Una moglie per bene nellÂ’abisso della completa sottomissione (18)

“Ma , ancor peggio, vicino l’inguine completamente depilato un altro tatuaggio che lessi a fatica “schiava e puttana”…”

IL CAPITOLO SEGUENTE HA UN CONTENUTO DECISAMENTE SOPRA LE RIGHE E POTREBBE
NON ESSERE ACCETTATO DA TUTTI GLI AUTORI INVITANO PERTANTO DI PROSEGUIRE LA LETTURA SOLO SE CONSAPEVOLI DI LEGGERE ESTREMIZZAZIONI A SFONDO SESSUALE.
ALLA FINE DELLA LETTURA QUALCUNO SICURAMENTE STORCERÀ IL NASO, QUALCUN ALTRO PLAUDIRÀ A COME SI EVOLVE LA STORIA. CI SARÀ MAGARI QUALCUNO CHE CHIUDERÀ LA PAGINA E QUALCUN ALTRO CHE LA LEGGERÀ CON PIACEVOLE ATTENZIONE FINO ALLA FINE, CHI DIRÀ “MA QUESTI DOVE VOGLIONO ARRIVARE” E CHI INVECE “PERÃ’”. INSOMMA, COME AL SOLITO CI SARANNO QUELLI A CUI PIACE E QUELLI A CUI NON PIACE IL PROSIEGUO DELLA TRASFORMAZIONE DI MIA.
C’È COMUNQUE DA DIRE UNA COSA IMPORTANTE: GASTON, JAMAAL E PRINCIPALMENTE COSIMO, VOGLIONO PORTARE LA CARA E ALTEZZOSA PROFESSORESSA AL DEGRADO PIÙ ASSOLUTO E CI STANNO PIENAMENTE RIUSCENDO. IL LORO SCOPO ERA QUELLO E FARANNO DI TUTTO PERCHÉ IL DEGRADO SIA SEMPRE PIÙ UMILIANTE E MORTIFICANTE.
VA RICORDATO INOLTRE CHE, ESSENDO UN RACCONTO DI FANTASIA, LE PRATICHE DESCRITTE SONO SOLO UNA PURA IMMAGINAZIONE SENZA ALCUNA CONNESSIONE CON IL MONDO REALE E LA CUI ATTIVITÀ NON DEVE ESSERE MAI MESSA IN PRATICA.

MIA
Mi ero rintanata in un angolo, accovacciata, facendomi scudo con le gambe e con le braccia piegate per proteggermi da quel grosso cane. Mi avevano insegnato che non avrei mai dovuto far capire ai cani di aver paura di loro, e in effetti non ne avevo, ma qui si trattava di un grosso cane meticcio che non conoscevo,ma nemmeno lui mi conosceva.
Come avrei dovuto comportarmi?
Lui non faceva che annusarmi le braccia, le gambe, le spalle ed ebbi tanta paura quando mi annusò il collo e il viso. Temetti che mi avrebbe azzannata.

In tutto questo fuori della gabbia sentivo Gaston e Cosimo che parlavano e sicuramente stavano parlando di me, perché ogni tanto mi facevano una domanda a cui potevo solo rispondere “Sì padrone”, sia perché a volte non riuscivo a capire cosa mi chiedessero e sia perché cercavo, per quanto mi fosse possibile, di tenere a bada quel grosso cane. Mi accorsi che con loro c’era anche mio marito, che era sì un po’ in disparte ma mi guardava con un’espressione che non riuscivo a comprendere. Pensai quasi con rassegnazione che neanche il vedermi in gabbia lo scuoteva, neanche insieme ad un cane che avrebbe potuto facilmente sbranarmi lo spingeva a tirarmi fuori, ad aiutarmi.
L’unico che mi restava più vicino e osservava il comportamento del cane era Jamaal, preoccupato forse che il suo ultimo acquisto potesse essere rovinato da quell’enorme cane. In ogni caso questa presenza mi tranquillizzò e riuscii anche in qualche modo a calmarmi.

Poi all’improvviso, il cane iniziò a leccarmi le mani, i piedi, le braccia e il viso. Capii che mi stava accettando accanto a lui nella gabbia e iniziai ad accarezzarlo anche io, per fargli capire che nemmeno io per lui non potevo certamente essere un pericolo, ma che anche io apprezzavo la sua vicinanza e accettavo di dividere con lui il piccolo spazio che avevamo a disposizione.
Con la coda dell’occhio vidi mio marito allontanarsi insieme a Cosimo lasciandomi ancora da sola ora tra le balia di quel cane.
Jamaal mi si avvicinò e si accovacciò vicino all’angolo dove io mi ero rannicchiata.
“Ora devo andare – mi disse sorridendomi – e non temere per Dick, è un bonaccione e poi ormai siete diventati amici e non ti farà nulla di male, al limite vorrà essere soddisfatto come hai fatto con gli altri.”
Scoppiò in una risata fragorosa allontanandosi con Gaston e lasciandomi sola con quel cane.

Cosa voleva dire? Oddio cosa intendeva? Non vorrà mica che io … che Dick … Dio mio no … dove volevano farmi arrivare? Dunque il mio degrado non avrebbe mai avuto fine?
Cercai di farmi piccola piccola nell’angolo in cui mi ero rifugiata mentre il cane non smetteva di annusarmi e di leccarmi, e lo faceva con sempre più insistenza.
Pensavo con paura ad un accoppiamento animalesco, ad un accoppiamento assolutamente contro natura e sperai che quel cane si fermasse, che non continuasse ad annusarmi e a leccarmi. Pensai che l’odore e il sapore dello sperma che si era appiccicato su di me gli davano una sensazione di quel desiderio che anche per lui poteva e doveva sembrare contro natura, ma forse per lui non doveva essere così.
Cercai di accarezzargli la testa e il collo con entrambe le mani sperando che questo potesse convincerlo a considerarmi, certo non una padrona, ma un’amica o qualcuno da rispettare.
Il muso del cane si insinuava sempre più tra le mie braccia, spingendole e scostandole dal mio corpo, fino ad arrivare al seno iniziando a leccarmi anche lì. Un primo tentativo di scostarlo risultò inutile e un secondo provocò un’insistenza ancora maggiore, per cui, oltre a leccarmi i seni e i capezzoli, cercò di farmi abbassare anche le gambe per liberarmi il ventre da quella mia ultima protezione.
Non potei fare a meno di stendere le gambe e lasciarlo quindi salire col le zampe sulle mie cosce. Abbracciandomi quasi in vita e stringendo le zampe continuò a leccarmi sul collo e sul viso.

Non so cosa mi stesse accadendo, ma in quel momento sentivo quasi un fremito al basso ventre, sentivo in quell’abbraccio qualcosa di strano stava per succedere, sentivo dei piacevoli brividi lungo la schiena e quei baci dati velocemente dalla lingua del cane mi stavano portando verso una specie di estasi, di insana libidine.
Così quando il suo muso iniziò a scendere senza mai smettere di leccarmi, allargai spontaneamente le gambe e lo lasciai arrivare sulla mia vagina, dove trovò il mio calore e iniziò a leccare anche lì.
Non riuscirò mai a spiegare quale sensazione provassi in quel momento, ma sentivo che il mio corpo rispondeva a quel trattamento senza che il mio cervello gli desse indicazioni, allargando ancora le gambe e offrendo il mio bacino alla lingua di quel grosso cane.
Dick si fermò all’improvviso, mi guardò e poi portò il suo muso alle mie spalle e mi spinse, costringendomi ad allontanarmi dall’angolo in cui mi ero rifugiata e spostandomi al centro della gabbia, facendo in modo che ci giungessi a quattro zampe.
Il suo muso si spostò ancora tra le mie gambe, scostando la coda di volpe che chiudeva il mio buchetto e riprendendo a leccarmi la vagina. Non so cosa mi stesse prendendo, ma accolsi la sua lingua con un piacere sempre crescente, un piacere mai provato prima, che mi prendeva completamente il cervello senza più farmi più ragionare.

Il cane si fermò e iniziò a girarmi intorno, fermandosi per un attimo davanti al mio viso e poi, con un piccolo salto, riprendendo a girarmi intorno. Fu proprio in uno di quei momenti che vidi spuntare tra le gambe un lungo membro rossastro che terminava in una punta gocciolante. Lo guardai con terrore, ma anche con desiderio, pensai che mi avrebbe penetrata con quel grosso arnese che diventava sempre più grosso e duro. Continuò a girarmi attorno ancora un paio di volte, poi, di colpo, mi saltò sulla schiena, facendomi sentire il suo sesso sulle cosce e sulle natiche. Sentivo le sue spinte nella ricerca del mio sesso e capii che la coda che mi pendeva dietro gli impediva il passaggio. Fu un attimo, in quel momento lo desideravo, lo volevo, volevo che mi prendesse, che mi penetrasse, lo desideravo con tutta me stessa. Così con una mano scostai quella coda liberando la mia vagina. Ci fu bisogno di diversi tentativi prima di trovare la strada giusta, e, quando la trovò, mi sentii riempire con un colpo secco fino all’utero. Urlai per la sorpresa e per la grandezza di quel sesso bestiale ma lo accolsi con piacere.
Cominciò a darmi dei colpi molto violenti e veloci, che mi fecero salire il piacere in maniera inverosimile. Ma non durò molto, così come aveva iniziato a sbattermi, così si fermò, scendendo dalla mia schiena, ma restando ancora dentro di me. Lo sentivo ancora più grosso e lungo e sentivo la vagina ancora più dilatata di quanto potesse averlo fatto il suo sesso. Cercai di muovermi in avanti per estrarre quel sesso, ma non ci riuscii. Ebbi paura, capii che era rimasto incastrato dentro di me e pensai di non essere più capace di liberarmi.

Ero terrorizzata, ma il cane restava calmo, affannando con la lingua penzoloni, poi girò la testa e leccò ancora la vagina e il suo sesso. Sentii che qualcosa stava succedendo, lo sentii diminuire di volume e poi, quasi con un “flop” uscire e finalmente liberarmi.
Mi stesi a terra respirando affannosamente mentre il cane si leccava la punta del sesso che restava ancora completamente fuori. Con un gesto di gratitudine nei suoi confronti, mi avvicinai a lui, lo accarezzai e, con la punta delle dita, gli toccai il sesso raccogliendo qualche goccia del suo seme, quel seme che aveva poco prima scaricato nella mia vagina. Con un gesto che non avrei mai immaginato di poter fare, leccai le dita bagnate del suo seme e ne restai inebriata, come se fosse il seme del mio migliore amante. Ma non era sufficiente, avvicinai il capo a quel sesso che stava per rientrare nella guaina ed era ancora gocciolante e raccolsi col la lingua le ultime gocce che ne uscivano dalla punte.
Mi stesi quindi a terra e lo abbracciai sentendo sul mio corpo il calore della sua pelliccia.
Ci addormentammo quasi nello stesso momento.

Passarono forse delle ore quando il cane si svegliò mettendosi in piedi e in una posizione di allerta. Capii che forse stava venendo qualcuno e mi misi accovacciata in attesa.
Infatti vidi che una ragazza vestita con pantaloni di pelle nera e giubbotto anche lui di pelle si avvicinava verso di noi. Quindi aprì la gabbia.
“Complimenti per lo spettacolo – mi disse indicando due telecamere sulle pareti ai lati della gabbia – si vede che ci sai fare, ti va bene qualsiasi cazzo!”
Oddio le telecamere, mi sentii di morire, avevano ripreso anche quello. Ora ero davvero senza vergogna, ma la colpa era mia, avrei dovuto saperlo, ma anzi lo sapevo, sapevo ormai che stavano riprendendomi sempre, era logico che avessero ripreso anche il mio accoppiamento con Dick. E ora che ne sarà di me?
“Adesso vieni fuori EV625 – mi disse con voce fredda – ora devi prepararti per il tuo padrone.”
Mi fece uscire e mi attaccò di nuovo il guinzaglio al collare e mi trascinò lontano dalla gabbia.
“Ma quanto puzzi – mi disse cercando di starmi lontana per quanto permettesse il guinzaglio – a me fa schifo avere vicino una schiava così puzzolente. Ora da brava cagnolina obbediente, vai in quell’angolo dove ti farai lavare da due inservienti perché dovrai essere pronta per continuare l’iniziazione.”
Continuare? Dunque non era finita? Accolsi quasi con sollievo il fatto di potermi lavare e togliermi quel lerciume dal corpo, ma nello stesso tempo quasi con terrore perché non sapevo cos’altro dovessi aspettarmi.

Alle sue spalle comparve un omaccione che indossava un grembiule di plastica con una pettorina come quelli che indossano in genere gli inservienti che lavano gli animali, mi furono tolte le catene alle caviglie e il plug dall’ano e gli consegnò il guinzaglio. Ecco dunque cosa ero diventata, una cagna destinata a soddisfare chiunque. Ma questo pensiero col tempo, si dovette dimostrare fin troppo ottimista.
Fui portata in un angolo buio della sala che si illuminò al nostro arrivo. Vidi una specie di vasca da bagno, ma con i bordi più bassi del normale, forse più una bacinella di plastica rigida che una vera e propria vasca, una doccia a telefono, spugne e flaconi di sapone di diversi colori.
Non protestai quando mi fecero entrare in quella bacinella, pensai solo al fatto che finalmente potevo togliermi di dosso tutto quel liquido puzzolente che cominciava anche a seccarsi sulla mia pelle.
Sussultai per i brividi che mi dette il primo getto freddo dell’acqua, che, per fortuna, piano piano iniziò a scaldarsi, poi uno dei due inservienti prese una spugna imbevuta di sapone e iniziò ad insaponarmi. Il profumo di quel detergente mi servì molto per perdere quella brutta sensazione del piscio e dello sperma ormai secchi sulla mia pelle e quasi per rilassare la mia mente più del mio corpo.
Alla fine mi fu permesso di asciugarmi con un grosso asciugamani di spugna e anche i capelli ebbero lo stesso trattamento, seguito da un forte getto di aria calda che usciva da un tubo attaccato a un macchinario fissato alla parete. Immaginai che fosse qualcosa che veniva usato per asciugare il pelo degli animali.
Alla fine del trattamento venne a prendermi la ragazza di prima che, sempre al guinzaglio mi portò in un’altra stanza dove venni affidata ad un’estetista che, con maniere molto garbate, mi fece sedere in una poltroncina per il trattamento estetico.

Chiese alla ragazza se fossi io EV625 e al suo annuire, prese dal mobiletto sotto il grande specchio che era di fronte alla poltroncina limette e forbicine per le unghie e iniziò il suo lavoro alle mie mani e ai miei piedi. Dopo fu la volta dello smalto, uno smalto di un rosso molto intenso, di un colore che mai e poi mai avrei messo spontaneamente trovandolo oltremodo volgare. Mi furono tagliati i capelli quasi a caschetto e tinti di un rosso ruggine. Mi sistemarono le sopracciglia, mi truccarono pesantemente gli occhi e mi depilarono completamente.
Terminarono il trattamento con uno spruzzo di profumo certamente economico e dozzinale.
Alla fine mi fecero indossare calze e reggicalze e scarpe dal tacco altissimo.
Quindi presero da un astuccio due anelli e un disegnino che non riuscii a vedere bene , ma lessi chiaramente le parole “Schiava e puttana”. Capii che quegli anelli dovessero essere il piercing da mettere ai miei capezzoli e quello fosse il tatuaggio che mi avrebbero voluto fare.
Con terrore dissi loro che non volevo, che avevo terrore degli aghi e che quella era per me una fobia che non avrei mai potuto superare.
Senza dire nulla riposero l’astuccio dove lo avevano preso e mi tranquillizzarono facendomi risedere e chiedendomi se volessi bere qualcosa. Chiesi un bicchiere d’acqua che mi portarono quasi subito e che io bevvi, sempre seduta sulla poltroncina. Dopo pochi secondi mi si chiusero gli occhi e mi addormentai.
Non so quanto tempo passò minuti, ore forse. Al mio risveglio mi fecero alzare e mi portarono davanti a uno specchio. Appena mi vidi detti un urlo per la brutta sorpresa: davanti a me, riflessa nello specchio, c’era una schiava e una troia a tutti gli effetti, capelli tinti volgarmente come volgari erano lo smalto alle unghie. Sentii le labbra tese, gonfie, le guardai ricoperte da un rossetto rosso scarlatto, ma più gonfie come se fossero state indecorosamente siliconate. Guardai il seno ed ebbi ancora uno scoramento, ai capezzoli c’erano inseriti i due anelli che mi avevano mostrato prima e su un seno un tatuaggio piccolo ma evidente, due manette con all’interno due lettere “C” e “J” che sarebbe apparso portando un vestito anche solo un poco scollato. Ma ,ancor peggio, vicino l’inguine completamente depilato un altro tatuaggio che lessi a fatica “schiava e puttana”.
“Una schiava perfetta – mi disse la ragazza che mi aveva presa dalla gabbia – ora non ti resta che aspettare che qualcuno venga a prenderti per accompagnarti del tuo nuovo padrone.”

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BDSM

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