“Purtroppo all’epoca due sedicenni inesperti non avevano molti posti dove potersi appartare, e nei mesi che seguirono furono rare le occasioni di restare soli…”
La scuola era iniziata e le giornate si susseguivano uguali, scuola, casa,
studio, oratorio, casa…..
Sul versante esperienze personali da un po’ non si muoveva nulla.
Dopo la metà di novembre una sera in oratorio c’era un incontro sulle attività del gruppo missionario di cui facevo parte (la mia è una famiglia molto religiosa). In effetti non avevo nessuna voglia di andarci, ma non avevo scelta, se non avessi partecipato il don l’avrebbe di certo riferito ai miei….
Entrai nella stanzetta dove era prevista la riunione, c’erano le solite vecchie del gruppo vedove, il don, e il gruppo dei ragazzi di cui facevo parte, mi avvicinai a loro cercando un posto dove sedermi che non fosse troppo in vista. Una volta seduto una voce dietro di me disse “E’ un po’ che non ci si vede eh?” Mi voltai e vidi Alberto. “Ciao! Come và?” “Bene.” “Ma dove eri finito?” “Per un po’ ho cambiato giro. Ma ho deciso di tornare sui miei passi.”
La riunione iniziò interrompendo la nostra conversazione. Dopo un ora e mezza finalmente tutto finì. Era andata piuttosto bene, l’unica incombenza che mi era capitata era quella di preparare i pacchi per le missioni, fortunatamente Alberto si era offerto di aiutarmi.
Usciti dalla riunione ci incamminammo verso casa e chiacchierammo del più e del meno, ma nessuno dei due fece menzione di quanto era accaduto la scorsa primavera. Ora potevo osservarlo bene, era carino a modo suo, biondo con gli occhi azzurri, il fisico non era certo da culturista, anzi tirava sul rotondetto, ma questo ispirava tenerezza, forse anche per via dei capelli che erano sottili, morbidi e leggermente ondulati e sembravano sempre spettinati, probabilmente aveva rinunciato da tempo a domarli. Parlava con una erre molto marcata che lo rendeva ancora più simpatico.
Imbacuccati nei nostri giubbotti passeggiammo un po’ verso casa sua ed un po’ verso casa mia. Alla fine era ora di cena, ci saremmo visti in oratorio ed ognuno andò verso casa.
Passarono un paio di giorni durante i quali molti impegni scolastici non mi permisero di andare in oratorio. Il venerdì pomeriggio comunque mi presentai per l’attività di preparazione dei pacchi per le missioni.
Entrai nel piccolo magazzino sotto la canonica e trovai il gruppo vedove già indaffarato a smistare generi alimentari, abiti, bibbie e rosari (sull’utilità di questi ultimi per popolazioni che morivano di fame ero piuttosto scettico), poi c’era Alberto che aveva già cominciato a preparare gli scatoloni che dovevamo riempire. Mi avvicinai “Ciao.” “Ciao! Beato chi ti vede!” “Hai ragione, ma avevo un sacco da studiare.” “A chi lo dici! Il liceo è massacrante. Forse avrei fatto meglio a scegliere l’istituto tecnico come hai fatto tu.” “Non so che dirti, ti assicuro che fanno sgobbare anche noi!”
Ci mettemmo a lavorare, le vedove ci passavano le cose da inserire e noi le disponevamo negli scatoloni, spesso nell’inserire qualcosa le nostre mani si toccavano allora ci guardavamo e sorridevamo.
Andammo avanti per circa un’ora, poi il gruppo si sciolse perché le vedove dovevano andare al vespro.
Uscimmo ed Alberto disse “Dai accompagnami a casa.” Era buio e molto freddo e la nebbia era parecchio fitta. Ci avviammo verso casa di Alberto, non era molto distante, era un complesso di palazzine circondato da un ampio giardino. Arrivati al cancello feci per salutarlo ma lui disse “Eh no ho detto a casa!” Intendendo il portoncino della palazzina dove abitava. Così ci addentrammo nel giardino dove le luci gialle, sfumate dalla nebbia, creavano ombre suggestive. “Accidenti se fa freddo!” disse. “Dammi la mano, te la scaldo io.” Afferrai la sua mano e la infilai nella tasca del giubbotto insieme alla mia. Ci stringevamo le mani e ci guardavamo sorridendo.
Arrivati sotto il portone tirò fuori le chiavi ed aprì. “Vieni dentro l’androne, almeno ti scaldi un po’ prima di andare a casa.” Entrai. Ci sedemmo sulle scale che scendevano in cantina. Gli presi di nuovo la mano e stringendola tra le mie comincia ad alitarci sopra. Poi me l’avvicinai alle labbra e baciai il palmo. Lui ritrasse la mano. Lo guardai. Mi afferrò dietro la nuca e attirandomi a se mi baciò sulle labbra, la sua bocca era morbida e calda. Le nostre lingue si incontrarono. Poi un rumore ci fece staccare. Un altro inquilino rientrava. Appena prese l’ascensore Alberto mi prese la mano e mi trascinò giù per le scale, lì non potevamo essere visti. Riprendemmo il nostro bacio. Ci abbracciammo. Alberto cercava di infilare le mani nel mio bomber. Mi slaccia la cerniera. Ora mi accarezzava la schiena, mentre io gli palpavo il culo da sopra i jeans. I nostri cazzi erano in tiro e si strusciavano uno contro l’altro. Poi Alberto mi sollevò il maglione e la maglietta carezzandomi sulla pelle nuda, ebbi un tremito. “Ho le mani fredde.” Disse. “No. Non è per quello…” risposi. La sua mano scorreva lungo la schiena e cercava di infilarsi nei jeans. Visto che era troppo stretto cominciò a slacciarmi la cintura. “Ma che fai dissi! Potrebbe venire qualcuno!” Ma le mie proteste erano poco convincenti. Mi slaccio cintura ed abbassò la lampo dei jeans. Tornò ad accarezzarmi la schiena e scese lentamente abbassandomi i pantaloni e le mutande a parlarmi il culo. Il mio uccello schizzò fuori. Alberto lo afferrò immediatamente cominciando a masturbarmi. Poi si abbassò e lo prese in bocca. Ero troppo eccitato vista anche la lunga astinenza, bastarono un paio di succhiate e riempii la bocca di Alberto di calda sborra….
Appena ripresomi dall’orgasmo vidi che lui si stava segando, decisi di ricambiare la cortesia, mi abbassai per fargli un bel pompino, ma arrivai appena in tempo per prendermi tutta quella buona sborra in bocca. Succhia e leccai finché non ebbi pulito tutto il cazzo di Alberto.
Ero ancora accosciato quando la porticina che dava sui garage si spalancò. Alberto si abbasso il giubbotto per coprirsi il cazzo ormai moscio, io per fortuna mi ero già ricomposto. Era Giovanni il fratello grande di Alberto che rientrava dal lavoro. “Ehi. Che ci fate qui voi due?” Non sapevo cosa dire meno male che la penombra nascondeva il mio imbarazzo. Fu Alberto a rimediare. “Mi si è incastrata la cerniera del giubbotto e Sergio stava cercando di sbloccarla. Giovanni fece per avvicinarsi. Ed io, fingendo un ultimo strattone sollevai la cerniera del giubbotto di Alberto fino al collo, “Oh finalmente si è sbloccata!” dissi. Sperando che non si notasse il tremore nella voce.“ Giovanni disse “Bene.” Poi rivolto ad Alberto “Muoviti che tra un poco si cena.” Fece un cenno nella mia direzione e si avvio per le scale. Mentre saliva si voltò a guardarci dubbioso.
Appena salì in ascensore, forse per la tensione, scoppiammo a ridere. “Pensa se fosse arrivato due minuti prima!” Disse Alberto. “Non farmici pensare! Mi tremano ancora le gambe!”
“Ok è tardi. Devo andare a casa.” Dissi. Alberto mi abbracciò e mi sussurrò “Grazie.” Mi baciò sulle labbra e mi guardò allontanarmi.
Il martedì successivo era ancora giorno di scatoloni per le missioni. Il pomeriggio ero a casa a studiare quando suonò il telefono. Mia madre rispose. Poi sentii che veniva verso la mia stanza. Si affacciò “E’ un certo Alberto….” Andai al telefono. “Ciao.” “Ciao. Senti ti ho chiamato per stasera…” “Non dirmi che non puoi venire a preparare i pacchi per le missioni!” vidi mia madre che origliava dalla cucina. “Fammi finire! Certo che vengo…” “Meno male, non potrei farcela da solo con le vedove!” Mia madre mi lanciò un occhiata di rimprovero. “Eh fammi finire!” “Ok continua” dissi. “Volevo dirti se dopo ti va di fermarti a cena da noi. Poi ci guardiamo un po’ di tv. Che ne dici?” “Beh devo chiedere ai miei….” Allontanai la cornetta “Mamma! Stasera posso andare a cena da Alberto dopo il servizio per le missioni?” Mia madre rispose “Alberto chi ?” Le spiegai chi era Alberto, anche la sua famiglia era molto attiva in parrocchia e mia madre non ebbe nulla da ridire, ma volle parlare con la mamma di Alberto. “Albi, mia madre vuole parlare con la tua, comunque ha detto che va bene.” “Splendido!” Rispose Alberto. Ci vediamo alle sei per i pacchi. Poi chiamò la madre ed io passai la cornetta alla mia e la cosa si trasformò in una conversazione di venti minuti sui figli che pensieri, la famiglia, il caro vita, e bla e bla. Tornai in camera mia a studiare. Mia madre arrivò poco dopo “Mi raccomando comportati bene stasera.” “Sì mamma.” “E ricordarti che poi dovremo ricambiare.” “ Va bene.Lo inviterò la prossima settimana.”
Il lavoro di inscatolamento sembrava non finire mai. Finalmente ci avviammo verso casa di Alberto. La cena era ottima e la compagnia piacevole. La madre di Alberto non la smetteva di raccontare come si fossero subito trovate in sintonia con la mia. Il padre di Alberto faceva l’avvocato, come il mio, mi chiese quale fosse il mio cognome e si scoprì che si conoscevano benissimo. Arrivammo al dolce poi Alberto disse che saremmo andati in camera sua a vedere la tele. Ci alzammo e mi fece strada verso la sua stanza.
“Accidenti!” dissi “Hai un televisore tutto per te!” “Oh è un vecchio apparecchio. Quando mio padre ha cambiato il tv gli ho chiesto se potevo mettere in camera mia quello vecchio e lui ha acconsentito.”
La camera di Alberto era simile alla mia: un letto, un armadio, una libreria (dove stava il televisore), una scrivania ed una sedia ingombra di vestiti. Alberto accese la TV ed arrivò sua madre a chiedere se volevamo un the od una camomilla, rifiutammo, poi si fiondò sulla sedia cercando di raccogliere gli abiti del figlio e rimproverandolo perché non metteva mai in ordine. Alberto disse che lo avrebbe fatto domani. La madre desistette e riammucchiò il tutto sulla sedia. Poi si offrì di portarmi una sedia dalla cucina, ma Alberto disse che ci saremmo seduti sul letto. Finalmente la madre di Alberto se ne andò. Accendemmo il tv. Io ero seduto sul bordo del letto. Alberto disse “Togliti le scarpe, così puoi metterti più comodo.” Levai le scarpe e ci sedemmo uno accanto all’altro appoggiati al muro e con le gambe incrociate. Le nostre ginocchia si toccavano. Alberto si era cambiato ed indossava una tuta da ginnastica con la parte superiore chiusa da una cerniera. Cominciò un film poliziesco e per un po’ restammo a guardarlo. Poi arrivò suoi padre a darci la buonanotte raccomandandomi di salutare mio padre. Alberto a quel punto accostò la porta dicendo alla madre che era per non disturbare il padre. Poi tornò sul letto sdraiandosi a pancia sotto con il mento appoggiato alle mani riprese a guardare il film. Io invece guardare il suo culo che era lì a portata di mano. E il mio cazzo ebbe un fremito. Poi notai che Alberto si muoveva strusciandosi sulle coperte. Allungai una mano e gli accarezzai una coscia. Lui non si mosse. Continuai ad accarezzarlo fino a raggiungere le chiappe sode e diedi una strizzatina. Alberto sospirò. Insinuai la mano sotto la felpa e la infilai nei pantaloni. Cercavo l’elastico delle mutande, ma con mia grande sorpresa mi accorsi che non indossava nulla sotto la tuta! Comincia ad accarezzargli il culo. Poi Alberto sussurrò “Aspetta.” Tolse dall’armadio un plaid scozzese e lo stese sulle mie gambe, poi si sdraiò nuovamente coprendosi a sua volta con l’altro capo del plaid. Così nascosto ricominciai il lavoro interrotto. Gli accarezzavo il culo, e facevo scorrere il dito nel solco tra le chiappe. Poi tirai fuori la mano, mi leccai il dito e comincia a titillargli il buchino. Alberto si muoveva assecondando le mie manovre. La posizione era un po’ scomoda, ma la situazione molto eccitante!. Continuai a giocare con il buco del suo culo. Mi leccai nuovamente il dito e poi cominciai ad infilarlo nel culo di Alberto. Lui emise un breve lamento. Con l’altra mano mi stavo pastrugnando l’uccello dentro i jeans. In quel momento arrivò la madre di Alberto. Anche lei andava a dormire, ci disse di non fare tardi, che aveva promesso a mia madre che sarei andato a casa per le 11. Salutai, ringraziai e la rassicurai che sarei andato a casa di li a poco. Avevo l’uccello che esplodeva per l’eccitazione! Mentre parlavamo con la madre io avevo continuato a tenere il dito nel culo di Alberto muovendolo lentamente. Uscita sua madre Alberto si voltò a guardarmi. Poi infilò le mani sotto la coperta e si abbasso i pantaloni della tuta. Ora potevo agevolmente raggiungere il suo culetto. Infilai nuovamente il dito, e subito dopo un altro. Alberto aveva gli occhi socchiusi e si mordeva il labbro inferiore. Cominciai a scoparlo con le dita. Poi scesi con la mano in mezzo alle gambe ed infilandola da sotto afferrai il suo cazzo e cominciai a segarlo. Alberto si muoveva assecondando il ritmo e venne copiosamente inondandomi la mano. Prontamente la estrassi leccando con gusto quel dolce nettare. Alberto ora era sdraiato con il volto appoggiato alle braccia, in estasi, Si voltò, si mise a sedere e poggiò la mano sulla mia patta che esplodeva. Lo fermai. “E’ tardi, devo andare.” “Ma….” “Non ti preoccupare. Mi rifarò.” Mi rimisi le scarpe. Alberto mi accompagnò alla porta. Mi diede un fugace bacio. Ed io me ne tornai a casa.
A casa mi feci una sega grandiosa ripensando a quanto era accaduto.
Purtroppo all’epoca due sedicenni inesperti non avevano molti posti dove potersi appartare, e nei mesi che seguirono furono rare le occasioni di restare soli abbastanza per una sega o un bel pompino.
A febbraio si presentò l’occasione giusta. Mia nonna andava a trascorrere il solito periodo in riviera, quindi lasciò a mia madre le chiavi di casa perché andasse a bagnare le piante.
I miei erano entrambi molto impegnati con il lavoro, così proposi a mamma che avrei potuto pensare io alle piante della nonna. Mia madre ci riflette un po’ poi affermò che era una buona idea così non era costretta ad allungare la strada per venire a casa. Mi diede le chiavi e si raccomandò che non toccassi nulla e che mi ricordassi di chiudere bene quando avevo finito. La rassicurai.
Lo stesso giorno chiamai Alberto, “Hai da fare oggi pomeriggio ?” “Nulla di particolare.” Rispose. “Allora potresti accompagnarmi in un posto?” “Dove?” “E’ una sorpresa!” “Come una sorpresa.” “Ah, mi raccomando mettiti la tuta da ginnastica, quella che avevi quando sono stato a cena da te….” Il silenzio che seguì mi disse che aveva capito. “Ci vediamo alle 3 sotto casa mia.” “Ok.”
Alle 3 ero sotto il portone ad aspettare. Anch’io indossavo una tuta e, some speravo avesse fatto anche Alberto, non avevo le mutande. Arrivò un po’ in ritardo, doveva aver appena fatto la doccia, perché sapeva di bagno schiuma ed i capelli erano più ribelli che mai. Ci salutammo. “Dove andiamo?” Chiese. “Vieni.” Risposi.
La casa di mia nonna si trovava a pochi isolati. Prendemmo a camminare spediti, spinti dalla nostra eccitazione. Arrivai sotto il portone e comincia a cercare la chiave per aprire, finalmente la trovai. Entrammo e salimmo le scale a tre e tre ridendo. Arrivai all’appartamento delle nonna aprii le molte serrature e finalmente entrammo chiudendoci la porta alle spalle. Ero appoggiato alla porta, Alberto si stava guardando intorno, io lo afferrai o lo tirai verso di me. Lo baciai ed intanto gli levavo il giubbotto che cadde a terra seguito subito dopo dalla felpa. Inizia subito a leccargli e succhiargli i capezzoli. Lui mi tolse il bomber e la maglia quasi tutto insieme. Poi così abbracciati ci infilammo in salotto e cademmo sul divano. Continuavamo a baciarci con trasporto mentre le nostre mani erano già nei pantaloni (bravo Alberto, non aveva le mutande!), mi abbassai a leccargli la pancia, e l’ombellico, poi abbassai i pantaloni della tuta e tirai fuori il suo bel cazzo, iniziai a leccarlo per tutta la lunghezza, poi me lo infilai in bocca più che potevo ed inizia a spompinarlo. Alberto ansimava ripetendo continuamente “Sì! Sì! Sì!…” Mi staccai e gli tolsi scarpe, calze e pantaloni. Era nudo davanti a me sul divano verde di mia nonna ed era bellissimo. Lui avvicinò e cominciò a leccarmi l’uccello da sopra la tuta. Poi scese, mi tolse le scarpe e le calze e cominciò a baciarmi e leccarmi i piedi. Poi risalì, mi abbasso i pantaloni fino a sfilarmeli. Riprese a leccarmi le gambe fino alla piega dell’inguine. Poi mi baciò il cazzo e se lo prese tutto in bocca succhiando e leccando con la lingua intorno alla cappella. Avevo afferrato la sua testa e mi muovevo dentro la sua bocca. Poi mi staccai lo feci sdraiare a terra sul tappeto persiano, e ripresi in bocca il suo cazzo; capì subito e si avventò sul mio in un fantastico 69.
Me lo succhiava con foga mentre io gli leccavo le palle e con le dita gli stuzzicavo il buco del culo. Si fermò e mi disse “Leccami il buco del culo ti prego!” Lo feci mettere a pecorina appoggiato al divano e comincia a leccargli il solco tra le chiappe, poi mi avvicinai al buchetto rosa e piano piano inizia a òeccarlo in punta di lingua. “Ti prego di più!” Infilai la lingua nel buco. “Ah sì! Così! Più in fondo!” Intanto ogni tanto mi masturbavo, ma non volevo venire subito. Volevo godermi quel pomeriggio….
Alternavo la lingua al dito, poi infilai due dita, Alberto ebbe un sussulto. “Ti faccio male?” chiesi “No continua ti prego!” Provai ad infilare un terzo dito, ma il buco era stretto e non ci riuscivo. “Aspetta.” Dissi. Andai in bagno a prendere la nivea della nonna. Spalmai con la crema il buco del culo di Alberto e le mie dita poi ricomincia ad infilarle dentro, prima una poi due poi tre e questa volta entrarono. Alberto si era irrigidito, sembrava soffrire, “Se ti faccio male smetto subito.” “No, cioè un po’, ma continua…” In effetti doveva piacergli parecchio visto le condizioni del suo cazzo, che, come il mio, stava bello dritto e duro.
Alberto si voltò a guardarmi ed io lo baciai con passione. Poi mi disse “Dai fammi godere! Scopami!” Lo feci sdraiare supino, mi posizionai tra le sue gambe, gli sollevai il culo, poi posizionai la mia cappella all’ingresso del suo culo e comincia a spingere. Nonostante il lavoro di dita sembrava ancora troppo stretto, la faccia di Alberto era un misto di paura e voglia. Misi un altro po’ di crema e riprovai. Spinsi con forza e finalmente la cappella entrò. Vidi Alberto con una smorfia di dolore sul viso. “Non posso!” Dissi “Ti sto facendo troppo male…” “Continua!” Ripresi a spingere, andavo un po’ dentro poi uscivo un poco e rientravo di più. Il cazzo era durissimo e ogni volta pensavo che avrei sborrato tanto era stretto e caldo! Guardavo le lacrime scendere sul viso di Alberto. Ero tentato di lasciar perdere quando fù lui a prendere l’iniziativa. Iniziò a spingere il culo verso il mio cazzo stringendo i denti e spinta dopo spinta finalmente entrò tutto.
“Amore, lo senti. Ora è tutto dentro.” “Sì mi sento pieno e voglio sentirlo di più…” Comincia ad andare avanti e indietro lentamente, poi sempre più velocemente, ora l’espressione di Alberto era cambiata, il dolore aveva lasciato il posto al puro godimento. Assecondava le mie spinte, poi intrecciò le gambe dietro la mia schiena e con quelle mi dava il ritmo che stava diventando sempre più convulso. “Sì! Sì! Dai spingi forte! Inculami tutto! Lo voglio tutto! Di più!” Io ansimavo, ormai ero al limite. “Sto per venire…” “Sì! Dai vieni! Sborrami nel culo!” Ed intanto aveva accelerato i movimenti, mentre con una mano si masturbava l’uccello. “Dai! Sfondami! Sì! Ah come godo! Scopami!” Diedi due spinte profonde e gli scaricai nel culo tutta la sborra che avevo. Nello stesso momento anche Alberto sborrò emettendo un grugnito di soddisfazione e schizzando ovunque sulla sua pancia, sulla mia faccia, sul tappeto…. Esausto mi accasciai su Alberto con ancora il cazzo nel suo culo.
Quando il cazzo mi si ammosciò lo tirai fuori e mi misi a pancia all’aria ad osservare Alberto, era bellissimo così soddisfatto. Poi andammo in bagno a ripulirci. C’era un po’ di sangue sul mio uccello e sul culo di Alberto: la prova che non era più vergine.
Ci coccolammo un po’, bagnai le piante e rimisi tutto in ordine. Poi ce ne tornammo a casa soddisfatti.
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