Elisabetta è una donna sui 35, pelle olivastra e chioma corvina di capelli lasciati liberi sulle spalle del suo maglione poncho blu. Indossa jeans aderenti che nonostante la sua scarsa considerazione, risaltano le sue curve burrose, è alta 1 metro e 76 ha una 48 di vita e una terza abbondante.
Completano la sua figura degli stivaletti a pianta bassa grigi di tessuto dentro i quali si infilano i jeans.
E’ una donna seria e si concede pochi momenti di svago, il viso presenta dei lineamenti decisi, con un naso impercettibilmente più pronunciato di quanto dovrebbe e delle sopracciglia spesse e marcate sopra ai suoi occhi scuri come il caffè.
Lavora in una struttura pubblica dove durante la giornata riceve e fa colloqui orientativi a decine e decine di persone insieme ad altri dieci, tra colleghe e colleghi.
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E’ lunedì mattina, sono circa le nove e trenta e la giornata lavorativa è già cominciata in maniera spedita: 4 colloqui da 20 minuti l’uno per poi finire la compilazione di alcuni documenti.
Decide di approfittare del momento di poco lavoro per andare a prendersi un caffè, non è schiava del caffè ma oggi è lunedì ed è sempre dura. Si alza quindi e abbandonando la sua scrivania si dirige verso l’uscita, imboccando un altro corridoio invece che il portone d’ingresso arriva ai distributori automatici.
Entrando nel piccolo locale che ospita le macchinette scorge due uomini che parlottavano fra di loro fino a prima di notarla, ora la seguono con lo sguardo in silenzio.
Elisabetta fa finta di nulla, è abituata al via vai che c’è nell’edificio e inserisce la chiave nella macchinetta facendosi gli affari suoi.
Uno dei due rompe il silenzio e dice rivolgendosi a lei:
-Ma tu non sei donna di prima a uficio?
-..si.. sono io perchè?
L’uomo sorridendole si sgancia dal compare e si avvicina a Elisabetta che col bicchierino di caffè in mano lo guarda con curiosità mentre lui rantola qualcosa in arabo..o indiano, al compare che si allontana immediatamente da loro e va a piazzarsi alla fine del corridoio, una quindicina di metri, di fronte all’ingresso.
Elisabetta fiuta la malacarne del suo interlocutore e fa subito mente locale sulle vie di fuga.
Il corridoio: no.
La finestra: tapparella abbassata, evidentemente no.
La porta che da nella stanza di servizio: ovvio che no.
La porta che da nell’altro corridoio: si.
In questi cinque secondi che Elisabetta impiega per far mente locale l’uomo è già tra lei e le due porte, lasciandole scoperta la via di fuga del corridoio che sa che comunque non potra percorrere, il suo compare infatti fa un cenno da lontano e sorride.
-Ee perchè perchè… perchè hai bello culo grande come mi piace ecco perchè..
Il cuore di Elisabetta accusa il colpo e una vampata di terrore la investe dallo stomaco alla fronte lasciandola inebetita col bicchierino in mano.
A pensar male avevo pensato bene, realizza mentre tenta di scansare l’uomo che per tutta risposta le fa le finte con busto e braccia, come un portiere di calcio, mentre ride e non la lascia passare.
‘Dove vuoi andare?’ le chiede spocchiosamente mentre nota che Elisabetta fissa istintivamente la porta che da sul corridoio, ride ancora, e indietreggiando di due passi apre l’altra e vede lo stanzino di servizio.
Contento dell’intuizione rimarca la risata e le dice: ‘Vedi che io no scemo come tu pensi, entra la muoviti che no ho tempo’ e mentre lo dice estrae un coltellaccio a serramanico dalla tasca dei jeans.
Elisabetta rimane impalata su due piedi mentre riceve l’ordine perentorio dell’uomo che adesso brandisce anche un coltello e lo agita nell’aria verso di lei intimandole di muoversi.
Non ha il tempo materiale per pensare o rendersi conto di cosa sta succedendo che lui la afferra per una spalla e la spinge malamente dentro allo stanzino mentre il bicchierino di caffè cade per terra.
La porta dello stanzino si chiude e l’uomo cerca l’interruttore della luce, accendendo una lampadina che penzola precariamente da un filo appeso al soffitto.
Elisabetta non perde di vista per un attimo il coltello dell’uomo che rigiratosi verso di lei le sorride ancora con la sua espressione contenta e rabbrividevole.
-Adesso fami vedere questo belo culo dai.. girati dai che devo vedere
-No per favore ascolta che cosa ti ho fatto di male io..
-SKIAFFF-
Uno schiaffo travolge Elisabetta all’altezza dell’orecchio facendola sbilanciare e girare su se stessa mentre lui l’afferra e la appoggia col ventre al carrello delle pulizie.
Elisabetta inizia a piagnucolare per il dolore dello schiaffone ricevuto e tenendosi l’orecchiio con la mano accenna un debole e inutile movimento per liberarsi della presa di lui che intanto la cingia alla vita e le ha già sbottonato i jeans.
-Abasati pantaloni dai e fammi vedere culone e no urla perchè se no questo coltello poi è sporco di sangue quando vado via. Dai putana muoviti se no perdo pazienza.
Elisabetta si porta le mani ai lembi dei pantaloni e lentamente li abbassa scoprendo la pelle del suo sedere coperta non troppo bene dagli slip fuori posto a causa della colluttazione.
Immediatamente una manata energica la colpisce sulla chiappa sinistra e lei sobbalza singhiozzando, scoprendosi inaspettatamente in preda al terrore e in lacrime.
L’uomo si rimette il coltello in tasca e rapidamente si abbassa i pantaloni liberando un pene di medie dimensioni, circa 18 centimetri ma abbastanza largo, nulla di esagerato comunque come credenza popolare racconta.
Lo struscia contro il culo di Elisabetta che impotente lo implora di fermarsi mentre lui le scosta di lato ancora di più le mutandine lasciandola inesorabilmente a culo nudo.
-Adesso tu no urli se no ti metto testa in quel secchio e ti amazo puttana italiana, lo vedi come ti inculo adeso, prima seduta no avevo visto tuo culo ma adeso ti fotto che mi piace incularmi donne come te puttana.
Elisabetta assimila queste parole come una sentenza di morte e istintivamente caccia un urlo che l’uomo soffoca quasi subito con la mano e le dice:
-Allora no hai capito, tu stai zitta e io finisco e me ne vado se urli ti amazo ma prima ti faccio inculare anche da mio amico capito? CAPITO?
Elisabetta annuisce con la mano di lui che le lascia la faccia e la prende per i fianchi.
L’uomo si inumidisce la cappella e la appoggia a Elisabetta che istintivamente si irrigidisce ma dura poco questa resistenza perchè lui le da uno strattone ai capelli e spinge. Spinge prepotentemente il cazzo nel culo di Elisabetta che a bocca aperta e occhi spalancati subisce senza fiato, senza che una vocale le esca dalla bocca.
Una volta aveva provato il sesso anale con un uomo che doveva essere quello della sua vita ma appena entrato il tempo di dare due spinte, lei non ha sopportato oltre e non se n’è fatto mai più nulla.
Adesso invece Elisabetta non può dire di no, non ha potuto neanche dire si, e lo sente che la allarga fino al limite estremo mentre penetra nella sua carne.
L’uomo la prende per i fianchi e rimettendosi a ridere impartisce subito un ritmo sostenuto che la strazia e la profana senza pietà .
-Ah che bello culo italiano senti come sbatte puttana.
Elisabetta è affranta e umiliata, in tutto questo spettacolo raccapricciante, paradossalmente la cosa che le da più fastidio è dover subire il ritmo e le spinte violente del suo assalitore che implacabile la palleggia tra il suo ventre e il carrello delle pulizie facendola sobbalzare come una bambolina di pezza senza valore.
L’inculata dura relativamente poco, evidentemente l’uomo doveva solo sfogarsi e l’ha vissuta come una liberazione più che come un piacere.
I colpi ora si fanno più lenti e profondi, la sta infilzando senza remore e lei vive passivamente la fase finale di questa violenza sibilando solo ogni tanto un ‘ahh’ più per effetto di spinta che per dolore o piacere.
Dopo una decina di colpi così l’uomo si libera e viene spudoratamente dentro al culo di Elisabetta che accorgendosi di essere invasa da un liquido bollente produce un lamento senza forze.
Lui è soddisfatto e non cessa un momento di ridere mentre è ancora dentro di lei le sculaccia a piene mani le chiappe contemporaneamente per poi uscire di scatto e lasciarla libera di accasciarsi al carrello.
-Stringi culo adeso puttana se no ti caghi addosso ahahahaha eh?? ahahaha come ti ho rotto culo eh??
Dopo aver detto queste parole ed essersi risistemato i pantaloni la afferra per i fianchi la gira e la costringe a baciarlo, è l’umiliazione finale per Elisabetta che sarebbe disposta a barattare qualunque cosa ora purchè tutto finisca.
Le infila la lingua in bocca e la profana anche così mentre una mano scorre sul suo culo violato e alcuni buffetti lo fanno sballonzolare.
-Ciao puttana non dire niente a nessuno perchè ho tuo nome su mio foglio che mi hai dato prima e ho 5 frateli che se li porto da te sei rovinata.
L’uomo la bacia un ultima volta sulle labbra ed esce rapido dalla porta.
Elisabetta, brutalizzata da tutto questo susseguirsi di eventi si riveste, si ripettina, si risistema come se nulla fosse accaduto avviandosi con calma verso il corridoio ormai vuoto diretta nell’ufficio e alla sua scrivania.
Cammina incerta trovando difficoltà a mascherare l’effetto di quello che le è appena successo.
Entra in ufficio e senza farsi notare si dirige al suo posto, sentendosi tremendamente in colpa con se stessa a causa dell’eccitazione che ora la pervade mentre procede, con lo sguardo fisso nel vuoto e il culo pieno di sperma.
E meno male che negli edifici pubblici stanno tutti col caffè in mano.
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