“E sciogliti, sei tesissima, mica devi andare a morire!
Saliti in camera, le dissi di sedersi e di aspettarmi, sarei andato un attimo in bagno…”
Mi chiamo Andrea e sono di Roma; ormai ho 21 anni, anche
se questa storia è cominciata quando ne avevo 18; è cominciata nei fatti, perché per anni l’avevo desiderata. Diana, mia sorella, tre anni più di me, biondina, piccola, snella come poche, con un seno appena pronunciato (lei dice che sia una terza scarsa, io dico che sarà una seconda piena) e soprattutto delle gambe interminabili. Da ormai cinque anni è fidanzata con Fabio, un suo collega dell’Università. Io, dicevo, sono Andrea: le do un bel po’ in altezza, diciamo pure che sono ben più grosso di lei, sì, ma senza essere palestrato.
Lei è l'”intellettuale” di casa, la prima che si laurea, e a breve dovrebbe finire la specialistica in Lettere; io sono al secondo anno della prima laurea, adesso. E finalmente ho dei risultati confortanti.
E’ vero, a scuola non sono mai andato granché; è che ho sempre avuto altro a cui pensare. Da quando andavo alle medie, pensavo sempre e solo a una cosa: a Diana che, di fianco a me, cresceva e ogni giorno era sempre più attraente.
E la pensavo, la ripensavo e niente, non studiavo granché. Al liceo un anno mi hanno bocciato, e lì per la prima volta in vita mia ho pensato che dovevo mettere la testa a posto, dovevo cominciare a vivere come un ragazzo normale, cercare contatti con le ragazze e non pensare più a Diana; solo che poi è andata a finire al contrario, dato che dopo la mia bocciatura Diana è stata incaricata di aiutarmi a studiare nelle materie per me più difficili; e quindi, da che pensavo di doverla dimenticare, ho continuato a non studiare perché era il modo migliore per far sì che lei mi rimanesse vicina. Per quattro anni ho cercato di essere promosso col minimo sforzo e col massimo delle “ripetizioni” di Diana.
Tutto è svoltato durante il mio ultimo anno di Liceo, quando io avevo un compito di matematica molto importante; non so cosa mi prese, forse ero inebriato da lei, forse mi sentivo di volerla stupire, o forse ancora non ce la facevo più a guardarla senza far niente; fatto sta che con un sorriso di sfida, sicuro di me stesso, me ne uscii con un:
– Scommetti che domani al compito prendo almeno 7?
– Sì, come tutte le altre volte – mi rispose, per niente fiduciosa.
– Ma questa è la volta buona – cercai di convincerla.
– Guarda che se vai bene io sono contenta; il fatto è che se prendi 7 tu, domani nevica!
Ecco, qui non so cosa mi prese, ma sentii le parole uscirmi quasi da sole:
– Allora facciamo così: se prendo meno di sette tu non mi devi più aiutare, ma se prendo di più tu mi fai un pompino!
– Ma che dici! Sei matto??
I giochi erano aperti, dovevo riuscire a costringerla ad accettare. E la soluzione mi venne a portata di mano, erano anni che io sapevo come potevo ricattarla:
– Allora io dico a papà che al liceo, in gita, ti sei fatta una canna!
– Non è vero!
– E’ vero, lo ha detto la tua amica Alessandra!
– Ho solo provato! Poi basta, io non fumo! – ribatté.
– Allora è vero! Stasera lo dico.
– Sei un bastardo!
– Ma guarda che se accetti la scommessa io non dico niente, né ora né mai – cercai di chiudere.
– Va bene, okay. Ma giurami che non dici niente, e che se prendi meno di sette io sono libera.
– Liberissima, giuro. Sapevo che avresti accettato, sorellina…
Mi strinse la mano come a sigillare l’accordo, e se ne andò dandomi dello stronzo, giustamente.
Quella notte non dormii: studiai come un disperato. La mattina dopo diedi tutto quello che potevo, cercai anche di confrontarmi con i compagni per vedere se avevo sbagliato qualcosa, e quando me ne uscii ero soddisfatto, ma tutt’altro che sicuro di avercela fatta.
Una sera a cena, tutti in casa, me ne uscii tranquillamente dicendo:
– Mamma, ti ho detto che ci hanno riportato i compiti di matematica?
Vidi negli occhi di Diana un terrore freddo; posò la forchetta sul piatto, inghiottì un boccone durissimo e rimase a guardare il piatto. Chiuse gli occhi, mentre mamma guardava il compito e diceva entusiasta:
– SETTE PIU’!
Mi sembrò come se Diana avesse subito un colpo alla testa. Mi sentivo quasi in colpa. Diana riaprì gli occhi quando sentì mio padre, sbalordito come mamma, che diceva:
– Vai a ringraziare tua sorella che ti ha aiutato! E’ anche merito suo!
Io andai da lei sorridendo, toccandola su un braccio per rincuorarla, e le diedi un bacio sulla guancia. Lei mi rispose con un sorriso timido appena accennato, e smettendo di mangiare.
Nei giorni successivi vedevo Diana tormentata, non capivo che problemi avesse, e la lasciai in pace; quando finalmente la vidi un po’ più rasserenata, pensai che era giunto il momento di riscuotere la scommessa.
Una mattina che lei non aveva lezione e che i nostri genitori lavoravano, uscii normalmente per andare a scuola, ma in realtà feci solo un giretto. Quando ero sicuro che i nostri genitori non fossero più a casa, salii e suonai il campanello come per farmi annunciare: nessuna risposta. Suonai di nuovo, e niente; finché non mi parve di vederla muovere lo spioncino, e allora dissi:
– Diana, apri! Lo so che ci sei!
Schiuse la porta. Era avvolta nell’accappatoio, ancora umida, e aveva una faccia stranita mentre mi disse:
– Che ci fai qui?
– Oggi non mi andava di stare a scuola, volevo tanto rimanere con la mia sorellina…
– Hai segato?
– Per una volta! E poi… ho da riscuotere…
Mi fissò con due occhi che esprimevano terrore. Provai a sciogliere un po’ la situazione dicendo:
– Vedo che ti sei già preparata…
– Per cosa? – provò a fare la vaga.
– Lo sai benissimo, non fare la scema…
Abbassò il capo. Chiesi: – Dove vuoi farlo? – ma non ebbi risposta. – Va bene, andiamo in camera mia. E sciogliti, sei tesissima, mica devi andare a morire!
Saliti in camera, le dissi di sedersi e di aspettarmi, sareMi chiamo Andrea e sono di Roma; ormai ho 21 anni, anche se questa storia è cominciata quando ne avevo 18; è cominciata nei fatti, perché per anni l’avevo desiderata. Diana, mia sorella, tre anni più di me, biondina, piccola, snella come poche, con un seno appena pronunciato (lei dice che sia una terza scarsa, io dico che sarà una seconda piena) e soprattutto delle gambe interminabili. Da ormai cinque anni è fidanzata con Fabio, un suo collega dell’Università. Io, dicevo, sono Andrea: le do un bel po’ in altezza, diciamo pure che sono ben più grosso di lei, sì, ma senza essere palestrato.
Lei è l'”intellettuale” di casa, la prima che si laurea, e a breve dovrebbe finire la specialistica in Lettere; io sono al secondo anno della prima laurea, adesso. E finalmente ho dei risultati confortanti.
E’ vero, a scuola non sono mai andato granché; è che ho sempre avuto altro a cui pensare. Da quando andavo alle medie, pensavo sempre e solo a una cosa: a Diana che, di fianco a me, cresceva e ogni giorno era sempre più attraente.
E la pensavo, la ripensavo e niente, non studiavo granché. Al liceo un anno mi hanno bocciato, e lì per la prima volta in vita mia ho pensato che dovevo mettere la testa a posto, dovevo cominciare a vivere come un ragazzo normale, cercare contatti con le ragazze e non pensare più a Diana; solo che poi è andata a finire al contrario, dato che dopo la mia bocciatura Diana è stata incaricata di aiutarmi a studiare nelle materie per me più difficili; e quindi, da che pensavo di doverla dimenticare, ho continuato a non studiare perché era il modo migliore per far sì che lei mi rimanesse vicina. Per quattro anni ho cercato di essere promosso col minimo sforzo e col massimo delle “ripetizioni” di Diana.
Tutto è svoltato durante il mio ultimo anno di Liceo, quando io avevo un compito di matematica molto importante; non so cosa mi prese, forse ero inebriato da lei, forse mi sentivo di volerla stupire, o forse ancora non ce la facevo più a guardarla senza far niente; fatto sta che con un sorriso di sfida, sicuro di me stesso, me ne uscii con un:
– Scommetti che domani al compito prendo almeno 7?
– Sì, come tutte le altre volte – mi rispose, per niente fiduciosa.
– Ma questa è la volta buona – cercai di convincerla.
– Guarda che se vai bene io sono contenta; il fatto è che se prendi 7 tu, domani nevica!
Ecco, qui non so cosa mi prese, ma sentii le parole uscirmi quasi da sole:
– Allora facciamo così: se prendo meno di sette tu non mi devi più aiutare, ma se prendo di più tu mi fai un bocchino!
– Ma che dici! Sei matto??
I giochi erano aperti, dovevo riuscire a costringerla ad accettare. E la soluzione mi venne a portata di mano, erano anni che io sapevo come potevo ricattarla:
– Allora io dico a papà che al liceo, in gita, ti sei fatta una canna!
– Non è vero!
– E’ vero, lo ha detto la tua amica Alessandra!
– Ho solo provato! Poi basta, io non fumo! – ribatté.
– Allora è vero! Stasera lo dico.
– Sei un bastardo!
– Ma guarda che se accetti la scommessa io non dico niente, né ora né mai – cercai di chiudere.
– Va bene, okay. Ma giurami che non dici niente, e che se prendi meno di sette io sono libera.
– Liberissima, giuro. Sapevo che avresti accettato, sorellina…
Mi strinse la mano come a sigillare l’accordo, e se ne andò dandomi dello stronzo, giustamente.
Quella notte non dormii: studiai come un disperato. La mattina dopo diedi tutto quello che potevo, cercai anche di confrontarmi con i compagni per vedere se avevo sbagliato qualcosa, e quando me ne uscii ero soddisfatto, ma tutt’altro che sicuro di avercela fatta.
Una sera a cena, tutti in casa, me ne uscii tranquillamente dicendo:
– Mamma, ti ho detto che ci hanno riportato i compiti di matematica?
Vidi negli occhi di Diana un terrore freddo; posò la forchetta sul piatto, inghiottì un boccone durissimo e rimase a guardare il piatto. Chiuse gli occhi, mentre mamma guardava il compito e diceva entusiasta:
– SETTE PIU’!
Mi sembrò come se Diana avesse subito un colpo alla testa. Mi sentivo quasi in colpa. Diana riaprì gli occhi quando sentì mio padre, sbalordito come mamma, che diceva:
– Vai a ringraziare tua sorella che ti ha aiutato! E’ anche merito suo!
Io andai da lei sorridendo, toccandola su un braccio per rincuorarla, e le diedi un bacio sulla guancia. Lei mi rispose con un sorriso timido appena accennato, e smettendo di mangiare.
Nei giorni successivi vedevo Diana tormentata, non capivo che problemi avesse, e la lasciai in pace; quando finalmente la vidi un po’ più rasserenata, pensai che era giunto il momento di riscuotere la scommessa.
Una mattina che lei non aveva lezione e che i nostri genitori lavoravano, uscii normalmente per andare a scuola, ma in realtà feci solo un giretto. Quando ero sicuro che i nostri genitori non fossero più a casa, salii e suonai il campanello come per farmi annunciare: nessuna risposta. Suonai di nuovo, e niente; finché non mi parve di vederla muovere lo spioncino, e allora dissi:
– Diana, apri! Lo so che ci sei!
Schiuse la porta. Era avvolta nell’accappatoio, ancora umida, e aveva una faccia stranita mentre mi disse:
– Che ci fai qui?
– Oggi non mi andava di stare a scuola, volevo tanto rimanere con la mia sorellina…
– Hai segato?
– Per una volta! E poi… ho da riscuotere…
Mi fissò con due occhi che esprimevano terrore. Provai a sciogliere un po’ la situazione dicendo:
– Vedo che ti sei già preparata…
– Per cosa? – provò a fare la vaga.
– Lo sai benissimo, non fare la scema…
Abbassò il capo. Chiesi: – Dove vuoi farlo? – ma non ebbi risposta. – Va bene, andiamo in camera mia. E sciogliti, sei tesissima, mica devi andare a morire!
Saliti in camera, le dissi di sedersi e di aspettarmi, sarei andato un attimo in bagno. Qui mi ricontrollai, mi lavai ancora una volta, mi preparai all’incontro. Tornai di là.
– Allora, sei pronta?
– Sì – mi rispose senza convinzione.
La feci inginocchiare davanti a me; le tremavano le gambe, mentre io mi tolsi pantaloni e mutande, mostrando il mio cazzo eccitato di fronte al suo visino. Non ci avevo ancora pensato, finora, ma la cosa, per lei, doveva essere tremendamente umiliante. Provai ad uscirne ordinandole – Prendilo! -, ma lei mi rispose:
– Non ce la faccio!
Quasi mi mandò in crisi, stavo per cedere e rinunciare; ma pensai a quanto avevo atteso il momento in cui con mia sorella ci saremmo toccati come facevamo da piccoli, e allora trovai la forza per fingermi arrabbiato nel mentre le urlavo – DEVI farcela!
Diana cominciò allora ad abbassare il viso; io le afferrai allora la testa tra le mani, avvicinandola pian piano, finché lei non aprì la bocca accogliendomi dentro. E immediatamente andai in estasi, e cominciai a perdere il controllo: stringevo il suo viso forte a me, per poco non me ne venivo subito, rovinando tutto. Cercai di controllarmi, mentre sentivo che il mio membro, dentro la sua bocca, si ingrossava sempre più; solo che non andavamo avanti, lei era bloccata. – Muovi la lingua, dai! – cercai di farla sciogliere, lei cominciò a succhiarmelo e lì mi sembrò di stare in paradiso, mi sembrò di impazzire dal piacere.
Staccai le mani da lei e mi spogliai nudo, avevo troppo caldo e volevo durare almeno un po’; e poi volevo lei, Diana, volevo averla per me, o almeno vederla: le tolsi l’accappatoio, lei fece un po’ di resistenza, ma alla fine mi lasciò fare. Indossava solo le mutandine; riportai una mano dietro la sua nuca, mentre con l’altra le palpavo il seno; mi eccitavo sempre di più. Mia sorella mi stava succhiando, stavo facendo sesso con lei!
A questo pensiero venni, sentii un formicolio ai testicoli, lei se ne accorse e cercò di divincolarsi, ma io non ci vedevo più, e con tutte e due le mani le strinsi il viso a me; urlai – Mio dio, che bello! – mentre il mio sperma le riempiva la bocca. Rimanemmo qualche secondo così, io dentro la sua bocca, lei con lo sperma che le colava dalle labbra e le cadeva sul seno. Io mi sentivo come mai prima, in paradiso, e mi sdraiai sul letto; lei si rialzò, e mi parve che mi sorridesse, prima di andare in bagno.
Io mi ripresi un attimo, poi la raggiunsi, mentre lei si stava sciacquando dal mio sperma; lei, appena mi vide, si coprì il seno con l’asciugamano. Mi fece tenerezza, e le dissi:
– Mi hai appena fatto un bocchino e ora ti vergogni di farti vedere? Volevo ringraziarti, non avevo mai provato niente di simile…
– Grazie… anche tu non sei stato male… specie se era la prima volta…
Ecco, adesso mi stava colpendo lei, stava cercando di mettermi in imbarazzo, forse; e invece io pensai solo che dovevo continuare, che ormai l’occasione era quella buona, che dovevo provarci.
– Senti, Diana, posso chiederti un altro favore?
– Se posso…
– Devo farmi una doccia, la faresti con me? Ti prego…
– Non sono obbligata, ora! – mi rispose, d’impeto.
– Se lo fai, ti giuro che non dovrai più aiutarmi a fare i compiti – non avevo altro da offrirle, e tutto sommato mi parve una proposta non male.
Ci pensò un attimo, ma poi si risolse:
– Okay, ma ricordati che hai promesso!
– Sì, prometto! – ed entrai nel box doccia.
– Devo togliermi anche le mutandine? – mi chiese, forse pentita.
– Tu che dici? – risposi io con noncuranza, aprendo l’acqua.
Adesso era nuda: uno splendore. Laggiù aveva una leggera peluria bionda, che si annunciava come morbidissima; non resistetti, dovetti dirglielo:
– Sei splendida, Fabio è davvero fortunato.
– Grazie – rispose, tra l’orgoglioso e l’imbarazzato.
E ora, cosa potevo fare? Anzitutto, farle la doccia meglio possibile: imbevvi la spugna di doccia-schiuma e cominciai a massaggiarla un po’ ovunque: la schiena, le cosce, poi quelle gambe fini, il ventre… poi il seno… e poi lì, in mezzo alla peluria. Ero pazzo, ero pazzo di lei, e il cazzo mi si stava di nuovo indurendo, mentre il respiro di Diana aumentava. La voltai di schiena per insaponarla sul culetto, e il mio membro la colpì lì in mezzo.
Non ci vidi più. Mi legai a lei, da dietro, lo strusciavo tra le sue natiche, la baciavo sul collo mentre sentivo che cominciava a mugolare: cominciai a toccarla dappertutto, finché non divisi le mie mani una sul suo seno e l’altra a frugarle laggiù. Anche lei come era impazzita: si strusciava contro di me, cercava di afferrarmelo e di stringermelo.
Con un colpo solo la girai di fronte a me, ci guardammo solo un attimo e poi ci baciammo a lungo, continuando a strusciarci e toccarci; non eravamo più fratelli, eravamo solo due pazzi, io pazzo di lei, lei pazza per me. Ci staccammo, ci guardammo di nuovo occhi negli occhi: ci chiedemmo, e ci rispondemmo di sì, lo volevamo entrambi. Uscimmo dalla doccia, ci asciugammo, poi la presi in braccio per portarla in camera da letto: la stesi con cura, poi mi adagiai su di lei. Cominciammo a baciarci, io la divoravo; poi la leccai ovunque, scesi su tutto il corpo, finché non arrivai alla sua grotta: e lì, da inesperto quale ero, le tentai tutte: leccai, mordicchiai, penetrai un minimo; a Diana doveva piacere, si dimenava sotto i miei colpi di bocca e mi stringeva a sé con le gambe. Finché non venne: ancora non le era successo, ero contento di averla fatta godere.
E ora? E ora mi rimaneva solo una cosa: l’ultimo passo, almeno una volta, provare. Mi inginocchiai sul letto, di fianco a lei, col membro in tiro, e le chiesi solo:
– Vuoi?
Sorrise, voltò la testa su un lato e mi guardò con una tenerezza mista a desiderio, senza respingermi. Allargò le gambe. Voleva.
Presi il membro con una mano e mi avvicinai alla sua fessura; lo appoggiai; Diana allargò le gambe come più non poteva, mentre io entravo in lei. La sensazione più divina della mia vita, altro che tutte le volte che mi ero masturbato pensando a lei. Rimasi un attimo fermo in lei, guardandola quasi incredulo, poi cominciai a muovermi, a pompare: spingevo come se dovessi scavarle dentro, ogni volta arrivavo un poco più in là, spostavo il nostro limite; e più facevo così, più lei mugolava e urlava e mi stringeva a se stessa, e mi faceva capire di continuare; io continuavo a scavarla, lo sforzo cresceva, cominciavo a non farcela più, e per fortuna che ero già venuto una volta, perché almeno così resistevo di più; senza il bocchino, temo che dall’eccitazione sarei venuto ancor prima di entrarle dentro.
Diana mi disse di fermarmi, per un attimo temetti che fosse finita; ma mi stese sul letto, si mise in piedi su di me e si fece ammirare dal basso, la vedevo tutta sopra di me, più bella che mai, la adoravo mentre scendeva sul mio membro, che prese per farselo rientrare dentro: un altro momento indicibile. Cominciò a muoversi su di me, prima piano poi crescendo, anche io mi davo da fare, spingevamo assieme scontrandoci rumorosamente; sentii che era venuta di nuovo, vacillò un attimo ma continuò a pompare, fino a che io non stavo per venire: da una parte desideravo venire e spingevo ancora, mentre dall’altra la prudenza mi faceva spingere verso il materasso, per uscire da lei: Diana invece continuò con me dentro, finché non le esplosi nell’utero: non troppo ma non poco, una quantità di sperma che non mi sarei aspettato, dato che ero già venuto una volta, quella mattina.
Eravamo sfiniti, ma anche Diana sembrava contenta; si stese sopra di me e rimanemmo così, nudi, abbracciati sul letto, con me ancora dentro, e il mio membro che rimaneva ancora mezzo duro; rischiavo di uscire da lei e non volevo, desideravo solo prolungare ancora quella intimità, e quando lo sentivo scivolare lentamente in giù, lo rispingevo dentro di lei, che sospirava di piacere.
Ma venne il momento di alzarsi: dovevo uscire e far finta di tornare da scuola, prima che fosse troppo tardi. Ancora abbracciati rotolammo, per voltarla sulla schiena; lei allacciò ancora le gambe sulla mia schiena, invitandomi a non uscire, mentre io le dicevo che era stata la cosa più bella di tutta la mia vita; mi prese il viso, ci baciammo e lei riprese a muovere lievemente il bacino; io spinsi ancora una dozzina di volte, sentii l’ultimo paio di gocce di sperma uscire da me per entrare nella sua grotta, poi mi alzai per andare a lavarmi e per uscire.
Era stato magnifico, avevo ottenuto oltre ogni mia aspettativa; ma sarebbe finita lì, quando ero uscito da lei, Diana era tornata lucida, e aveva espresso una faccia preoccupata, una faccia da “cosa abbiamo fatto?!”. Quando uscii di casa, non salutai; nel pomeriggio lei aveva lezione, poi a cena non si fece vedere e uscì con Fabio.
Avevo avuto tutto, di lei; e adesso non l’avrei avuta più, e come da promessa avrebbe anche smesso di aiutarmi a studiare, e tutto il resto. Magari un giorno si sarebbe sposata e addio, chi si è visto si è visto, e avrebbe ricordato per tutta la vita questa giornata e quest’avventura che neanche voleva; o forse avrebbe dimenticato anche questo. Dovevo mettere la testa a posto, adesso, sul serio; dovevo crescere, confrontarmi con gli altri, camminare sulle mie gambe. Magari ricordare quello che era stato, ma appunto: ricordare. Vivere sarebbe stato un’altra cosa.
Quando poi, qualche giorno dopo, Diana venne da me per chiedermi se avevo bisogno di aiuto per ripassare Greco, capii che forse qualche speranza c’era ancora…
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