Padre …. di mio fratello

“E la stessa pinguedine del puerperio, il vistoso aumento di volume delle cosce, delle chiappe, delle braccia, delle spalle, non hanno fatto che accrescere…”

Padre … di mio fratello

Sono passati quattro anni da quando
la mia vita è cambiata radicalmente, ma gli accadimenti di quel giorno fatidico di primavera scorrono ancora nella mia mente come le immagini di un film.
Covato una passione bruciante per mia madre sin dagli albori dell’adolescenza, la pensavo e sognavo nelle figure più diverse dell’universo femminile, mi sono distrutto di seghe in suo onore. A 18 anni, nonostante a scuola ne avessi di compagne anche belline, la mia testa (e il mio cazzo) erano solo per lei. Mamma aveva allora 48 anni, un corpo bello, formoso e sodo, piuttosto pronunciato nei punti giusti (seno, culo, cosce), soprattutto una bocca procace ed uno sguardo magnetico che mi facevano vaneggiare.
Quel pomeriggio cercavo inutilmente di concentrami nello studio. Ero dietro la porta della mia stanza socchiusa, mamma era in poltrona in salotto e sfogliava una rivista di moda con le gambe accavallate, le sue cosce scoperte erano una calamita per i miei occhi, ripassavo con lo sguardo le sue cosce carnose leggermente segnate dalla cellulite, trattenevo il respiro nel fissare il suo culo rotondo e maestoso, il suo seno pesante che gonfiava la camicetta.
Mi chinavo, cercavo di vedere meglio, il mio sguardo saliva lungo il solco scuro dell’attaccatura delle cosce, intravedevo l’ombra delle sue mutandine nere, cominciavo a toccarmi il cazzo, lo tiravo fuori dai pantaloni e mi ripetevo sottovoce:
“Oh mamma aaahh si apri quelle cosce sìììì dai, fammi entrare ti voglio!”
Acceleravo il ritmo della mano, forse facevo un po’ di rumore. Sentii che mi chiamava:
”Tesoro, che fai, dove sei?”
”Sono nella mia stanza”, risposi con voce roca, “sto studiando!”
”Avevo sentito dei rumori, ma ti serve qualcosa?”
”No mamma, grazie.”
Tornai frettolosamente alla mia scrivania, temendo che ora lei venisse a sincerarsi e, con la paura di essere scoperto, allacciai velocemente i pantaloni, con il cazzo ancora duro e teso, aprii un libro a caso facendo finta di leggere. Il cuore mi batteva forte, la sega interrotta mi aveva lasciato dentro una voglia esplosiva.
Avrei voluto andare da lei, infilarle una mano nella scollatura, strizzarle i capezzoli. Chissà, forse sarebbe valsa la pena di tentare. Forse lei ci sarebbe stata. Soprattutto se avesse visto i pantaloni che stavano per scoppiare.
Ma i miei pensieri furono bruscamente interrotti dal cigolio della porta che si apre, era lei che, apostrofandomi con affettuosa severità, mi chiese:
“Ma davvero stai studiando?”
”Sì mamma, domani ho l’interrogazione” risposi un pò balbettando.
”Vuoi che ti faccia compagnia? Magari ti aiuto, vuoi ripassare con me?”
“Beh, non so… ma ora devo rileggere, non sono ancora pronto … ora ripasso, poi magari mi ascolti”
Ebbi il timore di non essere riuscito a dissimulare per bene. Non la vedevo convinta. Diede un’occhiata al libro che avevo aperto, poi mi disse:
“Come vuoi. Vado di là, torno tra poco”.
Lessi e rilessi ma senza capire nulla, i miei pensieri erano altrove, non ricordavo nulla, aspettavo solo che mamma tornasse. Passarono alcuni minuti, o forse tanti, non avevo una dimensione esatta del tempo. Mamma rientrò con un sorriso radioso sulle labbra carnose, con un vestito aderente, sin troppo aderente, che sottolineava perfettamente le rotondità del suo corpo, riempiendo del suo profumo la mia stanza. Si avvicinò alle mie spalle e sorridendo esclamò:
”Mah, spero che il fatto dell’interrogazione di domani non sia vera. Mi pare che non abbia tanta voglia di studiare, oggi… Senti, se ti va, usciamo un po’ a passeggio. io debbo uscire per delle compere, e tu prendi un po’ d’aria.”
”Sì, mamma, forse è meglio” balbettai, mentre lei accennava a vestirsi.
Si poggiò sul mio letto e lentamente sollevò il vestito, con attenzione prese da un pacchetto un paio di calze nuove, le lasciò scivolare tra le mani, guardai con la coda dell’occhio, erano quelle di seta color carne da reggicalze, il mio cuore fece un tonfo. Lentamente le arrotolò, il fruscio della seta sulla sua pelle mi trasmise un brivido, sentivo che con le mani chiudeva le stringhe del reggicalze. Poi si alzò e sistemò la camicetta dentro la gonna, scorsi nello specchio che spingeva verso l’alto le coppe del reggiseno come per tenere più su le sue mammelle generose.
Trattenni il respiro per l’eccitazione. Ma il mio era un silenzio che pesava nell’aria.
”Allora amore, che fai? Stai lì silenzioso, non dici nulla a mamma?”
La domanda mi investì come un colpo di vento freddo. Chiusi frettolosamente il libro, mi alzai di scatto muovendomi come un automa:
”Mamma, sì, ho fatto, sì, sono pronto su dai, andiamo!”
”Ma amore, che hai? Sei strano, ti senti bene?”
”Sì, sì eh che… sì sì… è che vorrei, ma sì…… non so come dire?”
”Non hai studiato? E’ questo?”
”Ma no, no ……. è …. è che …. scusa …. ma mi ero incantato a guardarti mentre infilavi le calze, e pensavo: che bella mamma che ho! Come mi piacerebbe essere il suo uomo!”
Mamma trasalì:
“Ma che dici? Il mio uomo? Ma tu sei il mio uomo. E guai a chi me lo tocca il mio amore!”
Lentamente riportò la gonna più in basso, infilò le scarpe, si alzò e mi venne dietro le spalle attirandomi a sé. Sentivo la morbidezza del suo seno e l’alito caldo della sua bocca dietro la nuca:
“Tesoro, tu sai bene che ti amo, che mio figlio è per me la più cara cosa al mondo, che farei qualsiasi cosa per lui. Ma che c’entrano le calze? ti ho turbato?”
Respiravo a fatica, le sue mani mi percorrevano il petto e riaccendevano la mia eccitazione, riuscii a dirle con un tono un po’ lamentoso:
“Mamma, anche io ti amo ….. ma certe volte, quando ti guardo, avverto un forte desiderio di te …. mi capisci?”
”Ma che dici, amore! Sono tua madre…. Capisco che alla tua età magari piccoli particolari possono colpire la fantasia. forse ho sbagliato a finire di vestirmi qui vicino a te… se ti ho turbato, scusami amore, scusami ancora”.
Mi girai di scatto e la strinsi a me cingendo con le mani il suo fondoschiena. Pensai avvertisse sulla sua pancia la pressione del mio cazzo impennato dentro i pantaloni. Poi ebbi come un piccolo raptus:
“Mamma, mamma…. ti amo, ti amo!”
Mamma ebbe un attimo di sconcerto, poi subito riprese il controllo della situazione, mi trattenne, mi allontanò dolcemente da sé, poi mi sussurrò con voce dolce ma ferma:
”Ora su tesoro, fai il bravo! ora calmati, ti prego”
All’improvviso, provvidenziale, squillò il telefono e mamma corse fuori dalla stanza a rispondere. Restai lì ammutolito, frastornato, temendo di aver fatto un terribile passo falso.
Sentivo intanto che mamma parlava al telefono in maniera concitata e poi aveva riattaccato imprecando. Mi feci coraggio e mi portai in salotto, facendo finta di niente:
“Che c’è, mamma?”
”Nulla amore, vieni qui”.
Mi sedetti vicino, la strinsi a me chiedendole scusa col capo chino.
“Era papà, non torna da Roma …. sempre scuse … chissà cosa combina quando va in giro! peggio per lui! il mio uomo ce l’ho e non mi deve chiedere scusa”.
Mi baciò teneramente sull’angolo della bocca.
”E, dato che sei tu il mio uomo, ti chiedo di portarmi al cinema, ti va?”
Restai confuso, non comprendevo ancora il repentino mutamento di atteggiamento di mia madre. Ma fui preso da improvviso entusiasmo a quella sua richiesta, se non altro sentii di uscire dall’incubo di qualche minuto prima. Corsi in camera a prepararmi.
Dopo un’ora eravamo accomodati in due poltrone appartate di una sala cinematografica semivuota a vedere un film piuttosto banale.
“Mamma” le sussurrai all’orecchio “mi hai perdonato?”
Si voltò baciandomi teneramente, stavolta proprio sulla bocca:
“Amore, non ti devo perdonare nulla!”.
La strinsi a me e stavolta ero io a cercare la sua bocca, le mie labbra si posarono sulle sue: prima un bacio, mamma un altro, le nostre bocche si soffermarono più del dovuto, sentii le sue labbra aprirsi. Poi le lingue si cercarono, il sapore della sua saliva mi arrivava sino in gola.
La passione ci prese. La sua mano si infilò sotto il mio pullover accarezzando il petto nudo e stringendomi i capezzoli tra i polpastrelli. La mia mano indugiava sulle sue ginocchia.
Avanzavo lentamente. Non volevo tutto subito, quell’attesa era durata troppo e il prolungarla mi eccitava, sentivo la seta delle calze scorrere sotto la mano, il freddo del metallo della clip del reggicalze e poi la sua pelle nuda. Intanto la mia mano si posava sulle mutandine.
“Vuoi, mamma? posso?” le dissi con la stessa voce roca che aveva lei uscendo dalla mia stanza. Mi guardò con occhi trasognati ed annuisce. La sua bocca cercò la mia in un bacio disperato, mi sentii tirare le labbra e la sua lingua che in un vortice si intrecciava alla mia.
La mia mano finalmente era sulla sua fica, la fica di mamma, la incurvai a conchiglia per sentirla tutta, tutta la fica di mamma. Scostai il lembo degli slip, le mie dita andarono a cercare la sua intimità più nascosta, il polpastrello scorse lungo la fessura umida. Il suo clitoride era come un cazzetto e si irrigidiva alle mie carezze.
“Mamma, toccami anche tu” osai dire “ti prego”.
Sentii che armeggiava sulla lampo, e avvertii la sua mano posarsi sul mio cazzo. A questo punto fu lei che fece un grande sospiro e mi disse all’orecchio:
“Amore, andiamo a casa ti prego. prima che …..”.
”Sì mamma, hai ragione, andiamo a casa”.
Uscimmo dal cinema come due fuggitivi. Tornammo a casa in un lampo. In macchina la tormentavo, ero impaziente, mentre mamma guidava le sollevo la gonna, il cambio automatico agevolava la manovra, lei allargava le gambe, la mia testa scendeva tra le sue cosce, baciavo la seta delle mutandine, respiravo a narici aperte l’odore acre della sua fica.
Parcheggiò la macchina nel vialetto di casa. Entrammo di corsa in casa. La porta si chiuse alle nostre spalle, ci guardiamo negli occhi.
”Mamma, ti amo, sto impazzendo per te”.
”Anche io, amore. Non so cose m’è preso, ma è stato più forte di me”
”Mamma, l’hai detto, oggi sono il tuo uomo!”.
”Sì, sì vieni, andiamo nel lettone”.
Entrammo in camera da letto, le sfilai il vestito, mamma si sedette sulla sponda del letto, mi aprì i pantaloni a fatica, il mio cazzo era troppo teso, quando svettò fuori mamma vi si avventò e cominciò un pompino che non avrei nemmeno mai sognato.
”Amore ahh che bel cazzo ti ha fatto mamma! dai, spingilo in gola, fallo sentire alla tua mamma!”
”Mamma, sei irresistibile ma così mi fai venire!”
”No no, aspetta, amore … resisti ancora un po’, ti voglio dentro”.
Si tirò sul letto, con le calze e il reggicalze che risaltavano sulla pelle bianca e il suo cespuglio nero; puntai decisamente il cazzo sull’apertura della fica, mi trattenni, ma volevo che me lo chiedesse ancora.
”Amore su, bravo, entra dentro la tua mamma! Dai, ho voglia di essere penetrata, scopata da te!”
”Oh, mamma, non credo ai miei occhi, sapessi quante volte ho sognato questo momento …. sì, voglio scoparti, voglio sborrarti dentro!”
Eravamo alla follia d’amore, avevamo perso letteralmente la testa, cercavo la sua bocca mentre la penetravo con passione. Affondare dentro quel corpo tanto desiderato mi dava la sensazione di piantare un albero dentro la terra. Vedevo mamma che mi attirava dentro di sé con gli occhi lucidi.
”Mamma sì, voglio riempirti del mio seme!”
”Amore, che caro che sei! dai sì sì sborra nella fica di mamma!!”
”Oh com’è bello… sì, mamma sì, ti riempio vengo veeenngooo!”
Due-tre scariche di sperma le riempiono la vagina, mentre urlo:
“Mamma, prenditi tutto… tutto. voglio riempirti la pancia del mio seme, voglio metterti incinta”
Non so come m’era uscita quella frase e per un attimo attesi la reazione di mia madre. Mamma si commosse, aprì ancora di più le cosce ad accogliermi, mi strinse a sé lacrimando:
“Certo, amore, dammi il tuo seme. veramente vuoi mettermi incinta? E’ una pazzia! una bellissima pazzia!”
Una follia, un sogno, una storia impensabile, che si è trasformato, senza che l’avessimo voluto coscientemente, in una splendida realtà: ho ingravidato mia madre e, da quel giorno, la nostra vita è diventata un’altra.
Abbiamo continuato a sfogare la nostra febbre facendo l’amore senza remore e senza pudori, ricercando tutte le occasioni utili. E ogni volta che possedevo mia madre provavo un perverso godimento supplementare al solo pensiero che mettevamo le corna a quel babbeo di mio padre. Ed era soprattutto lei, quando arrivava all’orgasmo, a ridere di lui e ad inneggiare al nostro incesto.
“Questo sì che si chiama cazzo!” diceva “altro che quel membro rammollito di tuo padre! tu mi hai ridato la gioia di essere femmina, con te mi sento ringiovanita di 20 anni”.
Quando abbiamo avuto la certezza che era incinta ne siamo rimasti inebriati per la gioia. Per l’emozione (e forse anche per la paura) io non riuscivo a dire una parola; ma lei non si è fatta venire alcuna perplessità:
“Tesoro, non c’è problema. lascerò credere a quel coglione di tuo padre che è stato lui l’autore di questa nuova, inattesa gravidanza”, mi ha rassicurato ridacchiando.
Mio padre è rimasto un po’ sorpreso alla notizia, anche per la scarsa frequenza dei rapporti sessuali con mia madre. Nel dubbio ha accennato all’idea dell’aborto, ma, dinanzi alla netta contrarietà di mamma, si è subito messo l’anima in pace.
Naturalmente i nostri rapporti si sono fatti sempre più caldi. Per tutta la gravidanza ho moltiplicato le mie attenzioni e le chiavate con mia madre: cavalcarla, pistonarla, riempirla di cazzo e di sborra, sapendo che aveva in pancia mio figlio, mi ha fatto perdere completamente la testa. E la stessa pinguedine del puerperio, il vistoso aumento di volume delle cosce, delle chiappe, delle braccia, delle spalle, non hanno fatto che accrescere quella voglia di carne, della carne materna, che mi attanaglia da sempre.
Negli ultimi mesi di gravidanza, quando la pancia si è fatta prominente, l’ho preso quasi sempre da dietro e, a furia di incularla, le ho tanto allargato l’ano al punto di riuscire a infilarle senza difficoltà due-tre dita.
Del resto, con il passare del tempo e con l’intensificarsi dei nostri rapporti sessuali, avevamo preso gusto a sperimentare ogni perversione. Io non avevo più limiti. Non solo le chiedevo di leccarmi per bene il buco del culo, ma mi piaceva fare il bagno in vasca con lei, metterle il piede dentro la fica, scaricarle addosso la mia urina, e così via. E la dolcezza del rapporto ci aiutava a sublimare in qualche modo i nostri comportamenti sessuali più animaleschi.
Lei mi lasciava fare tutto, era stordita dalla passione proibita che ci legava, ed era rapita dal pensiero che portava in grembo un bimbo fatto con me: una nuova giovinezza, una nuova vita.
Non so come siamo riusciti a tenere questa nostra passione morbosa e travolgente al riparo dei sospetti altrui. Non di mio padre, distratto ed assente, e sempre meno tollerato da noi. Non del parentado, verso il quale avevamo da gran tempo rarefatto il regime dei rapporti. Ma della gente curiosa e pettegola, sì: del vicinato, delle amiche e colleghe di mamma, dei miei amici.
In questo senso la nascita del mio figlio/fratellino ha aiutato a distogliere ogni attenzione, perché la sorpresa di una maternità in età piuttosto avanzata e la gioia per il nuovo arrivo nella vita di casa aveva messo il nostro bambino, un bellissimo mocciosetto vispo e capriccioso, sotto i riflettori e tutto il resto nell’opacità.
Ma fino a quando avremmo resistito a recitare la commedia?
Era l’inizio di una nuova vita sia per me sia per mia madre, perciò decidemmo che avremmo trovato il modo di vivere il nostro segreto senza negarci la gioia del nuovo, inaudito legame che avevamo stretto mettendo al mondo il bambino.
E il momento venne quando, superati gli esami di maturità, mi iscrissi all’università e, avendo scelto una facoltà molto particolare (Ingegneria delle fonti energetiche), partii per Milano, che era lontanissima dalla nostra città. Drammatizzammo tanto questa lontananza per giustificare il fatto che l’intera famiglia si trasferisse. Non fu facile smuovere mio padre, pigro e abitudinario, troppo legato alle sue relazioni locali. Ma ormai in famiglia non contava più nulla e mamma fu brava a convincerlo che lui poteva restare anche nella vecchia casa, arrangiarsi da solo e venirci a trovare ogni tanto.
In tal modo coronammo tutti i nostri sogni, perché cominciammo davvero a vivere, come si dice, “more uxorio”, condividendo il lettone e allevando insieme il frutto del nostro amore proibito.

Oggi mamma ha 52 anni ed io 22, mio figlio/fratello ne ha 3. Siamo una bella famiglia, una famiglia perfetta. Le cose vanno per il meglio. Studio con grande impegno e sono ormai vicino alla laurea; so che tecnici della mia branca sono ricercati e penso che, non appena laureato, avrò un mio lavoro ed un mio reddito. Il bimbo cresce bene, allegro e birbone come piace a noi. Mamma è diventata ancora più bella e non mostra per nulla la sua età anagrafica.
Stiamo bene e, manco a dirlo, chiaviamo con sempre maggiore godimento, senza preoccuparci degli anni che verranno.
Chi vivrà, vedrà. E quando il fratellino crescerà gli spiegheremo tutto per bene. Per quanto mi riguarda, sono convinto che continuerò a fottere con mamma fino alla vecchiaia, a riempirla della mia sborra, ad annaffiare l’albero del quale sono il frutto, sino all’ultima goccia.

Disclaimer! Tutti i diritti riservati all’autore del racconto – Fatti e persone sono puramente frutto della fantasia dell’autore.
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Incesti

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