Ancora una volta abbiamo discusso per fatti indipendenti dalla nostra volontà
Ti capisco: abbiamo programmato per bene tutto quanto: partenza il giorno X, ritorno il giorno Y. Mare, lo stesso posto dell’anno scorso perché ci siamo trovati bene e anche quest’anno ci saranno gli amici conosciuti 12 mesi fa. Lasciamo perdere che io avrei preferito cambiare e andare in Sicilia o Sardegna o all’estero. Niente da fare, ti sei impuntata. Nessun problema, anche la Toscana mi piace. Tua figlia è in vacanza col padre. Io e te soli, per svagarci e magari far svanire qualche piccolo dissapore avuto ultimamente e sempre per cose piccole.
Magari. Arriva la mazzata. Problemi di lavoro e devo posticipare le mie ferie di una settimana.
Non è colpa mia, lo sai bene che il lavoro che faccio può avere di questi imprevisti ma niente, ti arrabbi e mi rivolgi le accuse più fantasiose, assurde, poi taci e mi metti il broncio per tre giorni. Non mi sfugge un improvviso sorriso furbetto. Qualcosa ti è passato per la mente, qualcosa che penso non mi piacerebbe sapere. Da un po’ ho il sentore, il timore, che tu abbia un altro.
Decidiamo così che tu andrai avanti da sola e io ti raggiungerò. E’ la soluzione più logica, la migliore, eppure ancora ho l’impressione che, se pur l’ho detto io per primo, tu abbia fatto apposta a farmelo fare, perché l’idea venisse da me.
Maledetto sospetto, è un tarlo che quando ti entra in testa non ti abbandona e scava” scava.
Il giorno prima della partenza usciamo a cena. Faccio di tutto per farmi togliere il broncio, mi comporto come se dovessi conquistarti nuovamente, e forse è proprio così. Nulla di troppo elaborato: cenetta in un posticino intimo, mazzo di fiori, passeggiata sul Corso sottobraccio. Sembra avere successo.
Andiamo a casa mia e sei appesa al mio braccio gaia come sempre ti vorrei. Appena entrati già ci scambiamo baci più profondi di quelli, rapidi e succosi, che ci siamo dati per strada, il tuo corpo aderisce al mio e ne sento il calore attraverso gli abiti leggeri.
Andiamo in camera e ci spogliamo in silenzio, guardandoci. Per me è una delizia ogni volta vedere il tuo corpo svelarsi piano a piano, man mano che gli abiti cadono e scoprono la tua pelle. Conosco quel tuo sguardo, vuoi prendere tu in mano la situazione ed io ti lascio fare. Mi lascio spingere sul letto, ci cado sopra e mi abbandono e tu già sei sopra di me, la tua mano me lo impugna, lo scuote leggermente. Vi deponi sopra una pioggia di baci, lo tocchi languidamente con la lingua e ancora non vai oltre. Aspetti che io te lo chieda? E allora lo faccio:
– Succhiami il pene ‘
Che frase stupida che ho detto. Avrei potuto dire ‘succhiamelo’. Con tono imperativo o supplichevole, poco importa; o qualsiasi altra frase ma non questa così banale.
Tu mi deridi:
– Pene? Io non vedo peni qui intorno, solo un cazzo ‘
Sì: pene, cazzo, membro, uccello, minchia, batacchio’. Il Belli ha usato molti più sinonimi nella sua poesia, a me è uscito: pene.
– Non lo so come si succhia un pene, però so come si succhia un cazzo ‘
Ancora mi prendi in giro un attimo prima di scendere con la bocca su di me.
Lo sai cosa mi piace: la tua lingua picchietta sulla corona proprio lì dove era attaccato il filetto, poi si arrotola intorno al glande, lo riempie di saliva e, all’improvviso, il calore umido della tua bocca mi avvolge facendomi rantolare sul letto.
Smetti subito e subito ricominci senza dimenticare di scendere sulle palle, e ancora salire con la lingua su tutta l’asta, e ancora imboccarmi finché puoi.
Sono teso, potrei godere in qualsiasi momento, sento qualcuno guaire come un cagnolino: sono io, però resisto: il tarlo continua a scavare e per quanto sia piacevole la tua carezza nella mia testa è vivo il pensiero che lo fai per farti perdonare qualcosa. Qualcosa fatto o ancora da fare? E’ un gioco il tuo? Non lo so ma voglio giocare anche io:
Mi sottraggo alle tue labbra con la forza lasciandoti interdetta. Non ti lascio il tempo di chiedere, ti sollevo e ti sdraio sul letto. Ora tocca a me e anche io so cosa ti piace. Mi impongo di essere delicato all’inizio, come tu preferisci, e andare in crescendo, come direbbe Rossini. Ti lecco micia e clitoride come un gattino può leccare il latte, poi il tocco della mia lingua, delle mie dita, si fa più veloce, più pressante. Le tue mani mi stringono i capelli, le tue cosce mi serrano la testa. Cerchi di staccarmi da te tirandomi per i capelli con forza e poi ti arrendi godendo con le mie labbra che suggono forte il clitoride e due mie dita che ti scavano da dentro, le tue mani che ora non tirano più i capelli ma mi stringono a te.
Non stai fingendo, il dubbio mi aveva sfiorato; come prova ho la bocca e il volto bagnati ma non te ne curi quando mi baci dopo che mi sono steso al tuo fianco. Sorridi e non vi leggo altre cose se non la tua felicità.
Io non sono felice. Se il tuo è un gioco allora continuiamo a giocare. Pensavi di potermi ‘controllare’ con un pompino, uno di quelli che solo tu sai fare? Ora vedremo chi controlla e chi è controllato. Mi ti sdraio sopra, ti succhio i capezzoli turgidi, ti lecco la tenera carne sotto l’ascella strappandoti un gemito e poi mi dedico al tuo collo che bacio e lecco a lungo, soprattutto il tuo punto più ricettivo, quei due centimetri quadrati di pelle dietro l’attaccatura delle orecchie. Muovendomi strofino il cazzo sul tuo ventre e ti sento aprire, pronta a ricevermi ma ancora insisto e avverto la tua eccitazione salire fino a quando mi preghi di scoparti. Poche volte te l’ho sentito fare, mai con questa intensità.
– Mettimelo dentro, ti prego, scopami forte, scopami, scopami ‘
E’ una litania che esce dalle tue labbra e invece insisto con la lingua dove più ti piace. Mi sottraggo alla tua mano che è scesa in basso per prendermi e tirarmi a te, ancora un minuto, ancora un secondo e poi cedo e sprofondo in te, calda, bollente, scivolosa.
Abbandono ogni idea alla sensazione che dal cazzo mi arriva dritta al cervello e mi muovo sempre più forte, sempre più veloce sentendoti ansimare, gemere e godere un’altra volta chiedendomi di smetterla, prima che anche io raggiunga il piacere e riempia il tuo ventre con il mio seme.
Stesi uno di fianco all’altra, sudati, riprendiamo fiato.
Mi stupisco di me stesso, non ricordo di essere mai riuscito a trattenermi così tanto.
E’ il tarlo, solo quel pensiero fisso può avermelo permesso.
Quel tarlo che ora sento solo fiocamente guardando il tuo bel viso illuminato dal sorriso più bello che io ti abbia mai visto.
Ci facciamo la doccia insieme come da tempo non capitava, ci laviamo a vicenda in allegria e siamo di nuovo eccitati. Frettolosamente ci asciughiamo e torniamo sul letto disastrato e di nuovo mi prendi in bocca per farmi tornare duro come non mai.
Questa volta mi sali sopra tu e mi prendi dentro muovendoti come un’amazzone prima al trotto e poi al galoppo. Io gioco con i tuoi seni che sfuggono alla mia presa muovendosi dappertutto. Poi ti blocchi, rivedo nei tuoi occhi quella luce. Mi prendi con la mano e mi fai uscire da te. Solo un secondo, il tempo di spostarmi e indirizzarmi poco più in là, al buchino tra le natiche.
Non riesco ad entrare, sei tesa, serrata. La tua mente lo vuole, il tuo corpo si nega. Ti dico di rinunciare, di farmi entrare ancora nella micina.
– No, aspetta, ora’.. ‘
Non riesci, vedo una smorfia di dolore imbruttirti il viso. No, se proprio vuoi ti aiuterò.
Ti rovescio sul letto bocconi, ti apro le chiappe e mi immergo tra esse, la lingua carica di saliva che cerca la tua rosellina, la mano che preme sul clitoride. Lentamente ti rilassi, ti sento meno tesa: provo con la punta di un dito e riesco ad entrare un poco ma è presto, sei ancora troppo rigida. Insisto, i minuti passano, la lingua comincia stancarsi però ora un dito è riuscito a entrare e i tuoi gemiti non sono di dolore. Ancora, roteo il dito per allargare l’anello muscolare, provo con un secondo dito, piano, fermandomi quando ti sento irrigidire, serrare i muscoli.
Ricomincio da capo, lingua e dita, tanta saliva, dita e lingua, dita’.. due, finalmente, sospiro io e sospiri tu. E’ il momento.
Mi rialzo e ti faccio mettere di lato, io dietro di te. Mi avvicino, mi appoggio, cerco il tuo buchino e spingo. Ora sei abbastanza rilassata da farmi entrare. Mi fermo, ti devi abituare, e il tarlo ancora mi fa estraniare e pensare mentre ti aspetto:
Sai che adoro il tuo culetto così deliziosamente tornito, sodo come solo tante ore di palestra possono dare. Me lo centellini e io ho imparato che quando me lo concedi è quasi sempre per chiedermi qualcosa o ringraziarmi dopo, oppure per farti perdonare cose che nemmeno so di dover perdonare. Solo raramente perché sei particolarmente eccitata.
Quale è il motivo di questa notte? Me lo chiedo e poi non posso più pensare. Mi sento stretto dentro di te e tu cominci a muoverti, a venirmi incontro, a farmi entrare più a fondo. Piano, molto piano, fai tutto tu, io sono solo un palo, anzi un cazzo, lì a tua disposizione.
No, gioco anche io. Mi muovo venendoti incontro, assecondandoti fino a che non ti muovi tu più velocemente e sento di poter scorrere molto più liberamente, i muscoli rilassati, rilasciati che non più si oppongono.
Ora possiamo tornare alle origini, a quello che volevi tu:
Mi tiro indietro e ancora ti vedo perplessa fino a che non ti faccio salire sopra di me. Hai capito, è la tua posizione preferita quando vuoi farti impalare, e piace anche a me che da sotto posso vedere il tuo viso trasfigurare mentre ti avvicini al piacere, posso toccarti i seni, i fianchi, le cosce.
Scendi piano sopra di me e ti siedi facendolo entrare centimetro per centimetro, ancora quella luce nei tuoi occhi, occhi che si chiudono quando mi senti completamente dentro. La tua testa si ritrae all’indietro, la tua bocca emette un gemito, un sospiro, poi ti muovi, riapri gli occhi e mi guardi mentre mi cavalchi, ondeggi, rotei i fianchi. Non ce la faccio più, mi muovo anche io e tu acceleri i tuoi movimenti: su e giù, avanti e indietro. Vedo la tua lingua leccare le labbra, gli occhi che si chiudono ancora per il piacere, mugoli e mugolo anche io e poi urlo sentendomi stringere le viscere da una mano gigante che mi spreme i lombi e fa spruzzare tutto il mio seme in te, fiotto dopo fiotto. Ti sento abbassarti sopra di me, muoverti con frenesia, la mano tra i nostri corpi ad accarezzarti mentre cerchi e raggiungi il tuo orgasmo che urli nel mio orecchio.
Troppo svogliati per alzarci e fare un’altra doccia ci addormentiamo abbracciati sul letto disfatto.
E’ mattino, è ora che tu parta. Scarico la tua valigia dalla mia auto e la faccio caricare sul taxi che ti porterà alla stazione. Mi saluti con un bacio un sussurro.
– Sono contenta che abbiamo fatto pace ‘
Ti vedo salire sul taxi e già prendere il cellulare prima ancora che si muova.
Il tarlo, maledetto tarlo”
No amore mio, non credo sia pace, credo che abbiamo solo firmato una tregua.
Visualizzazioni:
488