“Apri la cella”
Era lui, Evrilith si accorse di aver riconosciuto quella voce. La Sua voce, e ne era estasiata, non sapeva cosa avesse ma sembrava perfetta. Iniziava ad odiarsi. Non avrebbe ceduto.
Mai.
La porta della sua cella si aprì, Torghul entrò fino a stare di fronte a lei. Non resistette a lungo, abbassò il capo. Una mano le iniziò a sfiorare il seno, per poi scendere sui capezzoli, pieni, delicati, ormai sempre meno puri. Torghul sorrise e tirò, tirò fino a che Evrilith non lanciò un urlo, guardandolo negli occhi e facendo scendere la prima di una lunga serie di lacrime che avrebbero accompagnato quel rapporto. E nuovamente, dopo essersi crogiolata nei Suoi occhi, li riabbassò nuovamente.
La mano si mosse verso il basso, stimolò la pancia, Evrilith non ne restò indifferente. Scese ancora fino a toccarla, i polpastrelli di Lui si bagnarono, lei sospirò. Era il primo tocco, era il primo momento in cui Lui le dava piacere.
“Preparatela, oggi usciamo cara mia, andiamo al mercato. Voglio esibirti.” Una prima secchiata d’acqua ghiacciata l’aveva fatta uscire da quel sogno ad occhi aperti in cui si era lei stessa infilata mentalmente. L’aveva toccata, si stava rendendo conto che in breve tempo Torghul aveva un fascino unico per Lei. Come lo aveva avuto il suo istruttore prima di diventare un soldato dell’esercito. Come lo aveva avuto il suo Maestro a scuola. Aveva un debole per le figure forti e autoritarie, e ora, finita in questo inferno, iniziava a capire che era un inferno di piacere, qualcosa che non aveva nemmeno mai immaginato. E che adesso iniziava a temere.
La seconda secchiata d’acqua gelatata fu il fatto di dover uscire, al mercato, per venir esibita. Cosa voleva dire? Perché? Lei cosa avrebbe dovuto fare?!
Krozan apparì subito dietro a Torghul e alle sue parole prese la schiava e la sganciò dalla parete. Evilith aveva gli arti intorpiditi e non riusciva a muoversi. Krozan sembrò intuirlo e se la caricò a mo’ di sacco di patate in spalla. Dopo vari corridoi e svolte venne portata in una stanza calda, tiepida. Krozan iniziò a lavarla godendosi anche varie palpate. Osò opporsi soltanto una volta:
“Beh posso anche fare sola eh! Non sono una bambi…”
La frase non finì che uno schiaffo le fece girare di netto la testa. Krozan però non si fermò, sembrava una bestia. Lo era.
La prese per i capelli, la girò a quattro zampe ed iniziò a sculacciarla con tanta foga da imprimerle vari lividi. Quell’essere non era del tutto umano e la sua forza confermava i segni che aveva lasciato sulle natiche dell’elfa. Non felice di ciò si tolse lo straccio che aveva per pantaloni e la penetrò senza alcuna remora. Dopo l’urlo di dolore misto a piacere di Evrilith, Krozan la riprese per i capelli e si avvicino al suo orecchio: ”Ora, troia, vedi di non farmi girare nuovamente il cazzo. Perché alla prossima, prima prendo la frusta, poi ti lascio talmente tanti segni che verrai esposta come una cagna, infine, prima che tu parta per il mercato, ti scopo il tuo culetto stretto e ti faccio piangere fino ad urlare!”
E con un ultimo colpo di reni riempì la vagina dell’elfa che, tra una lacrima e l’altra, aveva ben bagnato il cazzo del mezz’orco.
“Forse non hai capito che, subito dopo il Padrone, sono io il tuo primo educatore. Posso usarti come e quando voglio, umiliarti, fustigarti, scoparti. Ti è chiaro questo?!”
Evrilith si ammutolì, ora era di fronte a quella bestia che l’aveva appena massacrata.
“TI HO CHIESTO SE E’ CHIARO?!” E Krozan non si fece problemi a tirarle prima un ceffone con il palmo e al ritorno un manrovescio che le fece perdere l’equilibrio.
“Si Signore” Riuscì a mugolare la povera ragazza.
“Torna nell’acqua ora.”. Evrilith gattonò lentamente verso la vasca, vi entrò e si fece lavare. Krozan ovviamente non smise di palparla, voleva vedere se e quanto la ragazza fosse arrendevole. E la conferma di quanto lei, oramai, lo temeva, arrivò quando due dita si intrufolarono prima di nuovo nella sua figa, pulendo l’amplesso che avevano avuto. Successivamente scesero per penetrare l’altro buco. Evrilith si irrigidì, guardò prima con odio Krozan, poi con rammarico, poi aprì le gambe.
L’operazione di pulizia di Evrilith durò circa un’ora, e lei ne uscì piuttosto stanca. Dopo che Krozan la fece asciugare uscì per qualche minuto dalla stanza. Appena dentro, ancora di spalle disse:
“Ora si mangia, schiava!”
E le posò a terra di malavoglia un piatto pieno di salsicce. Una quantità notevole, circa una ventina in tutto. Di vari generi, tutte molto rustiche ma estremamente appetitose. Krozan ne afferrò una e iniziò a godersela di buon gusto.
Evrilith non riuscì. Un leggero conato di vomito la attanagliò e la sua rigida condotta elfica le imponeva di non mangiare più carne. Era entrata nella mente degli animali durante il suo addestramento e aveva imparato a conoscerli. Avrebbe mangiato più facilmente una coscia di Krozan, se ben cucinata, che un povero animale.
“Se non mangi verrai punita. Prima da me, poi dal Padrone! Valuta se è ciò che desideri.”
Evrilith avvicinò la mano al piatto. Guardò ancora le salsicce. Ebbe un forte conato di vomito, non vomitò nulla ma l’effetto fu una sorta di “vomito a salve”.
Krozan prese il piatto, sorrise: “Ne avrò di più per me.” E detto questo uscì dalla stanza.
Passò circa un’ora da quando Krozan era uscito. Evrilith era dannatamente assetata e affamata, aveva bevuto pochissimo ed era spossata. Dopo quel lasso di tempo entrò un piccolo servitore, alto circa un metro e trenta, che assomigliava ad un cane bipede. Posò una brocca all’entrata e senza dire altro se ne andò velocemente.
Evrilith si avvicinò per vedere cosa c’era nel suo interno. Un liquido, annusò. Sembrava inodore, forse era acqua?! Lo bevve, era troppo assetata e si sentiva disidratata. Vari zampilli caddero ai lati della sua bocca e le toccarono il seno. Dopo che ebbe bevuto guardò quanto si era bagnata. E con orrore notò che il liquido era rosso. Un rosso intenso, come quel maledetto liquido che aveva bevuto nei giorni precedenti.
Appoggiò la brocca a terra, guardò dentro. L’aveva bevuta, voracemente, quasi tutta. E considerato che mezza fiala di liquido l’aveva fatta godere più intensamente di quanto avesse mai fatto perfino sola…
Si paralizzò, la paura l’attanagliava. Oramai non poteva scappare al suo fato, doveva vomitare. Ma se lo avesse fatto si sarebbe nuovamente disidratata. Oltre al fatto che quel liquido poteva già aver fatto effetto. Ricominciò a sudare.
Ebbe paura anche di questo.
Aveva ancora sete, quel liquido non la stava dissetando.
Resistette un minuto, sembrava avere piĂą sete di prima.
Iniziò ad avere caldo. Aveva ancora sete. Sentì le ascelle inumidirsi. Si passò la mano sulla fronte.
Aveva sete.
Bevve l’ultimo sorso, e in quel momento, si rese conto che anche la sua figa stava iniziando a bagnarsi.
Posata la brocca si aprì nuovamente la porta, Krozan non era solo. L’immensa figura di ferro, composta da un’unica grande e grossa armatura lo seguiva.
Guardandolo meglio si rese conto che era un Golem, un automa animato grazie alla magia. E il suo secondo pensiero fu che sarebbe stato bellissimo poter venir usata da lui dato che non si sarebbe mai stancato di scoparla.
“Bene bene, non hai fame ma hai sete vedo! Hai bevuto un litro di afrodisiaco, e sappi che non ti disseterà mai del tutto.”
“Apri le gambe.”
Evrilith lo fece. Era troppo eccitata. Le piaceva e, pur non sapendolo, quell’afrodisiaco non induceva nulla ma aumentava solo lo stato di eccitazione che si provava. Evrilith in realtà amava essere sottomessa, lo aveva scoperto da poco, ma la sua figa non poteva mentire.
“Ora sei mia. Mia e del Golem.”
E detto questo Krozan chiuse la porta alle sue spalle.
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