno a guardarmi allo specchio. Mi pareva d’essere più vecchia del solito e poi quel taglio non mi aveva convinto del tutto. Avevo 47 anni in fondo e Giulio su quella spiaggia poteva scegliere una ragazza della sua età , con tutta la sua freschezza. Ero stata una sciocca a mandargli un messaggio come quello, magari era da qualche parte a ridere di me con i suoi amici.
Poi uno squillo! Ecco la risposta. Quasi scivolai a terra per prendere di corsa il telefono e quando vidi che era l’annuncio di un offerta tariffaria, mi venne voglia di spaccarlo contro il muro quel maledetto coso. Improvvisamente non avevo più voglia di fare nulla.
Andai sotto la doccia per sciogliere i nervi, rimasi sotto l’acqua più del necessario e mi insaponai tutta, come a nascondere sotto la schiuma, un corpo che ormai non poteva più suscitare i desideri di un uomo, figurarsi quelli di un ragazzo. Mi accarezzai il seno, la mia mano fu impietosa nello stringere la sua inconsistenza e poi scesi tra le cosce e anche lì la mano non poté che constatare una certa rilassatezza dovuta al tempo e all’aver voluto assecondare le mie voglie fin da giovane.
Mi sciacquai con spirito di accettazione, presi l’accappatoio e legandolo ben stretto mi lasciai cadere sul letto con lo sguardo fisso al soffitto. Persa nei miei pensieri.
Girai lo sguardo sul comodino. Non aveva squillato. Perché mai avrebbe dovuto? Lo guardai ancora e notai una piccola luce. Presi in mano il cellulare. C’era un messaggio!
Nella rabbia di prima avevo abbassato la suoneria senza accorgermene, Giulio mi aveva risposto.
Il cuore cominciò a battere a mille, mentre cercavo di sbloccare lo schermo con le dita bagnate poi ecco, aprii il messaggio. “Sei stupenda Sabrina” e nient’altro.
Lo aveva mandato mentre ero sotto la doccia, povero ragazzo, lo stavo facendo aspettare da almeno venti minuti. Non avevo ancora realizzato cosa rispondergli che ne arrivò un’altro, con una foto allegata.
“Ti piacciono gli slip che mi ha comprato la mamma?” e quel disgraziato aveva osato fotografarsi in posa sul letto a gambe aperte con una vistosa erezione.
Scoppiai a ridere. Era l’erezione di un giovane uomo. Doveva esserne orgoglioso, a giudicare dalla sicurezza che sembrava avere in quella foto. Aveva avuto la malizia di stirare bene l’elastico degli slip così che potessero aderire meglio e tenendolo in diagonale, la punta faceva appena capolino.
Non aveva ancora la carnosità di quello di un uomo, ma sicuramente l’aspetto turgido tradiva qualche giorno di astinenza, tant’è che palle e cazzo facevano un tutt’uno.
Era la sua risposta alla mia foto. In fondo non era scaduto nella volgarità di molti uomini che non hanno ancora capito, che è sempre meglio bluffare che scoprire “il gioco”, quando si vuol usare la carta della seduzione.
“Mi sembra ti vadano un po’ stretti, mi sa che la tua mamma crede ancora che tu sei un bambino,
ma è evidente che non lo sei più…” fu la mia risposta.
Improvvisamente ritornai energica e un leggero sfarfallio nello stomaco si impadronì di me.
Stavo bene, stavo meglio.
“Stasera ci sono i fuochi…” rispose subito Giulio alludendo alla festa in spiaggia.
“Ci sarà tanta confusione fino a tardi… se scendiamo” dissi trattenendo il respiro in attesa della risposta del giovane.
“Se scendiamo…ma possiamo fare tardi senza scendere” disse lui.
A questo punto, la tensione era alta e la risposta sbagliata avrebbe potuto rovinare tutto.
Non ebbi modo di finire di pensare a cosa rispondere, che mi scrisse ancora.
“Ho voglia di Te…” doveva aver fatto un respiro profondo per scrivere una frase del genere ad una donna come me.
Avrei potuto offendermi, avrei potuto respingerlo per non avermi dato il tempo di scegliere, avrei potuto rompere questo gioco tra noi, solo per dargli una lezione su quali cose si dicono e quali vanno solo accennate, perché evocarle a volte vuol dire perderle. Avrei potuto fare la stronza.
Ma il mio corpo aveva già deciso per me e nessuno scrupolo era stato abbastanza convincente da fermare la voglia di trovarsi tra le braccia di quel ragazzo.
Farlo venire in camera per tutta la notte era troppo rischioso. Si sarebbe saputo prima o poi e non volevo passare per quella che non sono, perché quello che stava accadendo era qualcosa di diverso. Di speciale.
Ma in cima al monte a qualche chilometro da qui, c’era un piccolo albergo per viaggiatori, che guardava sul mare, un luogo tranquillo e anonimo dove avremmo potuto stare soli.
Non so come mi venne in mente o forse ci avevo sempre pensato e così mandai la mia risposta.
“Fatti trovare cento passi dall’albergo sulla strada che va al monte….ti porto lontano stanotte” gli dissi e corsi a prepararmi senza neanche il dubbio che potesse rifiutare.
Volevo farmi trovare più attraente che mai e così indossai un finissimo tanga nero su una depilazione vellutata e dei pantaloni di lino bianco e dalla foggia larga, sandali neri e una canotta molto scollata rossa e legata dietro il collo, senza reggiseno così da farmi desiderare fin da subito, non volevo che avesse dubbi sul nostro destino di quella sera.
Presi la borsa con il necessario che ogni donna che farà l’alba porta sempre con se e uscì dalla camera. Non feci a tempo a girarmi che mi accorsi di non aver guardato la risposta sul telefono.
L’avevo lasciato sul comodino. Rientrai e mi precipitai a leggere la risposta.
Non avevo dubbi. A pochi passi mi aspettava l’inizio di una storia di mezza estate.
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