Il cielo di Ottobre (1° capitolo)

“-“Dai, pranziamo, che poi ti riposi…”

Quell’aurora di un giorno d’autunno tingeva il cielo di Ottobre di strani bagliori. Speranze e presagi si confondevano con i fischi delle locomotive nella vecchia stazione,mentre le prospettive dei binari si perdevano nella foschia dell’alba. L’acre odore dei treni che, alla fine degli anni settanta, raccontavano di viaggi ancora lunghi in carrozze logore e affollate,mi prendeva allo stomaco e si accompagnava con l’emozione della nuova vita che mi aspettava. Lasciavo la mia piccola città per andare a Roma ed iscrivermi all’Università:mi aspettava una nuova casa e,forse,un mondo nuovo e diverso.
Per i primi tempi sarei stato ospite di zia Betti,la giovane sorella di mamma,che aveva sposato Massimo,tanto più grande di lei,e si era trasferita in città. Aveva un buon lavoro e il ricchissimo matrimonio l’aveva resa ancora più bella e felice; Massimo era dolce,gentile e benestante e l’amava con la forza di un padre e di un amante al tempo stesso.
Ricordo ancora oggi i salti di gioia di Betti nel vedermi scendere dal treno,ricordo l’imbarazzo di Massimo,coinvolto da quella felicità incontenibile;ma come inibire la felicità della donna che adorava,nel rivedere il “bambino” che tanti anni prima, aveva tenuto fra le braccia,confondendolo spesso con le bambole che ancora facevano parte del suo mondo? -“Madonna,Paolo,come sei diventato bello!
Le ragazze di Roma saranno tutte ai tuoi piedi!-
Ma ragazze,durante il tragitto dalla Stazione Termini a Monte Sacro,non se ne vedevano affatto! E neanche ragazzi o giovani coppie,nei viali assolati. La prima immagine di Roma furono camionette di blindati a ogni angolo e gruppi di militari che mal celavano la tensione. -“Stiamo vivendo momenti un pò particolari”- accennò Massimo- “La città è sotto assedio di una politica violenta e ogni manifestazione di piazza si trasforma in una specie di guerra! Hai sentito di quella ragazza uccisa a Trastevere a Maggio?”
Avevo sentito e visto le immagini al telegiornale,ma mai mi sarei aspettato di vivere l’atmosfera post-bellica che adesso mi travolgeva.-“Non ti preoccupare,da noi è tutto tranquillo.E quando vai all’Università,stai lontano dalle assemblee e dai gruppi di facinorosi.”
Via Nomentana era semi deserta e ci mettemmo pochi minuti a percorrerla fino a piazza Sempione.
Entrando nel quartiere le strade si animavano e i mercatini pullulavano di acquirenti e venditori,proprio come mi aspettavo. Macchine e autobus rallentavano il nostro percorso e finalmente la vita di Roma riesplodeva,in quella periferia assolata e tranquilla! Val Melaina era una casbah di bancarelle e ambulanti,ma presto lasciammo quel caos gioioso per salire verso il nuovo quartiere che stava sorgendo verso nord. Giardini ben curati e giovani alberi 

circondavano le palazzine eleganti che dominavano i “casermoni” del Tufello, laggiù nella valle.
-“Benvenuto a casa, Leprotto”-disse Betti,facendomi arrossire di colpo. Massimo sorrideva cercando di non farmelo notare,ma si capiva benissimo che sapeva già di quel nomignolo che avevo quasi dimenticato.
-“Ecco la tua stanza”.La camera che mi avevano riservato era inondata di luce e dalla finestra si scorgeva il profilo di colline disseminate di casette.-“Da qui si vedono i Castelli;di notte è uno spettacolo di luci…..”-
Si aveva l’impressione che la loro casa fosse l’ultima della città,ma presto mi resi conto che in basso c’erano decine di cantieri e presto l’abbraccio rassicurante di altre vite,avrebbe circondato il quartiere.
-“Dai,pranziamo,che poi ti riposi. Foricca ha già preparato qualcuno dei suoi piatti sardi,spero che ti piacciano!”-
La giovane governante,venuta dalla provincia di Sassari,aveva imbandito un tavolo di delizie,apparecchiato in maniera sontuosa,ma di lei,neanche l’ombra.-“E’ già scappata a rincorrere i suoi amorazzi:non ha paura di niente quella ragazza!”-concluse Massimo.-“Sembrava così timida ,quando è arrivata,ma ormai….”-“Perchè la chiamate Foricca?”-“E’ il suo nome:il vezzeggiativo di…..bho…non mi ricordo!”-“E’ il diminutivo di Salvatrice….”-chiosò Betti.
Il pranzo fu davvero appetitoso e accompagnato simpaticamente dai risolini della zia che rievocava con me gli aneddoti della sua vita,sostenuta dal marito,che le faceva da spalla. Nessuno dei due volle che io aiutassi a sparecchiare e fui invitato a prendere possesso della mia camera e svuotare la valigia. Così feci e li salutai ringraziandoli. Prima di lasciarmi andare,mi promisero una passeggiata in centro per prendere confidenza con la Città,quella sera stessa. Saremmo andati ad ammirare Roma da una delle sue “terrazze” e avremmo concluso con una cena in uno dei ristoranti migliori. (….continua)

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