Non sapeva contare. Anzi, non sapeva neppure cosa potesse significare un tale concetto. Quello che comprendeva era di non essere solo, in quel luogo, in quella specie di caverna dove si ritirava quando cominciava non vedersi più in giro. Le uniche cose che si scorgevano erano gli occhi fosforescenti di quegli esseri, così dissimili da lui, molti dei quali se lo avessero preso lo avrebbero sbranato. Quegli occhi cercavano anche di intrufolarsi nella grotta, ma Ahà metteva sempre dei rami spinosi all’ingresso, e quegli occhi restavano fuori.
Ahà era come lei, ma con molto più vello intorno al volto, sotto le ascelle, in mezzo alle gambe.
Enà, invece, lei, non aveva pelo sul viso, e tra le sue gambe non c’era quella sorta di coda. Strana coda, che da un po’ di tempo a questa parte andava modificandosi, ogni tanto, e cercava qualcosa senza sapere bene cosa.
Poi c’erano anche altri, quasi come lui, ma più piccoli e alcuni senza ombra di pelliccia. In nessuna parte. C’era chi aveva la coda, davanti, altri no, a loro quel solco che lui aveva dietro proseguiva fin quasi sulla pancia.
Ligg, era di taglia un po’ minore, adesso guardava intorno, scrutava, e seguitava a sgranocchiare la radice che aveva raccolto prima di tornare a rintanarsi.
Il più piccolo del gruppo, Uuh, che tutti indicavano con quel suono perché faceva più o meno sempre così, non mangiava radici, neppure le erbe o le altre cose che Ahà portava nella grotta, ma si attaccava alle grosse borse di Enà, quelle sopra la pancia, che né lui, Ligg, né gli altri caudati anteriormente avevano, e succhiava come facevano i piccoli degli animali, appena usciti dal corpo di un’animale più grande.
Ecco, ora la coda di Ahà di alzava’
Enà si metteva sulle ginocchia e sui gomiti, somigliando molto a come si ponevano alcuni animali, e Ahà infilava la sua grossa coda tra le gambe di Enà, si agitava, fremeva, le mordeva il collo, si muoveva avanti e dietro; Enà gorgogliava, mugolava, dimenava il posteriore. Poi tutto finiva. Quando Ahà si sdraiava, la coda era tornata normale. Enà restava anche lei supina, le cosce aperte, un rivolo che le colava tra le gambe. Quasi dal colore di quello che fuoriusciva dalle sacche del petto quando Uuh se ne staccava.
Ligg era attratto da quello che accadeva, e la sua coda non si dava pace. Ed era anche incuriosito da quello che facevano gli altri animali. Più o meno la stessa cosa.
Finì col pensare che la sua coda serviva proprio a quello, a metterla tra le gambe di chi non l’aveva.
Doveva provare.
Così, quando Ahà, essendo sorto il sole, uscì e si mise in giro per cercare radici, erba, frutti, andò da Enà, che allattava il piccolo, e le mostrò la sua procace e fremente appendice anteriore.
Enà mise Uuh per terra e si pose carponi.
Lui le si pose dietro, ma non riusciva a trovare lo spazio dove riporre il suo arnese. Enà allungò la mano, lo prese, lo portò all’orificio della sua vagina. Lui entrò, di colpo.
Com’era caldo, accogliente.
Com’era bello.
E come si scuoteva Enà, sembrava quasi che volesse impadronirsi di quell’accessorio che lei non aveva. Glielo tirava, con forza, con prepotenza, avidamente, e, intanto, gli stava facendo provare un piacere che nessuna delle radici, anche la più dolce, gli avesse mai dato.
Ecco. Stava per accadere qualcosa.
Sì, qualcosa di tiepido usciva da lui, attraverso la coda, e si riversava nel caldo di lei. E lei sembrava travolta da un fremito incontenibile, come quello che aveva assalito la loro vicina, Mahà, quando fu morsa da un grosso ragno.
L’appendice di Ligg cominciò a ritrarsi, uscì da Enà.
Enà si raggomitolò su se stessa.
S’addormentarono.
E da quel momento Enà dette ristoro all’appendice di Ahà e anche a quella di Ligg, che lei aveva partorito.
Già, partorire.
Quella cosa che avevano tra le gambe si apriva e ne usciva un piccolissimo Ligg o una piccolissima Enà. Chissà come capitava. A loro, però, ai caudati anteriormente, la pancia non si gonfiava mai, né si aprivano tra le gambe. Del resto, come avrebbero potuto farlo? Quel coso, ora pendente ora eretto, non lo avrebbe consentito.
Il tempo trascorreva, lentamente, ma inesorabilmente.
Ad Uma s’era già ingrossato il petto, e il pelo le nascondeva la fenditura tra le gambe.
Nel mentre Ligg era tutto intento a cavalcare Enà, con reciproco evidente sollazzo, Ahà indicò la coppia a Uma, la fece mettere nella posizione giusta, e con una decisa spinta fece sparire il lei quanto s’era levato tra le sue gambe. Uma sembrava attendere questo, perché cominciò a agitarsi e contorcersi più e meglio della madre, Enà, e quasi sfiancava Ahà che pur ci dava dentro con la massima diligenza.
Dopo qualche minuto, l’interno della caverna era un intrecciarsi di mugolii, di ansiti, gemiti, del pianto dei piccoli’
Rahì, ormai grande e peloso anche lui, guardava con occhi sfolgoranti, e coda alta, non lasciò neppure il tempo a Ligg, di allontanarsi da Enà e si precipitò. Aveva visto tutto, le volte precedenti, aveva notato come Enà avesse dischiuso il posteriore di Uma. Con una mano prese il suo fallo, la sua coda, e la portò direttamente nel rorido della vagina materna, che lo accolse, sempre vogliosa e pronta a sfamare, ora in quel modo, il frutto del suo grembo.
Ahà s’era avviato al fiume, e quelli ancora erano intenti ad accoppiarsi, sotto gli occhi di Ligg, di Uma.
Uma si pose carponi, guardò Ligg. Questi non si fece attendere. La natura voleva così.
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Il desiderio di provare quel piacere naturale che solo una ‘lei’ poteva dargli, poteva soddisfarlo ogni volta che incontrava una ‘lei’. In genere era accondiscendente, ma ‘lui’ aveva comunque la forza per obbligarla a farlo. Quello che lo infastidiva, però, era che troppo spesso doveva battersi con altri pretendenti per giungere allo scopo. ‘Lei’ sembrava attendere, più o meno disinteressata al ‘chi’ ma trepidante per il ‘quando’. E peggio era quando toccava a lui la parte del pretendente scacciato. Per questo, decise di trascinarla nella caverna, così era libero di farsela ogni qualvolta lo desiderava. E per sollevarla dalla necessità di provvedere al cibo, era ‘lui’ a procurarlo. Glielo portava regolarmente. Questo, in sostanza, aveva dato luogo alla formazione di una specie di ‘nucleo’, logicamente naturalmente promiscuo.
Ce ne volle del tempo, per comprendere come quel pancione fosse dovuto all’accoppiamento!
I millenni erano trascorsi, ‘lui’ era riuscito a tener vivo l’incandescenza provocata dai fulmini, anche perché lo difendeva dalle belve e lo scaldava nei giorni freddi.
Avevano freddo, e sembrava che le bestie non soffrissero quanto loro. Forse perché avevano addosso quel riparo peloso. Riuscirono a toglierglielo, se ne servirono.
La sua ‘clava naturale’ trovava sempre piacevole rifugio nel corpo di ‘lei’. E seguitava a portarle il cibo; e lo portava anche a quei piccoli esseri che ‘lei’ regolarmente scodellava.
Fu allora che collegò le cose: ci accoppiamo, lei tira fuori quei cosini, e io devo procurare da mangiare per tutti. Eh, no. Non mi sta bene che devo provvedere anche ai ‘cosini’ che le sono stati infilati in pancia dagli altri. Fin quando ciò accade tra noi, con i figli, con i miei o i suoi fratelli, va bene, ma gli altri non la devono toccare. Per gli altri lei deve essere intoccabile, ‘tabù’. Anzi, sai che faccio? La ‘marchio’ in modo che si sappia, che sia nota la sua intoccabilità. Chiedo al vecchio, quello che non caccia più e che si diletta a tracciare segni colorati sulla roccia di darmi un po’ di quella roba.
Il vecchio non gliela volle dare. Gli disse di condurgliela perché avrebbe provveduto direttamente a ‘segnarla’. In cambio pretese da ‘lui’ una pelle per coprirsi, e da ‘lei’ di ‘clavarla’.
Il vecchio pensò che aveva trovato il modo di mangiare, coprirsi e ‘clavare’: ogni volta che un ‘lui’ e una ‘lei’ decidevano di stare insieme, lui li avrebbe ‘unti’, con tutto quel che segue.
Si, però, ‘lei’, pure se contrassegnata, s’univa anche ai fratelli, suoi e di ‘lui’ e, quando cominciavano ad essere in età utile, anche ai frutti di tali accoppiamenti. In tal modo il vecchio perdeva le offerte che, invece, avrebbe avuto se la sfera degli accoppiamenti ammessi fosse limitata alla sola coppia iniziale..
L’unzione di ‘lei’, stabilì il vecchio, la rendeva ‘tabù’ per tutti, e ne limitava il congiungimento al solo ‘co-unto’.
Era nato il ‘potere’ che controllava il più naturale degli eventi, l’accoppiamento!
Forse è da qui che trae origine il detto siculo che ‘cummannari è megghiu che futtiri’. Il fatto è, però, che molti degli untori, oltre imporre le leggi che hanno inventato, oltre comandare, fottono pure!
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Può sembrare fantasia, ma io credo che’ forse’ è così!
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