Sottomissione indolore 2da parte

“Il suo comportamento è piuttosto strano…”

VI CONSIGLIO DI LEGGERE LA PRIMA PARTE, PUBBLICATA POCHI GIORNI FA.

Le concedo un po’ di tempo per riprendersi dall’emozione. All’inizio era tesa, ma questo primo orgasmo ha iniziato a rompere il ghiaccio. Con un ordine secco, la metto carponi e rimuovo il morso. Le sfilo completamente le mutandine, che erano già scese ai suoi piedi e gliele pianto sul viso. Fa un verso di chiara sorpresa, sicuramente a causa dell’odore acre del suo bagnato, ma correttamente non dice nulla. Mi assicuro che il punto che aveva inzuppato di umori di figa fosse proprio in corrispondenza al suo naso. Le accarezzo i capelli delicatamente. Le sto alle spalle. Prendo uno speculum anale a tre valve. Il suo ano mi aspetta tranquillamente. Per prima cosa verifico se è pulito, come previsto nel contratto. Indosso un guanto di lattice e ricopro il forellino pigmentato con lubrificante, poi giro il dito intorno allo sfintere prima di farlo penetrare all’improvviso. E’ alquanto stretto. Ci vorrà un po’ di pazienza. “Rilassati Attila.” le dico. So cosa sto facendo, con il dito ho massaggiato per alcuni secondi e poi è entrato tutto. Ora devo solo andare un po’ avanti e indietro prima di poterci mettere un secondo dito e continuare con il suo piccolo programma personalizzato.

Il secondo dito passa con difficoltà, ostacolato dalle contrazioni involontarie. Mi accorgo che cerca di inspirare il meno possibile, in modo da non inalare la puzza dal fondo delle mutande. Con il mio secondo dito completamente inserito, sento che è ormai pronta per lo speculum. Ricopro di freddo gel lubrificate l’ancor più freddo metallo. “Lo so, sarà freddo.” Dopo averlo lentamente inserito, con la dovuta pazienza inizio ad aprirlo fino a raggiungere un’apertura che mi consenta di osservare, tramite una torcetta, la magnifica mucosa rosa e ondulata del suo canale rettale. Raramente una sottomessa ha sopportato una tale dilatazione alla prima seduta. Le lascio lo speculum in sito e vado a rimuoverle le mutandine dalla testa.

Sembra sollevata. La vista del suo culo così eretto mi fa impazzire. Con mano ferma la sculaccio bruscamente. “Attila, voglio le tue natiche rosse scarlatte.” Non mi fermerò prima. Con ripetute sculacciate, di forza e ritmo variabili, finisce per avere un culo rosso vivo. Nel mezzo di quelle chiappe sode e giovanili compaiono due punti di fuoco. Lo ammetto, avevo sperato di vedere una lacrima posarsi in un angolo del suo occhio, ma lei non fa una piega.

Accendo una candela speciale e le verso delicatamente alcune gocce di cera sulla schiena. Lei non sussulta. Sorprendente. Prendo un vibratore clitorideo e lo accendo a metà potenza. Lo premo contro il suo clitoride bagnato mentre continuavo a sculacciarla. Presenta un secondo orgasmo, più discreto. Un leggero schizzo di liquido giallo le sfugge e forma un lungo rigagnolo lungo la gamba. “Sei una buona sottomessa, Attila. Potremo continuare. ” In silenzio, Attila mi obbedisce.

Il seguito che ho in mente è un bel clistere. E’ pulita, ma non posso resistere all’idea di vederla gemere, alla visione del suo addome che si riempie di acqua tiepida, al pregustare il suo dolore per la dilatazione massima dell’ampolla rettale. Posiziono un cuscino, piccolo, ma molto alto e resistente alla pressione, sotto il suo bacino per sollevarle il sedere con la giusta angolazione. Ciò permetterà all’acqua di entrare più facilmente nell’intestino. Vado in bagno e con il rubinetto della vasca riempio l’apposita sacca con un litro d’acqua alla giusta temperatura e torno da lei. Appendo la sacca all’asta portaflebo e lubrifico la cannula più grossa, quella per lavaggi vaginali. Il suo ano già ben dilatato, permette al tubo nero, lungo 15 cm. per 2 di diametro di entrare facilmente e penetrare fino in fondo nel retto. Il suo comportamento è piuttosto strano.
Sembra completamente alla mia mercé, come una bambola insensibile. Mi stupisco per l’assenza di reazioni in questa sessione di dominazione, che normalmente ne suscita molte.

Ormai ho penetrato tutte le sue aperture, manipolato il suo corpo, ma ha reagito in modo molto contenuto, quasi segreto, come se fosse assente. Sembra adattarsi a tutto. Dovrebbe essere una terra vergine, piena di mistero, che i passi di un uomo non hanno mai calpestato, invece sono io a sentirmi come sulla lava fusa, su di un terreno ostile e selvaggio. Lentamente apro il rubinetto della cannula e ciò fa innanzitutto esplodere bolle d’aria nell’acqua calda della sacca. Attila respira un po’ più forte, la parte superiore delle sue cosce comincia a tremare e il suo stomaco presenta delle forti contrazioni. Mi sarei aspettato che la rapida dilatazione a cui l’ho sottoposta, regolando un flusso decisamente elevato, la portasse a reagire violentemente, per un dolore quasi insopportabile, invece neanche un urletto, ma che dico, neanche un gemito! Sono impressionato: la sacca è completamente vuota e comprimendole il ventre le strappo solo qualche smorfia di disagio. L’aiuto ad alzarsi.

“Sottomessa, ora espellerai tutto l’acqua al mio cospetto.”
E’ ancora bendata e con un braccio la guido verso una grande vasca di plastica, posizionata in un angolo del soggiorno. Appena la faccio accovacciare lei non perde tempo e inizia a spruzzare acqua con fiotti generosi, il cui rumore mi suscita un eccitamento che fatico a contenere. Il suo viso si rilassa mentre il liquido scorre. Assaporo tutto il piacere morboso di assistere a quest’atto profondamente intimo. Dal momento che non può vedermi, mi concedo di accarezzarmi delicatamente la patta dei pantaloni, sotto la quale il cazzo comincia a indurirsi. Lo estraggo per un istante e lo ripulisco dal liquido prostatico trasparente, che fuoriesce abbondante, denso e appiccicoso, dal meato uretrale. Lei ha finito.
“Ti sei svuotata totalmente, Attila? Senti che il tuo intestino è totalmente pulito, ora?”
Lei annuisce. La informo che voglio ugualmente sottoporla a verifica con un’ulteriore revisione rettale. Poi, con lo speculum, mi permetto di aprirla ancora di più di prima. Le sue mucose rosa sono perfette, invitanti e promettenti.

Quando le tolgo la benda, trasmettendole con lo sguardo la mia soddisfazione, non apre bocca. Non osa dirlo, ma intuisco che non è ancora appagata. Percepisco la sua riluttanza ad andarsene, a terminare la sessione. E’ pronta ad andare oltre, a lasciarsi andare ancora di più.

Quindi le riallaccio la benda sugli occhi e la guido su una delle poltrone di pelle in fondo al soggiorno. Le lego le gambe ai braccioli, in modo da tenerle separate il più possibile. Le immobilizzo le mani con delle manette. Le tappo la bocca con le sue mutandine sporche e le blocco all’interno con un bavaglio. Tiro fuori il mio kit da elettro-stimolazione. Ho praticato per anni con questo strumento, non al fine del recupero fisioterapico, ma per il trattamento di alcune distimie, ed è ancora la mia tecnica di riferimento elettiva. Il controllo della contrazione muscolare a mio piacimento, nel il mio programma di sottomissione rappresenta il top, il punto di arrivo, che non tutte conseguono e comunque non prima di un certo numero di sedute. Attila ci arriva alla prima.

Dopo averle applicato sulle opportune zone del corpo il gel conduttivo, le posiziono quattro elettrodi adesivi sull’addome, due all’interno di ciascuna coscia, due sul lato esterno di ogni mammella, uno a pinza sul prepuzio clitorideo e uno a cilindro nello sfintere anale. Ci penso su e decido di completare esteticamente il quadro che sto contemplando con due pinzette capezzolari unite da una catenella metallica. Ammirarla così equipaggiata mi da un piacere sublime. Collego tutti gli elettrodi con i relativi cavetti alla macchina, sentendomi ancora una volta un dannato Frankenstein, in procinto di imporre, su quel corpo inerte, contratture muscolari a mio piacimento.
“Attila, avrai una serie di scosse elettriche.”
Giro le giuste manopole e la gioia comincia. Modulo l’intensità e la frequenza in modo da avere un costante aumento della potenza finché alcuni suoi gruppi muscolari iniziano a contrarsi visibilmente, compresi quelli del perineo, lo sfintere ano-vaginale in particolare, il che fa andare su e giù la parte sporgente dell’elettrodo infilato nell’ano. La sua pelle è scossa da brividi. Dei suoni lottano per uscire dalla sua bocca imbavagliata. Ho un’idea. Regolo le manopole in modo da stimolare moderatamente e con un ritmo costante la sola area sessuale e vado a trovare “Histoire d’O” nella libreria. Nel ritornare da Attila mi vien da pensare a chi non ha mai letto il libro e crede di conoscerlo perché ha visto un film omonimo e mi sfugge un breve riso di commiserazione. Quindi inizio a leggere alcuni passaggi significativi alla mia sottomessa, che sembra ora essere molto eccita.

“Lasciati andare Attila.”
Riprendo a manipolare le scosse e mi compiaccio nel vedere il suo seno sollevarsi a scatti sotto l’effetto degli impulsi elettrici. La cosa la fa reagire fortemente. Ritorno sullo stimolatore clitorideo che le fa contrarre la muscolatura del perineo. Capisco che lei cerca di lottare, di contrastare il piacere insopportabile che le sto somministrando. La sua vagina si contrae visibilmente e protrude con uno spasmo che dura alcuni secondi prima di arrendersi a molteplici micro contrazioni, segno evidente di un orgasmo incontrollabile. Imparo a conoscerla e mi adeguo alla sua straordinaria sensibilità. Capisco che le piace di più ricevere impulsi rapidi e ad intervalli ravvicinati. Quando mi pare che sia ormai esausta, riduco gradualmente gli impulsi e infine li arresto, prima che perda i sensi. Le do il tempo di riprendersi scollegandola piano, in silenzio e togliendole le mutandine dalla bocca, avendo cura di pulirle le labbra.

Ora l’ho lasciata sulla poltrona, aspettando saggiamente che si riposi. Il mio programma è esaurito oramai, ma il suo sesso gocciolante e rigonfio, che palpita ancora per lo sforzo ed il piacere provato mi ha dato l’idea per un ultimo servizio.
Prendo un palloncino dilatatore e con dolcezza glielo inserisco nella vagina, mentre lei non si oppone ed in silenzio mi lascia fare. Poi lo collego al una pompa manuale corredata di manometro e lo gonfio fino a quattro atmosfere, la metà più o meno dei tubolari della mia bicicletta. A questo punto verifico che l’apertura vagina è quella ottimale e le dico di sopportarla per qualche minuto.

Dopo 5-6 minuti indosso un guanto di lattice e lo ungo con olio di vaselina profumato. Mi accovaccio seduto per terra tra le sue cosce, sgonfio il palloncino e ungo di lubrificante tutto l’orifizio vaginale. Il freddo la fa sussultare. Inizio ad affondare due dita ricoperte dal guanto lubrificato. Aspetto che si rilassi e quando la sua vagina ritorna ad espandersi infilo le altre due dita. Inizio pian piano a muovere le dita riunite a cono dentro e fuori, sempre più rapidamente e sempre più a fondo, fino a quando anche il pollice comincia ad entrare, producendo uno sciacquettio decisamente eccitante. La mia mano prosegue inesorabile ad approfondirsi, risucchiata nelle profondità della sua intima anatomia, come attratta nel buco nero del suo evidente desiderio di andare oltre, di non dire mai basta. Lotto a lungo, la sua vagina non è davvero fatta per il fisting, ma finalmente la mia mano scivola dentro fino al polso. Mi arresto, avverto attorno ad essa attraverso lo strato di lattice, tutta la forza di contrazione e il calore della sua vagina. Lascio ferma la mano finché i suoi muscoli si adattano all’eccezionale intrusione. Poi, quando finalmente mi sembra rilassata inizio lentamente a rifare avanti e indietro e comincio a divertirmi aprendo e chiudendo le dita a pugno. Questo esercizio sembra darle grande piacere. La stimolazione aggiuntiva fa si che improvvisamente la sua vagina si contrae, con tale forza da farla finalmente urlare di piacere. Emetto un forte respiro di sollievo: ho infine rotto il suo silenzio. Le appoggio una mano sul ventre per aiutarla a controllare gli spasmi e a riprendere il regolare ritmo del respiro. Infine estraggo pian piano, delicatamente, la mano fuori dalla vagina.

Le tolgo la benda, lei sbatte un po’ le palpebre per aprire bene gli occhi. Quando incontra il mio sguardo, mi sorride timidamente.
“Come va ?” Le chiedo.
Lei annuisce appena. E’ così misteriosa!
“Mi sono divertito molto”, le confesso.
Lei sorride di nuovo e abbassa la testa.
“Vale a dire … per me è stata una prova?” – Dice quasi sussurrando – “Un test? Per vedere se è accettabile come sottomessa anche una persona che potrebbe essere insensibile al dolore?”
“Allora…” – rimango sbigottito. Come ho fatto a non pensarci? E’ un raro caso di CIP, Congenital Insensitivity to Pain! – “…ma almeno ti è piaciuto?” domando.
“Io sento, con le mie zone erogene. Ma il dolore è assente, sento solo pressione e contatto.” Mi risponde sommessamente.
“Bene…” – le faccio – “Puoi rivestirti”.
Folgorato da questa rivelazione, le indico il paravento, ma le chiedo un ultimo favore, quello di poterla guardare mentre si veste. Mi risponde che la cosa non le importa.

Prendo una sedia e mi accomodo. Inizia prendendo dei nuovi indumenti dalla sua borsa. Ora indossa mutandine di cotone viola. Molto semplici, ma che le stanno perfettamente. Non ha un filo di grasso oltre a quello necessario a modellare le sue curve perfette, nessuna linea di smagliatura. Non posso non paragonarla con quelle altre, piene di difetti, che inutilmente cercano di mascherare con tutta una sfilza di indumenti intimi, la cui infinita nomenclatura mi sfugge e mi annoia. Attila solleva una gamba, poi l’altra per indossare il collant che tira bene fin sotto l’ombelico. Poi, con gli altri capi,uno ad uno, si veste: il reggiseno, i pantaloni, la canottiera e infine le scarpe. E’ di una bellezza aggraziata, semplice e dolce. Emana qualcosa che mi turba molto. Il mio cuore sta cominciando a vibrare per lei e lei se lo sta portando via. Rimane ora in piedi, la borsa a tracolla sopra la spalla, mi guarda, aspettando la mia approvazione.

Sussulto osservando i suoi occhi. Un particolare che sotto la benda non potevo notare: i suoi occhi non sono dello stesso colore. Sorprendentemente neppure quando ha varcato la soglia, due ore fa, me ne ero accorto. Forse per un effetto di luce. Una delle sue iridi è marrone e l’altra di un sublime verde smeraldo. Improvvisamente ciò le da un’aria rettiliana, quasi da extra-terrestre. Attila sta per andarsene, ma io rimango catturato dal suo sguardo. Senza dire una parola, afferra la cinghia della borsa, si volta e si dirige verso la porta, esce e se la richiude alle spalle senza fare rumore. Rimango solo, in un silenzio ovattato.

Seduto, sono in grado di azionare lo stereo semplicemente premendo il pulsante di riproduzione su un telecomando. Inizio a sentire un pezzo di Eric Satie. Una delle sue gymnopedies. Magnifica e struggente, come molte sue opere, piena di luminosa malinconia. Proprio come Attila, la dolce Attila. Non è stato solo un divertimento. Tutti gli attrezzi sono rimasti sparsi per il soggiorno, dove li ho usati. Attraverso le veneziane il sole è scomparso e sento il peso di un’ infinita solitudine sulle mie spalle. Alzo il volume e chiudo gli occhi. Non so come potrò accontentarmi di altre banali sedute di dominazione, dopo aver conosciuta quella di oggi.

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BDSM

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